Com’era verde la mia valle

Dennis Johnson, un'altro pezzo di storia dei Celtics che se ne va…

Mentre, sulle italiche sponde, la ciurma in scarpe bullonate che nel cuor mi sta, viaggia ad una media che fa impallidire anche i ragazzi a libro paga di Mark Cuban, in riva al Charles River si sta mandando agli archivi una delle peggiori annate che la gloriosa storia del trifoglio ricordi.

Non e' certo solo la parte sportiva, quella che mi intristisce: quando inizi una “campagna agonistica” dopo aver seppellito il personaggio piu' importante della tua storia, non e' che il tuo spirito sia dei migliori.

Ma se e' nelle cose della vita (e, ahimè, anche in quelle di cio' che viene dopo) il doverti preparare alla perdita di un novantenne, diverso e' il dover fare i conti con uno dei tuoi pezzi di storia piu' recente (almeno per cio' che riguarda le glorie) che improvvisamente ti viene a mancare, ad un'età  nella quale hai generalmente ancora tanti progetti da mettere in cantiere.

Dennis Johnson e' un pezzo fondamentale di quella squadra che ha marchiato a fuoco il mio avvicinarmi al mondo NBA. Era il Joe Dumars dei Bad Boys in biancoverde, ovvero il giocatore meno antipatico del quintetto di “simpaticoni” che ha dato grande lavoro agli innalzatori di stendardi del Garden.

Grande difensore, ma raramente aduso al trash talking dei 3 bianchi, e mai propenso a reagire in malo modo a soprusi altrui (a tal proposito ricordo una serie tremenda di “cartoni” che Parish rifilo' a Laimbeer, senza che questi venissero sanzionati). Insomma era la faccia piu' presentabile di una franchigia che, chi non amava, non aveva nessuna difficolta' a detestare.

Magic, non certo un cretino, un paio di volte aveva rimediato figure da Ispettore Zenigata contro il nostro numero 3. Larry (aggiungere il cognome e' offensivo, nessuno conosce il cognome degli Dei) soleva dire, con la loquacita' che lo contraddistingueva, che DJ era il miglior giocatore con cui avesse mai giocato, ed uno dei pochi ai quali avrebbe demandato una giocata decisiva, nell'improbabile eventualita' in cui lui fosse impossibilitato a compierla. Tutte cose che mettono un esponente di questo gioco ad un livello di eccellenza.

Per me Dennis Johnson e' quello che ha chiuso il piu' memorabile gioco difensivo al quale io abbia assistito in presa diretta (1987', Radio delle forze armate USA, Johnny Most se ne esce con il “Now there's a steal by Bird”, ed un appena maggiorenne bolzanino esulta sul letto di camera sua per una vittoria insperata e per una finale nuovamente in vista).

Vero che Bird aveva compiuto il miracolo di leggere la sceneggiatura, ma, mentre l'inerzia lo stava portando fuori dal campo, c'era bisogno di un altro veggente che tagliasse a canestro, evitasse il tentativo di stoppata di Dumars per un lay up, comodo in condizioni normali, parecchio complesso con la pressione di quella gara e di quella serie.

Questa singola giocata, che sta all'NBA un po' come la rimonta del Manchester al Bayern in finale di Coppa Campioni sta al calcio, sembra un film. Qualche mio vecchietto coetaneo si ricordera' le mani nei capelli di Bill Walton prima della rimessa, poi il pandemonio del Garden, Billone che ha la faccia di “anche questa magata mi combina il biondo……”, i tifosi impazziti, una donna in maglione biancoverde con una taglia di seno improponibile che salta rischiando di ammazzare i vicini, due tifosi in completo verde che si baciano per festeggiare. E soprattutto, DJ che, chiede con le mani a Bird di avvicinarsi e, abbracciandolo, gli sussurra parole che nessuno se non loro due sa, ma che tutti possiamo immaginare…

Rivedere oggi queste immagini dà  ad un Celtic fan un senso di nostalgia e di tristezza, acuito dalla recente scomparsa di uno dei protagonisti.
Ma la vita, la nostra, continua, e piangere su un filotto eterno di sconfitte ci fa tornare a vicende sicuramente piu' leggere.
Oggi la truppa di coach Rivers continua a giocare con lo spirito di chi, con 10 insufficenze non recuperabili, spera solo che l'anno scolastico finisca ed affronta compiti in classe ed interrogazioni con il solo obiettivo di non fare figuracce agli occhi della compagna bionda e carina sulla quale ha messo gli occhi addosso…

