Shaq sa quando è ora di cominciare a fare sul serio…
Recentemente abbiamo visto tornare in campo dopo un infortunio (poi così serio? Bah!?!) Shaquille O'Neal e, ancora una volta, gli abbiamo visto l'espressione facciale da finale di stagione: quest'uomo che ha vinto 4 titoli e, francamente, non deve più dimostrare niente a nessuno, che pesa 160 chili o giù di lì, sempre più difficili da mettere in moto, tra diete e misurazioni del grasso corporeo e articolazioni che cominciano a scricchiolare, sembra darci ancora una volta un segnale, il suo segnale: ho ancora voglia di vincere, sono il dominatore delle aree, non è ancora arrivato colui che può spegnermi o intimidirmi sotto il canestro.
Interessante anche la sua risposta ai cronisti che si stupivano (ma poi così tanto?), che fosse il più votato centro ad Est per l'ASG, anche senza aver giocato: “Non sarò il più amato (forse), ma la gente mi continua a votare…”.
Mi sono chiesto allora quale sia questa energia che ancora sospinge un uomo che dovrebbe essere pago dei suoi successi, di essere stato una delle maggiori star di Hollywood ed essere ad oggi una delle principali attrazioni della Florida insieme a DisneyWorld.
La risposta mi sembra sia quella che ha dato un suo compagno di squadra nel DVD su di lui che la Gazzette dello Sport ha pubblicato in Italia di recente: Shaq ha un cuore grosso come i suoi bicipiti, la gente lo ama per questo.
L'unica sua noia in questo sport gli proviene dalla estenuante regular season, dove se ne va a buscare legnate da tutti sotto le plance in partite con poca difesa, ma soprattutto con poco agonismo, oltre che a dover lottare con il proprio demone personale: i tiri dalla lunetta.
Francamente non possiamo dargli torto, è meglio far giocare un uomo decisamente più affamato di affermazioni personali come Alonzo Mourning, che un campione svogliato… Ma quando la stagione volge al termine, quando si avvicinano i playoff, le partite che contano, i palloni che pesano, allora è un'altra cosa, allora in lui esce fuori il campione che è sempre stato, il dominatore.
C'è poi un'altra forza che Shaq possiede e che può caratterizzare solo i veri campioni: l'altruismo. Lui non vuole la platea solo per sè, ma per sè come conduttore di un gruppo, come il papà di Kobe prima e di Flash poi.
Questo Wade l'ha capito presto e così i due hanno vinto il titolo. Va bene che il giovane talento brilli come l'MVP delle finali, ma sotto canesto c'è papà Shaq, c'è una forza dominante alla quale tutti debbono rispetto e timore, perchè, quando conta, le botte non si sentono e i tiri liberi entrano (quasi sempre!).
Non arrabbiamoci allora se durante la stagione The Big Aristotele ci regala perle di filosofia spicciola; non critichiamolo quando ingrassa durante l'anno o si riposa per un mese o due a metà stagione: quest'uomo ha bisogno di stimoli per dare il meglio di sè. Tuttavia, quando le partite contano, è ancora in grado di ridicolizzare i suoi diretti avversari e schiacciarli come formiche.
Certo, oggi lui è un secondo violino, mentre prima era il solista, ma la musica non è cambiata: comunque con lui si vince, comunque chi se lo porta in finale e ha un piccolo che tira fuori gli attributi e la fame di vittoria che ha lui, l'obbiettivo non si fallisce.
Mettiamoci poi il Wade di questi anni, una forza non chiassosa, ma dirompente, e, allo stesso tempo, uno che sa passare ai compagni, e condiamo il tutto con un allenatore – motivatore come Riley. Se questi tre elementi vanno assieme, sarà ancora titolo.
Quel che le “nuove tendenze” del gioco NBA ci rivelano ai tempi di oggi, oltre che la moda dei quintetti bassi e veloci, o il gioco veloce dei Suns, è una regola vecchia come il basket: malgrado i miliardi e lo star system, per vincere ci vogliono ancora cuore e altruismo.