Non c'è una cosa che Joe Johnson non sappia fare sul parquet…
Little Rock è la capitale dello stato dell'Arkansas e il suo nome deriva da una piccola formazione rocciosa sulla riva meridionale del fiume che la attraversa, anch'esso di nome Arkansas.
Questa piccola roccia fu dapprima usata dai francesi, i primi esploratori della zona, per crearvi una stazione commerciale nel 1700. Usiamo però la macchina del tempo in modalità forward e arriviamo fino al 1819. Quell'anno venne fondato l'Arkansas e la cittadina fondata l'anno successivo al posto della stazione commerciale francese fu scelta come capitale del neonato stato.
Al giorno d'oggi Little Rock è arrivata ad ospitare circa 185 mila persone e qui, nel corso della storia, sono nati e/o hanno costruito la loro carriera molti personaggi importanti nella storia americana.
Il più famoso è sicuramente Bill Clinton, che iniziò la carriera politica come Procuratore generale dell'Arkansas nel 1976, quindi venne eletto Governatore dello stato per due mandati, fino ad arrivare nel 1992 ad alzare il vessillo democratico nella casa più famosa di Washington e d'America.
Altrettanto importanti furono anche personaggi come Douglas MacArthur (comandante delle forze americane nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale)o John Fletcher (vincitore di un premio Pulitzer).
Questi sono solo i più celebri, ma l'elenco completo delle personalità "locali" è davvero folto e importante. E per quanto riguarda l'ambito sportivo, che fino a prova contraria riguarda questa storia? Bé, anche qui non stiamo messi male.
Gli appassionati dell'MLB sicuramente collegano al nome di Brooks Robinson l'aggettivo di "uno dei più grandi terza base della storia" avendo egli 23 anni di carriera nei Baltimore Orioles e 2 World Series in curriculum.
Nel basket invece storicamente il giocatore più famoso è Sidney Moncrief, grande con i Bucks anni '80, mentre più attuale, anche se non all'apice della carriera, è di sicuro Derek Fisher.
Da 4 stagioni però un altro figlio dell'Arkansas sta facendo parlare molto di sé a chi segue l'NBA e in particolare ai tifosi degli Atlanta Hawks. Quanto in alto potrà mai arrivare?
Un futuro campione specializzato nel "giving back".
È il 29 Giugno 1981 quando la signora Dianne Johnson da alla luce il figlio Joe Marcus a Little Rock. Questo sarà il suo unico figlio e ciò porterà il futuro campione a definire la madre come la persona più influente nella sua vita, cosa non infrequente tra i giocatori di colore dell'NBA.
Altro motivo comune tra i giovani è la passione per gli sport, il nostro in particolare ama football e basket. La sua attenzione volge però verso il secondo quando rimane comprensibilmente affascinato da Earvin Magic Johnson e dalle sue battaglie contro un altro Magic del gioco (di fatto, non di nome) come Michael Jordan.
Iniziò a giocare all'età di nove anni, nel luogo in cui avrebbe trascorso buona parte della gioventù, il William E. Thrasher Boys & Girls Club di cui non si sarebbe dimenticato anche dopo essere diventato ricco e famoso. Si diceva dei primi epici duelli tra i 2 Magic a metà degli anni '80.
Sognando un giorno di poter essere sugli stessi parquet al liceo vestì la canottiera dei Tigers, la squadra di pallacanestro di Little Rock Central High School, una delle squadre più importanti dello stato a livello liceale.
Il successivo passo fu quello del college, e il nostro affidò la cura del suo corpo e della sua mente alla prestigiosa University of Arkansas, presente fin dal 1871. Qui passò 2 anni, dal 1999 al 2001, giocando per i locali Razorbacks, i quali venivano da un'eccellente decade coronata dal titolo assoluto NCAA vinto nel 1994.
