Questa era l'espressione sul volto di Nash dopo l'infortunio contro i Nuggets.
Sono successe molte cose dal nostro ultimo Report. Ci sono state dieci partite: la maggior parte vittorie, alcune semplici come a Washington, altre sofferte come a Denver; ci sono state anche sconfitte però, come quella contro gli Hawks di Johnson o quella a Minneapolis, che ha messo fine alla striscia positiva di 17 vittorie consecutive, nuovo record della franchigia.
Senza dubbio, però, le cose più importanti in queste due settimane sono stati i due big match contro Spurs e Jazz e i problemi di infortuni a Bell e soprattutto a Nash. Quindi ci concentreremo ad analizzare queste due questioni al di sopra delle altre.
Le partite a Phoenix contro Utah e San Antonio erano attese da molto tempo. È da mesi ormai che la stampa e i tifosi non riescono a togliersi dalla testa una statistica: quel 1-6 (che era 0-5 prima di queste partite) che rappresenta il bilancio dei Suns contro le altre tre migliori squadre del West (Jazz, Mavs e Spurs). Era l'occasione giusta, quindi, per dimostrare quanto vale davvero questa squadra. Purtroppo però, non è ancora possibile saperlo con certezza, dato che i Suns hanno mostrato due facce totalmente diverse in queste due partite.
Contro gli Spurs, la rivalità nata con quel doloroso 4-1 nella finale di Conference del 2005 dava un valore speciale alla partita, non era solo una partita di Regular Season, non lo è mai contro gli Spurs. Infatti, sin dalla palla a due, il copione era quello di una classica partita di Playoff: ritmi bassi, tensione e molta competitività . Gli Spurs sono una delle poche squadre (se non l'unica) capace di rallentare davvero i Suns e nei primi otto minuti l'hanno dimostrato imponendo il loro ritmo e concedendo soltanto 3 punti a una squadra che ne segna 111.5 a partita.
"Non so cosa sia successo - affermava Leando Barbosa, uno dei protagonisti della partita - abbiamo cominciato male, in un modo cui non siamo abituati".
"Per vincere la partita - sosteneva Mike D'Antoni in sala stampa - dovevamo essere forti nei momenti difficili, sapere superarli".
Dopo l'inizio difficile i Suns effettivamente hanno saputo prendere il controllo della partita a base di velocità e difesa. Il primo ingrediente l'ha messo Barbosa, probabilmente il più veloce giocatore della NBA. Il secondo, l'ha messo Stoudemire (autore di una serata da 24 punti e 23 rimbalzi), limitando Duncan a 6 su 18 dal campo, concedendogli soltanto un tiro realizzato degli ultimi nove. "Amaré e Shawn hanno fatto un gran lavoro su Duncan e Parker - dichiarava il coach - e la buona difesa su Tim ci ha permesso di non raddoppiare quasi mai, che è molto importante per noi".
Il risultato di 103-87 non riflette assolutamente l'equilibrio che si è visto in campo, ed è più il risultato della stanchezza della squadra texana che era arrivata da Salt Lake City il giorno stesso, dopo una sconfitta ad opera dei Jazz. Nonostante ciò, Popovich e Ginobili si riufiutavano di utilizzarla come scusa. "Non credo fossimo affaticati - affermava l'allenatore – Hanno giocato meglio di noi e hanno segnato nei momenti decisivi. Noi no". L'Argentino non aveva dubbi: Non abbiamo perso perché eravamo stanchi".
La sensazione dopo la partita è che i Suns avevano dato davvero quel passo avanti di cui parlavamo nello scorso Report, quell'ultimo passo che li può mettere al livello di squadre come gli Spurs o i Mavericks. Ci erano riusciti stando concentrati durante tutta la partita, difendendo con i denti nei momenti decisivi e riuscendo a vincere una partita in cui hanno tirato male, solo col 44% dal campo. Però, contro i Jazz, sono riaffiorati i dubbi.
"Stanotte non siamo venuti a giocare pronti mentalmente - affermava il capitano Steve Nash - e ci siamo svegliati solo quando ci siamo trovati con le spalle al muro. Abbiamo rimontato, ma non meritavamo di vincere". Poca energia e intensità vuol dire poca difesa. Infatti i Jazz hanno tirato col 50% (nulla a che vedere con il 38% degli Spurs due notti prima) e hanno sempre imposto il loro gioco sfruttando i 16 turn-over commessi dai Soli.
"Ovviamente - dichiarava dopo la partita Jerry Sloan - non possiamo permetterci di correre con loro. Dobbiamo giocare con il nostro stile e oggi l'abbiamo fatto". Deron Williams ha dominato la partita, con Marion incapace di frenarlo e costretto a lasciare il campo per falli a oltre cinque minuti dalla fine e Okur ha segnato il canestro della vittoria, culminando una grande prestazione. Sull'altro lato del campo, nessuno ha giocato come due sere prima contro gli Spurs.
Quale sia la vera faccia dei Suns è ancora un'incognita, e forse non la scopriremo fino al momento della verità , ai Playoff, quando non ci si potrà più permettere di giocare come contro i Jazz e l'unico modo di vincere sarà giocare come contro gli Spurs.