Mi immagino gli abbonati storici, quelli con le vecchie piastrelle del parquet incrociato appese a casa e nel cuore, con che spirito avranno accolto le prime Cheerleader in biancoverde (d'altronde capisco anche chi, non avendo niente di divertente da notare durante il gioco, si allieta le pupille durante le sospensioni). Oppure cosa avranno pensato quando il giovane e promettente Tony Allen, dopo aver subito fallo e quindi a gioco fermo, si sfascia il ginocchio tentando una tonante (ma inutile) schiacciata.

Mi e vi risparmio noiose disquisizioni tecniche sul perche' e sul percome questa franchigia non dia segni di vita da 5 anni (finale di conference) e non abbia reali chanches di ambire al titolo da quando Bird, oggi 50enne, non godesse di buona salute (ed il problema principale del sottoscritto, anziche il mutuo casa, fosse l'interrogazione di ragioneria); altri su questo sito hanno gia' detto la loro, non vi aggiungero' altra rancida farina del mio vecchio sacco.

Ma e' alquanto triste, constatare proprio su me stesso, che oggi la “mia” NBA sono due cose: l'andamento di Bargnani (e qui sono soddisfazioni) e lo sperare che i Celts continuino a perdere in modo da avere una camionata di palline al Draft.

A proposito di Draft: e' parere unanime che la prossima “partita” di ragazzi sia di notevole livello, con almeno un paio di elementi per i quali si sono scomodati accostamenti pesanti: Greg Oden come Duncan, Kevin Durant come Garnett, e scusate se e' poco.

Tenendo presente che stiamo parlando di due ragazzi dell'88 (ma Greg Oden dimostra la sua eta' come Lebron James e Dikembe Mutombo….), giorni fa mi sono imbattuto in Ohio State – Wisconsin, ovvero un non frequente caso di sfida tra le prime due squadre del ranking NCAA.

Detto fra noi, un ciapano' non indifferente, 49-48 per Ohio State, ma i miei occhi erano tutti per la probabile prima scelta di giugno. Ripeto, facciamo tutti i distinguo del mondo per questi fanciulli, in particolare per Oden, che e' rimasto fermo per qualche mese causa operazione al polso; pero' 11 punti, 5 rimbalzi e 5 perse non sono il paradigma del verbo “dominare”. Vedremo.

I numeri di Kevin Durant, invece (24.5p e 11.5 rimbalzi a gara, numeri confermati da una conference non certo “materasso”) fanno invece impressione, ma se non succedono cataclismi, la storia NBA dimostra che neanche Micheal Jordan viene scelto prima di un centro potenzialmente dominante, quindi Oden sara' l'obiettivo numero 1 di chi in NBA gioca a perdere, Danny Ainge in primis.

So che probabilmente non e' sportivo, ma ai Celts rimane poco altro da sperare, con il timore supplementare che non si ripeta la “sfiga” del 97, quando gli Spurs lasciarono Robinson sufficientemente in officina e persero quanto serviva per ritrovarsi proprio Duncan.

Ricordo pero' anche che mi sarei accontentato di un Van Horn (solito fascino ingannevole dei bianchi alti e tiratori) e che maledissi la scelta dello sconosciuto Billups. Che io, la storia lo dimostra, avessi preso una cantonata non da poco, ci puo' anche stare: peccato che anche Celtics (e Toronto, e Denver, e Minnesota) abbiano fatto girare Chauncey come un pacco FedEx per degli anni, prima di leggere su NBA.com che il giocatore aveva preso a calci tutti i Lakers vincendo un titolo e diventando MVP delle finali 2004.

Tutto questo confusionario riflettere “ad alta voce”, per dire: speriamo che questa stagione finisca in fretta, che Boston si ritrovi finalmente con la 1a scelta (non avviene dal 1980, quando, sostanzialmente, la buonanima di Auerbach scambio' Carroll per McHale e Parish) e che questa, sia essa Oden, Durant o qualche altro marziano, rivitalizzi un minimo la franchigia il cui spirito oggi e' davvero basso.

Perche', da qualche nuvola creata dal fumo dell' “Hoyo de Monterrey” di Auerbach, quest'ultimo e DJ possano nuovamente sorridere.

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