Agli ordini di coach Nolan Richardson giocò 2 grandi stagioni, facendo sognare tifosi e scout NBA, che lo notarono sin da subito. Anche perché non era possibile non notare un giocatore che al suo primo anno di college metteva a referto ben 16 punti e 5.7 rimbalzi, riuscendo 5 anni dopo Corliss Williams ad essere un freshman in cima alle 2 classifiche al termine della stagione.
Nella pur breve esperienza universitaria riuscì a raccogliere in corsa (verso la Lega dei professionisti ) diversi premi, tra cui quello di Southeastern Conference Freshman of the Year al primo anno e l'onore di essere nominato All America il secondo. Non riuscì a portare i Razorbacks alle Final Four NCAA, nonostante nelle 2 stagioni giocate sia ottenne complessivamente 15 punti e 6 rimbalzi a serata, ma quello che dimostrò fu più che sufficiente per garantirgli il primo contratto da professionista già dopo 2 soli anni di college.
Grazie alla chiamata nel draft 2001 lasciò la sua città natale, ma come dimostrano le molte attività benefiche che svolge a Litele Rock Joe è rimasto legatissimo a quell'ambiente. Nel 2003 ha infatti creato ad un torneo benefico di golf annuale, oltre a donare 10.000 $ annui per aiutare le scuole pubbliche e ad aiutare economicamente il William Trasher Club.
Nba Draft 2001: niente sarebbe mai più stato come prima
La sera del 27 Giugno 2001, a New York City, si tenne l'annuale Draft Nba. Quella "versione" della lotteria portò con se 2 novità mai viste prima nella pluriennale storia della Lega nordamericana. Una novità arrivò subito all'inizio delle scelte.
La prima pallina tra le 29 indicava infatti il logo dei Washington Wizards, che chiamarono un certo Kwame Brown. Al di la del fatto che il Washington Times definì questa scelta come la peggiore chiamata numero 1 della storia seconda solo a LaRue Martin (scelto dai Blazers nel 1972), la cosa innovativa era la provenienza cestistica dell'allora 19enne. Brown fu il primo giocatore scelto al primo posto proveniente direttamente da un high school (Glynn Academy HS in Georgia).
Il resto del primo giro fu abbastanza contraddittorio, perché alternò ottimi giocatori a veri e propri carneadi. Al giorno d'oggi possiamo dire come gli ottimi giocatori siano ad esempio i Gasol, i Richardson o i Tony Parker, ma scelte come Tyson Chandler alla 2 o Rodney White alla 9 avranno fatto ripensare molti scout sulle loro capacità .
Quella sera al momento della scelta numero 10 entrarono in scena i Boston Celtics, possessori di ben 3 palline al primo giro. La prima era al numero 10, e per la gioia della famiglia Johnson chiamarono JJ, promettente point - guard da University of Arkansas. Con le altre (la 11 e la 21) non furono altrettanto bravi, chiamando giocatori come Kendrick Brown e (l'attuale senese) Joe Forte.
Il titolo del paragrafo parla però di 2 novità importanti, e per la seconda si dovette aspettare il secondo giro. I Golden State Warriors decisero di chiamare al 31esimo posto una giovane guardia da Arizona, tale Arenas Gilbert. Tutti sanno chi sia diventato e soprattutto cosa sia questo giocatore nel 2007.
Solo per fare un esempio, una chicca del personaggio, i suoi soprannomi:
1)The Hibachi 2) Gil 3) The Black President 4) G.A. 5) Stealth 6) East Coast Assassin 7) Agent Zero 8) Black Jesus e last but not least 9) Quality shots, derivante dal fatto che Bryant lo accusò di non prendere tiri di qualità mentre Gilberto incendiava lo Staples con 60 punti.
Ecco ora spiegato il vero motivo del titolo del paragrafo.
L'inizio NBA: delusione in salsa irlandese
Tornando al nostro racconto, furono quindi i Celtics la squadra in cui si accasò Joe. Venivano da una stagione (la sesta in fila) perdente, ma diciamo subito che la stagione 2001-2002 si rivelò positiva per la franchigia più vincente della storia dell'NBA.
