A Ruota Libera #94

Skott Skiles, roster in movimento per il coach dei Bulls

Chicago crocevia del mercato

Meno di un mese ormai alla chiusura del mercato, programmata per il 22 di febbraio, e parafrasando un classico detto del belpaese, “tutte le trade portano a Chicago”. Chicago è in questo momento chiaramente il crocevia del mercato, essendo in una situazione ottimale, ossia squadra in netta crescita di rendimento in cui i giocatori andrebbero volentieri, c'è un contratto in scadenza (PJ Brown, 8M$) che fa gola ai GM avversari, ci sono buoni se non ottimi giovani, ipoteticamente scambiabili, e infine c'è pure una scelta (quella dei Knicks) che comunque vadano i Knicks varrà  qualche pallina da ping pong quando gli “Dei del basket” decideranno le nuove case di Greg Oden e Kevin Durant.

La coppia Skiles / Paxons è forse la più taciturna e indecifrabile dell'intero panorama NBA quindi rimane abbastanza difficile capire le loro reali intenzioni, in compenso a scaldare gli animi dei tifosi dalle colonne del Chicago Tribune, ci pensa l'autorevole Sam Smith, che proponendo una infinità  di “Trade Idea” di fatto ha reso sottilissimo il confine tra la realtà  e la fantasia, in meritò al mercato dei Bulls. I nomi accostati ai Bulls sono di quelli caldi, si va dal concittadino Garnett, al catalano Gasol, a Ray Allen.

La verità  invece è che questi nomi potrebbero richiedere un sacrificio che la dirigenza non è disposta a fare, perchè comunque non si vuole toccare un nucleo così giovane che sta crescendo a vista d'occhio al punto che ad oggi nell'attuale configurazione vanno senza dubbio annoverati tra i favoriti della non esaltante Eastern Conference.

In pratica da Chicago hanno fatto capire che la miglior contropartita potrebbe prevedere PJ Brown, la scelta dei Knicks (con un minimo di protezione), e uno solo dei giovani dai quali vanno esclusi Kirk Hinrich e Tyrus Thomas di cui la dirigenza non si vuole privare.

E' chiaro che poi nel mercato la differenza la fa pure la concorrenza con le proprie offerte e se Kevin Garnett con questo tipo di contropartita è difficilmente raggiungibile, per uno come Pau Gasol che ha già  chiesto è ottenuto da Jerry West la possibilità  di essere scambiato, potrebbe pure bastare, visto che la concorrenza c'è ma alla fine non pone grandi argomenti, anche perchè tra le squadre in odore di lotteria nessuna su vuole privare di una singola chance di portare a casa una delle prime 3-4 scelte.

A complicare il tutto ci si è messo pure un infortunio a Ben Wallace che in un primo tempo aveva fatto temere il peggio per un legamento del ginocchio. L'allarme è poi rientrato ma i tempi di recupero di Wallace andranno valutati di giorno in giorno, e se Wallace dovesse avere qualche problema, l'impiego di PJ Brown sotto le plance diventerebbe sicuramente prioritario rispetto ad eventuali ipotesi di trade. Sempre riguardo a PJ Brown si è parlato pure di uno scambio alla pari con Austin Croshere, anche lui in scadenza, scambio che metterebbe entrambe le squadre in condizioni di vantaggio, perchè a Dallas un centro esperto che difenda fa sempre comodo in ottica fine maggio primi di giugno e ai Bulls un lungo che va a prendersi tiri dal perimetro torna sempre utile.

Per altro un fattore da non sottovalutare nelle strategie dei Bulls è il rinnovo estivo di Andres Nocioni, giocatore chiave negli equilibri tattici di coach Skiles, che ha già  fatto capire che non si accontenterà  delle briciole e quindi la proprietà  sarà  chiamata ad un sforzo importante. In merito la pretattica è già  iniziata, perchè fonti vicine al giocatore fanno sapere che i Bulls devono fare offerte concrete, perchè nel caso si dovesse “accontentare” (classico contratto di MLE per 5 anni sui 30M$) lo farà  nel sud del Texas dove ci sono un paio di amici connazionale che lo accoglierebbero a braccia aperte, e se c'è un giocatore tatticamente in grado di sostituire Horry nello scacchiere degli Spurs questo è l'argentino. Insomma a Chicago può succedere tutto e il contrario di tutto.

In rampa di lancio : Al Jefferson & Andrew Bynum

Prendete due lunghi molto promettenti, vestitene uno con una maglia biancoverde e uno con una gialloviola ed ecco che gli animi dei tifosi nostalgici si accendono. A prescindere dal loro presente Celtics e Lakers hanno a roster due dei giovani lunghi più promettenti della lega. Peraltro entrambi hanno un qualcosa che li ha accomunati nelle ultime gare, ossia hanno superato “l'esame Duncan” buoni esiti.