Problemi di infortuni
Per tutti quelli che reclamano da molto tempo un utilizzo più oculato dei titolari e più minuti per la panchina, gli infortuni di Bell e Nash (e qualche acciaccio anche di Diaw), sembreranno prove schiaccianti a favore della loro tesi.
"Forse è il momento di dargli più riposo" affermava D'Antoni qualche giorno prima degli infortuni, quasi come avesse avuto un presentimento.
Bell si trascinava dietro problemi da qualche giorno quando contro gli Spurs il suo ginocchio ha detto basta e ha potuto giocare soltanto 11 minuti. "Era da giorni che mi dava fastidio, ma mi lasciava giocare - dichiarava lui stesso la mattina dopo la partita contro gli Spurs - ma ieri era impossibile". Alla fine l'infortunio gli ha fatto solo perdere la sfida contro i Jazz, ma forse quando tutti saranno al 100% D'Antoni dovrà davvero pensare di abbassare il munutaggio di Bell che è fondamentale per i Suns, senza di lui, infatti, la squadra sembra non avere la stessa energia.
Nash, invece, è ancora fuori per problemi alla spalla destra. "Non hanno nulla a che vedere con il suo infortunio cronico alla schiena" affermava il trainer Aaron Nelson. La sua presenza stasera contro i Bulls è in dubbio e i Suns preferiscono non rischiare, consapevoli che è meglio perdere qualche partita ora che avere un Nash "zoppicante" ai Playoff. Anche in questo caso non sarebbe una bruttissima idea ridurre un po' il tempo di gioco di Nash che sta giocando più minuti che mai (35 a partita, record in carriera), magari dando un'altra possibilità a Banks, che ultimamente rivede il parquet grazie a tutti questi infortuni e sta mostrando alcuni, seppur deboli, segni di miglioramento.
L'altro infortunato, Kurt Thomas, è nella fase finale del suo recupero. "Questa settimana potrà allenarsi con normalità - affermava Nelson - e, dipendendo da come si comporta, speriamo possa tornare dopo l'All-Star".
Around the Valley
Già che ci siamo, parliamo di All-Star. Come tutti saprete alla fine i "big three" dei Suns andranno a Las Vegas, insieme a Mike D'Antoni che allenerà la squadra del West. Inoltre, sembra che Bell parteciperà al concorso dei tiri da tre e Nash è stato chiamato per partecipare allo "Skill Challenge", senza contare la presenza di Diaw come telecronista per il canale francese "Canal Plus".
Sulla decisione degli allenatori di convocare Nash non c'è sicuramente nulla da discutere e tutti la davano per scontata, stesso discorso vale per Marion. Il giocatore su cui nessuno contava però (soprattutto ad inizio stagione) è Stoudemire, che non ha certo i numeri che aveva due stagioni fa, quando fece la sua prima apparizione nel fine settimana delle stelle. Tuttavia risulta davvero difficile anche solo pensare che non meritasse di esserci, soprattutto con le ultime prestazioni dall'inizio di Febbraio: 30,6 punti a partita, 13,6 rimbalzi, 57% dal campo e 81,6% nei tiri liberi che indicano un notevole e costante miglioramento.
Oltre alle grandi prestazioni sul campo, Stoudemire ultimamente sta dimostrando di non essere più quel ragazzo problematico che era al liceo e che molti continuano ancora a pensare possa essere. In una lettera ai cittadini di Denver, pubblicata sul Denver Post, Amaré incita tutti ad "Essere mentori dei giovani, ad insegnare loro a vivere ed aiutarli a crescere".
Stoudemire ricorda anche l'insegnamento di un suo allenatore al liceo: "Ci insegnò che dovevamo toglierci il cappello e tirarci su i pantaloni nei luoghi pubblici, altrimenti, se ci beccava, dovevamo fare 50 flessioni. Ai tempi non me ne accorgevo e pensavo che tenere il mio cappello era 'cool', ma ora mi accorgo che anche se dicono che non si può giudicare un libro dalla sua copertina, tutti lo fanno. E curare i piccoli dettagli può davvero insegnarti come diventare uomo ed aiutarti ad arrivare dove vuoi".
Amaré, infatti, ha chiamato la sua fondazione "Each one, teach one" e ha intenzione di portare avanti questa iniziativa in tutte le città in cui si troverà a giocare nei prossimi mesi. "Essere un giocatore della NBA - continuava il giovane centro nella lettera - mi ha permesso di essere un modello per i ragazzi. E io credo che tutti possiamo e dobbiamo diventare modelli per i nostri bambini. In questo modo tutti potremo avere la possibilità di essere migliori ragazzi, studenti, amici, genitori e persone".
Per concludere, torniamo sulla faccenda Rose. Un po' di tempo fa, come avevamo riportato qua, c'erano voci che davano il giocatore ormai rassegnato e pronto a un cambio d'aria. Jalen, però, ha smentito tutto: "Sono felice qua. Mike e i miei compagni sono e sono stati fantastici con me e penso che non potrei essere in una situazione migliore per vincere l'anello".
Rose, ottimista come sempre, andava oltre: "Sarò un fattore determinante questa stagione - affermava convinto – Credetemi".