Questo anche perché la squadra girava intorno alla collaudatissima coppia Pierce-Walker, mostruosamente produttiva e determinate tra gli attaccanti bianco-verdi. Johnson riuscì ad ottenere comunque fiducia da subito da parte di coach Jim O'Brien, e nelle 48 partite giocate partì dall'inizio ben 33 volte.
Nei 21 minuti giocati mediamente però Joe non riuscì a impressionare i suoi compagni e il suo staff; questo anche perché avendo in squadra 2 mitragliatori come i sopracitati PP e Walker i tiri a disposizione degli altri non erano moltissimi; e per le sue caratteristiche di gioco il ragazzo tira, e tanto.
La media parla di 8 tiri scoccati a serata, di cui poco meno della metà a segno, per una produzione di 6,3 punti. Nelle altre categorie le sue cifre furono abbastanza insignificanti. Non riusciva ad esaltare le sue doti il ragazzo.
Venne però chiamato a giocare all'All Star Game 2002 (versione Philadelphiana dunque) nella partita Rookie - Sophomore e fece una discreta figura aiutando i "piccoli" a raggiungere la vittoria. Nonostante questo i suoi minuti a Boston continuavano a diminuire.
Quindi non fece molta opposizione quando il 20 Febbraio 2002, con la squadra che aveva in classifica 31 vittorie e 23 sconfitte, gli dissero che dal Logan International Airport stava scaldando i motori un aereo con destinazione Phoenix e un posto a lui riservato. Assieme a lui altri 2 sedili erano riservati a 2 suoi compagni di squadra, Brown e Palacio, mentre i dirigenti celtici aspettavano tra i passeggeri in arrivo a Boston due volponi come Rodney Rogers e Tony Delk.
L'avventura di Joe nella Eastern Conference durò quindi lo spazio di 3 mesi e 48 partite. Tornerà ad est, ah se tornerà …
Joe in Arizona. Phoenix Suns A.M. (Ante Mike).
Arrivò in Arizona e si mise subito a lavorare per l'altrettanto neo arrivato coach Frank Johnson. La stagione della squadra dei Soli era iniziata con Scott Skiles al timone, ma dopo un insipido record di 25 W e 26 L, l'attuale allenatore dei Bulls fu messo alla porta. Occorre ricordare come quella squadra è di un altra galassia rispetto all'attuale e l'unico giocatore in comune tra le 2 era Shawn "The Matrix" Marion.
Al posto di Nash c'era Marbury e al posto di Barbosa Penny Hardway, non esattamente le stesse cose per il gioco dei Suns. Anche i risultati non erano paragonabili agli attuali, infatti nel periodo 2002 – 2004 non raggiunsero la post-season per ben 2 volte, mentre l'unica volta che lo fecero, nel 2003, furono eclissati dagli Spurs futuri campioni.
La prima stagione e mezzo di Joe in maglia bianco – viola non fu niente di che, possiamo definirla "di transizione" fino all'arrivo di Mike D'Antoni, che con il suo Run and Gun esaltò alla grande l'attuale numero 2 degli Hawks. In quel periodo giocò 111 partite partendo dall'inizio 51 volte, portando in dote 9.7 punti e 3 rimbalzi e mezzo, un brodino.
Joe in Arizona. Phoenix Suns P.M. (Post Mike).
L'evento chiave nella definitiva esplosione di Joe avvenne il 10 Dicembre 2003, quando Jerry Colangelo decise di sostituire coach Johnson sulla panchina dei Suns con l'italo-americano Mike D'Antoni, la cui unica esperienza come capo allenatore avvenne nel 1998 - 1999 in quel di Denver. Non furono però subito rose e fiori, per i Suns.
Il modello - D'Antoni è ora perfetto perché giocato con i giusti elementi, mentre nelle 61 partite della stagione 2004 con in panca Mike i giocatori in campo erano diversi rispetto ad allora (soprattutto era diverso il playmaker, non c'era il Leonardo Canadese) e la stagione fu decisamente perdente.