Nella gara del 22 gennaio giocata dai Celtics contro gli Spurs, il 22enne Al Jefferson ha messo a referto 26 punti e 14 rimbalzi, cifre di tutto rispetto per chiunque in questa lega, e che se ottenute contro due difensori del calibro di Tim Duncan e Robert Horry prendono un significato ancora più importante, al punto che lo stesso Tim Duncan, per altro molto arrabbiato con i suoi per essersi quasi fatti riprendere dai Celtics a ranghi ridotti di questi tempi dopo aver praticamente vinto la gara nei primi due quarti, nelle interviste post gara non ha lesinato complimenti verso l'ala dei Celtics, rimarcando soprattutto il suo impatto difensivo, facendo veramente alzare le orecchie ai tifosi del trifoglio, abituati ormai alle sue cifre offensive alle sue doppie doppie (17 nelle ultime 22 gare), ma sicuramente non abituati a sentirlo nominare anche in circostanze difensive.

Al Jefferson nonostante un novembre in cui si è alternato tra la panchina e l'ospedale a causa di un'operazione di appendicite, è in doppia doppia di media, e nei Celtics che hanno visto infortunarsi probabilmente anche qualche magazziniere a nostra insaputa, si è trovato in meno di un mese da primo cambio dei lunghi, a prima opzione offensiva, facendo porre a tutti i tifosi dei Celtics le domande di rito sul come mai Jefferson sia stato utilizzato così poco la passata stagione (dove comunque ebbe problemi ala caviglie in diversi momenti).

Se i tifosi dei Celtics in una stagione disastrata da ogni tipo di infortunio, ma anche da un processo di crescita del “gruppo giovane” molto più lento del previsto, hanno un motivo per sorridere è quello che veste la maglia numero sette.

Andrew Bynum ha da poco finito 19 anni, e nessuno ma proprio nessuno si aspettava che in questa stagione potesse avere un impatto come quello che sta avendo. Complici gli infortuni di Chris Mimh e di Kwame Brown, un coach abbastanza allergico ai Rookie come Phil Jackson si è visto costretto ad un impiego prolungato del ragazzo, e le risposte più che soddisfacenti sono intriganti. 8,3 punti e 6,5 rimbalzi sono cifre che per un 19enne che il college l'ha visto solo in TV, e che nella passata stagione di fatto ha giocato poco o nulla, lasciano sognare i tifosi dei Lakers che la grande tradizione di centri che va da George Mikan, a Wilt Chamberlein, a Kareem Abdul Jabbar, a Shaquille O'Neal possa avere in tempi relativamente brevi un nuovo iscritto. Come detto anche Bynum di recente ha affrontato sua maestà  Tim Duncan, nella gara del 28 gennaio vista pure su SportItalia, finita con la vittoria degli Spurs dopo un overtime.

Anche Bynum come Jefferson ha chiuso con una doppia doppia, più modesta nelle cifre, anche perchè gli equilibri tattici nei Lakers sono molto diversi da quelli dei Celtics attuali, però durante tutta la gara abbiamo visto i lunghi degli Spurs fare grande attenzione al ragazzo, tenendogli sempre il corpo addosso e tentando spesso senza riuscirci di tagliarlo fuori a rimbalzo.

Il comportamento difensivo fatto di grande attenzione e fisicità  che ti dedicano stelle di primo livello come Duncan quando le incontri valgono molto più di mille parole, e si può tranquillamente dire che lo stesso Bynum come Jefferson sia ben sopravvissuto.

Stanotte è andato in scena il primo duello tra i due, chissà  che non sia il primo di una lunga serie che rinverdisca la più grande rivalità  di tutti i tempi dell'NBA (30 titoli in due squadre).

Rookie Time : Adam Morrison

Non nascondo che la passata estate in sede di predraft, Adam Morrison era uno di quelli su cui avrei puntato pure qualche dollaro per una sua chiamata alla primissima posizione. Reduce da una stagione al college semplicemente straordinaria, con cifre offensive da capogiro, Adam era chiaramente un osservato speciale al draft, anche perchè i dubbi sul suo diabete ormai con la medicina che in merito ha fatto passi da gigante non erano più tali. Alla fine è finito ai Bobcats per espresso volere di Michael Jordan.

Dopo tre anni al college e una stagione in cui in attacco aveva abusato a piacimento praticamente di chiunque per tutta la stagione, Morrison era il logico candidato al premio di rookie dell'anno e c'era pure chi era pronto a scommettere su un sua stagione d'esordio sui 20 punti ad allacciata di scarpe.

