Ron Artest sta monopolizzando l'attacco dei Kings…
Chissà se 11 mesi fa, il giorno dell'esordio di Ron Artest con sconfitta 87-77 proprio sul campo di Boston, i due giocatori d'azzardo avrebbero firmato per questa roba; i numeri a volte nascondono i reali problemi d'una squadra così come le storie di corollario possono servire ad inquadrarli. Fatto sta che un'episodica vittoria contro i Celtics che nemmeno nei peggiori sogni dei loro tifosi, può esser considerata un presupposto solido sul quale ripartire.
Dicevamo dei numeri: nel mese di novembre i Kings giocarono 13 partite, vincendone 8 e segnando spiccioli meno di 100 punti di media. A dicembre, in 15 partite la banda Musselman vinse 5 volte segnando 101.2 a serata. Il paradosso è ancora più evidente dall'inizio del 2007: record di 2 e 7 con 105.4 punti a referto.
Chi ha un po' d'esperienza sa che il paradosso non sta tanto nel contrasto tra l'efficacia dell'attacco e i risultati ottenuti perché ci sono molti modi per segnare tanto, non necessariamente in partite significative. L'assurdo sta in un attacco che rispetto a due mesi fa ha perso quasi per intero quei concetti di fluidità che s'erano visti tra prestagione e prime gare.
Oggi il modo di attaccare di Sacramento è specchio dell'anima delle squadra; una cartina di tornasole delle tensioni interne.
Contro Houston, Artest ha segnato 34 punti, 14 consecutivi fra quarto periodo e tempo supplementare della sconfitta interna 115-111. Il problema grosso s'è avuto fra terzo e quarto periodo: il newyorkese, particolarmente elettrico, s'è fatto sentire, nelle pausa tra i due tempi.
Corliss Williamson, protagonista a sua volta d'una gara da 30 punti, ha avviato una discussione che è proseguita per qualche secondo con intensità crescente fino a che Justin Williams s'è frapposto fisicamente fra i due contendenti.
"Lo spogliatoio - ha minimizzato alla fine Musselman - è frustrato per i risultati. Sappiamo che dobbiamo continuare a giocare duramente; questa notte l'abbiamo fatto."
Il problema sta li: Artest, da totale padrone dell'attacco bianco viola, decide se chiedere palla in post medio più che basso, per creare per se e per i compagni. Altre volte parte in punta, da point forward.
Le conseguenze sono due: giocatori fermi che guardano, oppure Bibby completamente escluso dallo sviluppo del gioco che osserva, sulle sue, con l'atteggiamento di chi dice: "E allora fai tu."
"Ha solo cercato di calmarmi – ha commentato l'ex Bulls - non per egoismo ma per spirito di competizione."
Più critico è stato il veterano Williamson, l'unico che fino a prova contraria può vantare un titolo Nba: "Artest mette tanta intensità e tanta spinta emotiva nel suo gioco - ha spiegato ai giornalisti - A volte andrebbe canalizzata."
Altro esempio di questo tipo al Madison Square Garden: il giocatore, con 4.9 secondi da giocare, s'è creato il tiro da tre che avrebbe cambiato il corso della gara. Quel tiro è uscito, New York ha vinto grazie a Crawford.
Peccato che Musselman nel time out precedente a quell'azione avesse chiesto ai suoi ben altro sviluppo per l'ultima azione. "Penso abbia giocato molto bene stasera - l'ha puntualmente difeso il suo coach - attivo in attacco e intenso in difesa."
Possibile che Artest ci tenesse nella sua città , davanti al papà che per la prima volta quest'anno lo vedeva dal vivo. Peccato che l'ultimo minuto del giocatore sia stato tragico: un tiro sbagliato, oltre la bomba già citata, un canestro di Crawford contro di lui, un suo fallo per due liberi di David Lee.
Ovviamente non si può dire che la partita sia stata persa per colpa sua: senza Brad Miller, lontano dalla squadra per personali ragioni, solo Justin Williams per 10 minuti ha tenuto botta contro Eddy Curry. Alla fine Sacramento ha preso 9 rimbalzi in meno (44-35).
Il reale problema è quello d'una squadra che, non sappiamo fino a che punto dal punti di vista dei rapporti personali, ha ben poco da spartire a livello tecnico. Ed è illusorio che giocatori che hanno sempre fatto della qualità offensiva l'arma principale, non mostrino evidenti limiti complessivi, ora che l'attacco non funziona più. Per lo meno fino a che Musselman non farà qualcosa che giustifichi realmente la sua presenza, per ora impalpabile, nello staff tecnico.
"Abbiamo vissuto un ciclo di grandi vittorie - ha ammesso onestamente Geoff Petrie nei giorni in cui Chris Webber cercava una squadra - poi abbiamo provato a ricostruire senza smobilitare. All'inizio della stagione pensavo che saremmo stati competitivi per i playoffs; al momento, bisogna esserne consapevoli, non stiamo giocando come una squadra di quel rango."
L'ammissione è pesante perché Petrie è il massimo riferimento della franchigia per le cose cestistiche. L'unico che possa fare qualche cosa. Non sappiamo se muovendo le pedine a livello di roster, oppure facendo capire al suo coach che bisogna cambiare andazzo. Oppure ancora facendo svanire quel senso di incertezza che pervade da decisioni tipo quella di prendere un giocatore, Justin Williams, che era stato tagliato.
Quel che è certo è che quanto visto finora può bastare per battere Boston; di più no.