Questo a livello di squadra, in quanto per quel che riguarda Johnson la crescita fu verticale. D'Antoni diede moltissimo spazio a Joe, tenendolo in campo più di tutti gli altri compagni e di ogni giocatore NBA (3331 minuti, pari a 40,6 a spettacolo) e fu ricambiato con 16.7 punti, 4.4 rimbalzi e 4.4 assist. Johnson finì non nella classifica dei Most Improved Player, quell'anno vinta da Zack Randolph, centrone di Portland, ma si tolse la diverse soddisfazioni come quella di segnare 31 punti a ben 2 squadre e migliorare il suo career-high per ben 8 volte consecutive.
La stagione seguente, quella 2004 - 2005, fu invece la squadra ad avere una crescita verticale, passando da 29 a 62 vittorie, mentre Johnson stabilizzò il suo livello di gioco su ottimi standard.
Quell'anno ricordò al mondo di una componente importante nel suo gioco: un tiro da 3 di livello All-Star. Mentre nelle prime stagioni della sua carriera Pro il suo tiro si era dimostrato un po' altalenante, in quello che sarebbe stato il suo ultimo anno in Arizona Joe ha dato fuoco alle polveri. Ha infatti tirato con una media realizzativa del 47,8 %, secondo solo a Fred "The Mayor" Hoiberg, il quale aveva però tirato molte meno volte dall'arco rispetto alla guardia di Phoenix. Quantificando: JJ la mise dall'arco qualcosa come 177 volte in quella stagione. Notevole.
Nel corri e tira della squadra di D'Antoni, ovviamente prima per media di punti realizzati, ci sguazzava Joe, e finalmente era riuscito ad esprimersi per quello che davvero era: un realizzatore di primo livello. A livello statistico dunque il nostro si migliorò per il quarto anno consecutivo, portando alla causa 17 punti e 5 rimbalzi, ed entrava ai playoff con la sua squadra come candidata alla vittoria finale.
Al primo turno la parte degli agnelli sacrificali la fecero i Memphis Grizzlies, eliminati con un facile 4 a 0. Johnson mise il suo mattone bello in vista nella serie, tirando con il 54 % dal campo e regalando 20.3 punti a partita. Il tabellone proponeva quindi lo scontro con i Mavericks, due titani uno contro l'altro.
Gara 1 fu stravinta da Phoenix però, con uno Stoudemire in versione pompa-magna capace di metterne 40, mentre il protagonista di questo racconto segnò 25 preziosi punti conditi da assist rimbalzi e stoppate. Sembrava esser destinato ad un ruolo importante nei playoff Joe, ma quando si dice la sfiga…
Durante gara 2 nel tentativo di schiacciare andò a colpire con la faccia sul ferro, e si fratturò la cavità orbitale. Un infortunio più impossibile che raro gli costò dunque la stagione, e Phoenix perse un pezzo importantissimo del suo puzzle. I Suns furono poi eliminati 4 a 1 dagli Spurs nella finale di Conference, e non bastò la forza di volontà di Joe (capace di rientrare in campo poco dopo la frattura con una maschera) a fermarli.
Atlanta di fine millennio… Stagioni vincenti fate il giro largo.
Al termine della stagione Johnson chiese di esser lasciato andare per assumere un ruolo più importante in una squadra abbonata ai primi posti del Draft ogni anno, come ad esempio gli Atlanta Hawks, bisognosi di una guida nelle secche della bassa classifica. Siccome all'inizio della stagione 2005-2006 Joe sarebbe stato un "restricted free-agent" Colangelo diede l'ok e in data 19 Agosto 2006 la trade si effettuò. Phoenix stupì tutti prendendo in cambio solo Boris Diaw, un giovane francese che nelle 2 stagioni passate in Georgia aveva giocato poco e male, e 2 prime scelte future.
Fu la capitale della Georgia la destinazione di Johnson, e al suo arrivo il pedigree recente della squadra parlava chiaro: da 6 anni nessuno aveva mai visto una partita di post-season alla Philips Arena e le ultime apparizioni non durarono mai oltre il secondo turno. Dulcis in fundo la stagione precedente (2004 - 2005) il record fu di 13 vittorie e 69 sconfitte. Non serve aggiungere altro. Serviva ricostruire e lavorare duro, sangue, sudore e lacrime.