Come sta andando Morrison a metà  della sua stagione da rookie ? Bene ma non benissimo, 13,5 punti poco più di tre rimbalzi e poco più di due assist, il tutto però con percentuali al tiro assolutamente al di sotto delle attese. Il 37,6% dal campo per uno che di fatto doveva essere la prima opzione offensiva dei suoi è una percentuale molto deficitaria, così come il 32% da tre punti e anche dalla lunetta ci si aspettava qualcosa di meglio del 72,3%. E' abbastanza evidente che Adam nonostante il suo cuore immenso sta soffrendo oltremodo la fisicità  e l'atletismo dei suoi pariruolo avversari.

E' il classico giocatore che se lasciato con un minimo di spaziatura tu uccide, ma lui quando giocano i Bobcats è il sorvegliato speciale e dovrà  ben presto iniziare a convivere con i raddoppi, scegliendosi meglio i tiri e prendendo i tempi giusti dello scarico. La cosa più curiosa è che al college lui stesso andava a cercarsi i contatti con il corpo degli avversari, mentre quest'anno finisce per soffrirli molto. Come sempre per i Rookie inutile fare bilanci in pieno “rookie wall”, però io da Morrison mi aspettavo onestamente qualcosa di più, non tanto a livello di cifre quanto a livello di qualità , in considerazione del fatto che comunque è una grande testa di basket.

NCAA : l'anno dei lunghi, Spencer Hawes

Parlando della stagione NCAA spesso si finisce sempre sui soliti nomi, Greg Oden, Kevin Durant, Joakim Noah, i due Wright (Brendan e Julian), però quest'anno oltre alla qualità  c'è pure la quantità . Per rendersene conto basta prendere i giocatori che teoricamente potrebbero essere scelti dalla 6 alla 15 del draft prossimo venturo e rapportarli a quelli scelti nella stessa porzione negli anni passati.

Tra loro tanti bei giocatori che faranno a lungo la lega, per di più molti dei quali saranno giocatori d'area, una vera boccata di ossigeno per l'NBA che in preda ad una quasi cronica carenza di lunghi sta ormai snaturando il proprio gioco con soluzioni sempre più estreme. Il più accattivante tra questi ragazzi potrebbe essere Spencer Hawes, ragazzo nativo di Seattle che gioca come freshman a Washington. Le sue già  ragguardevoli cifre 15,2 punti e 5,9 rimbalzi con oltre il 55% dal campo non ci dicono tutto di lui.

Bianco, non molto considerato prima del via della stagione, è un autentico manuale vivente del gioco in post basso, tant'è che i soliti esagerati hanno scomodato il solito paragone con il vero maestro del post basso Kevin McHale. Spencer possiede ottimi movimenti sul piede perno, si è già  costruito qualche alternativa al solito tiro frontale tanto caro ai bianchi di questo periodo, un gancetto mortifero, e pure un coraggioso tentativo di Jumper all'indietro che già  paga, autentico maestro delle finte che spesso gli consentono di saltare l'uomo e chiudere con facili sottomano..

Ottima etica di lavoro, entra nel vivo dell'azione ben prima che la palla arrivi nelle sue mani cercando sempre di guadagnare qualche millimetro all'avversario per preparare la ricezione, tant'è che molti analisti hanno elogiato il suo gioco senza palla, definendolo una autentica rarità  per i lunghi.

Messo così chiaramente qualcuno potrebbe pure domandarsi “ma siamo così sicuri che non soffi il posto a Oden”. Beh, però dobbiamo parlare del resto, difensivamente non è ancora uno di livello, a rimbalzo soprattutto in attacco può e deve fare assolutamente meglio, è poco atletico e nonostante una buona corsa in considerazione del fatto che è un 7 piedi, fa fatica ad essere reattivo negli spazi stretti e la mobilità  laterale che nei lunghi di oggi, se non è tutto poco ci manca per ora è un fattore su cui c'è da lavorare tanto.

Però è uno di quei giocatori che ti fa innamorare cestisticamente di sè, e in un epoca dove i 7 piedi preferiscono vivere di schiacciate e tiro dalla media, il buon Spencer sembra un vero dinosauro.

Non se ne parla per ora in ottica draft, per il semplice motivo che lui stesso ha ammesso di non voler prendere nessuna decisione prima della fine della stagione, facendo capire che sarebbe abbastanza propenso a fare perlomeno il secondo anno di college, però è facile intuire che uno come lui se si dichiara probabilmente sarà  scelto a ridosso della top5 e allora spesso queste sono sirene a cui si resiste male.

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