I dirigenti degli Hawks vollero cambiare rotta, e per farlo ingaggiarono anche il centro georgiano Zaza Pachulia dai Bucks, oltre a prendere al draft 2005 Marvin Williams. La squadra però era (ed è tuttora) acerba, ci sono molti giovani vogliosi di crescere e capaci di giocare, ma che ancora non hanno completato la loro formazione cestistica. Anche l'allenatore, Michael Woodson è un rookie, essendo alla prima esperienza da head coach dopo la carriera da giocatore sviluppatasi negli anni '80.
L'anno scorso l'arrivo di Johnson ha però potuto solo tamponare le emorragie di sconfitte degli anni precedenti ma non molto di più. La stagione 2005 – 2006 (rispetto alla precedente) si chiuse con un miglioramento di 13 vittorie (26 alla fine), ma tante, troppe sconfitte, ben 56. Non ci furono però solo delusioni per quegli Hawks, ma anche qualche momento di gloria, tipo lo scalpo degli Spurs campioni in carica o quella dei Pistons. Le poche vittorie non furono però sufficienti per i playoff, e a fine Aprile ad Atlanta erano già tutti in vacanza.
A livello di singoli giocatori, in mezzo a tutto questo sfacelo c'era qualche nota positiva, proveniente guarda caso dall'Arkansas. La nostra nota positiva al termine dell'anno aveva giocato a livelli che non si vedevano nella città della Coca Cola dai tempi di Dominique Wilkins (Human Highlight Film se n'era andato nel 1994). Joe Johnson al termine della stagione guidava i suoi nelle seguenti categorie: 1) punti 2) assist 3) palle rubate 4) partite giocate 5) minuti giocati 6) percentuale da 3. Più leader di così.
Sembra scontato dire come anche quell'anno l'attuale numero 2 degli aquilotti si migliorò ancora, per il quinto anno consecutivo, arrivando a 20.2 punti, 4.1 rimbalzi e 6 assist e mezzo a uscita. Per fare ciò tirava dal campo con il 45 % e dalla lunetta con il 79 %, continuando ad esaltare il suo jump - shot scoccabile anche direttamente dal palleggio.
Dietro di lui c'era una vera e propria distesa di verde, intesa come gioventù. La società ha voluto rifondare, e nelle parti alte del roster troviamo: Pachulia (nato nell'84), Josh Smith (1985) e Josh Childress(1983). Anche tra le riserve c'erano davvero tanti giovani, e l'unico giocatore nato prima del 1980 è Tyronne Lue (1977). Il risultato è che Atlanta sembra quasi più una squadra di college NCAA più che una NBA.
Gli ultimi avvistamenti. Le aquile planano in basso…
La stagione in corso è ormai quasi giunta al giro di boa e sia il roster che lo spirito degli Hawks sono sempre simili al passato: ragazzini terribili, grande atletismo e Joe Johnson come guida. Anche i risultati purtroppo si ricalcano il passato, 13 vittorie e 23 sconfitte nelle prime 36 partite, con record perdenti sia in casa che in trasferta.
Alle loro spalle solo Charlotte e Philadelphia, anch'esse squadre in costruzione (Bobcats) e da ricostruire (76ers). Inutile dire chi sia il miglior giocatore degli Hawks e se si sia migliorato o meno (ovviamente si, Joe dopo le prime 32 partite ne mette 25 esatti) il problema è sempre la sua solitudine. Dietro di lui ci sono un paio di deserti, il secondo marcatore è l'infortunato Lue a 14 e la banda di ragazzini che lo segue non riesce ancora ad incidere nelle partite. Probabilmente sarà una ricostruzione lunga e complessa quella di Atlanta, ma la pietra angolare c'è già .
È in campo con la maglietta numero 2 e ha appena segnato…