Focus: Ray Allen

Il leggendario stile di Ray Allen

Così parlo Gesù: "Il basket è come poesia in movimento. Tu entri in campo, ti trovi un tizio fra i piedi, lo aggiri da sinistra, te lo porti a destra, lui rimane indietro e tu… Proprio in faccia! Poi lo guardi e dici: Allora?". Sono proprio queste nel film di Spike Lee "He Got Game" le parole usate da Jesus Shuttlrsworth per descrivere il giochino inventato dal professor Naismith nel 1891.

Ehi, aspetta un attimo! Film? Spike Lee? Schuttlsworth ? Che c'entrano tutte queste cose con Ray Allen? Bè le prime 2 cose sono collegabili e il basket di conseguenza, vista la smisurata passione del 50enne regista per i Knicks, ma Ray Allen? Bè, lui è il co-protagonista della storia insieme a Denzel Washington.

Ebbene si, il nostro, oltre a incantare milioni di fans in giro per l'America e il Mondo con i suoi tiri perimetrali, si è anche dato da fare tra copioni e telecamere e, agli ordini del famoso regista innamorato della palla a spicchi, ha dato vita a un cult per gli amanti di questo sport.

È proprio una terra magica la California, visto e considerato le incredibili storie che vi si sviluppano, e il giocatore numero 34 della Lincoln High School (stiamo parlando del film: è la high school in cui Allen ha giocato e che deve abbandonare per fare "la scelta più importante della sua vita", quella del college.

Scelta che è alla base del film, tutto gira intorno ed in funzione di essa.) è ovviamente nato nella terra compresa tra il Messico e l'Oregon. Andiamo allora a scoprire un grandissimo campione, oltre che un bravo attore.

Walter Ray Allen, un californiano vagabondo.
È stata la città  di Merced a dargli i natali, il 20 Luglio 1975. Merced è una tranquilla cittadina dell'entroterra californiano situata ai piedi dello splendido Yosemite Park. Fu qui che il piccolo Ray iniziò a voler giocare a basket intorno all'età  di dieci anni, e mai decisione fu più giusta. Fu infatti sin dai tempi dell'High School che tutt'America si rese conto di che campione fosse il ragazzo. Nei tre anni passati al liceo a Hillcrest, che si trovava però nella cittadina di Dalzell, South Carolina, vinse anche il titolo statale nell'anno da senior, in cui diede una discreta mano alla squadra con 28.5 punti, 13,5 rimbalzi e 5,3 assist per tutto il campionato, terminato con il record di 27 vittorie e 4 sconfitte.

Di conseguenza in questi 3 anni raccolse 3 nomine a All Star Mvp e venne inserito da USA Today nel listone dei Super 25, i migliori prospetti della nazione. Dopo il South Carolina, decise di rimanere sull'oceano Atlantico, andando però un più a nord e al freddo.

La scelta del College. È più facile sceglierlo nella vita che in un film. Vero Jesus?
Se si parla però della scelta del College di Ray la mente non può che ritornare sopra di qualche riga e indietro di qualche anno, al film di Spike Lee. La scelta di Ray fu più tranquilla rispetto al film e cadde sull'Università  del Connecticut, che lo chiamò per giocare guardia tiratrice.

Giocò per 3 anni vestito da Husky (inteso con indosso la divisa di Uconn…) e non si risparmiò certo, sia in palestra che in campo. Quello di continuare ad allenarsi, analizzare le proprie possibilità  e cercare di migliorare l'arte del tiro è da sempre uno dei suoi credo.

Oltre a far piovere triple nei canestri degli altri grazie alle sue prestazioni si guadagnò molti premi e onorificenze fin da subito, come ad esempio l'essere nella lista dei 10 candidati al premio di giocatore nell'anno già  da rookie.

Gli serviva solo un po' d'esperienza, ed ecco che prontamente al secondo anno (1995) è arrivato il premio di miglior giocatore della stagione. Detto fatto. Non riuscì però a condurre i suoi al torneo NCAA, ma siamo sicuri che la colpa della mancata partecipazione della squadra negli anni in cui giocò lì non fu di Ray. Anche perché Allen in soli 3 anni (uno in meno dello standard per essere un senior dunque) diventò il terzo marcatore nella storia della scuola con 1.922 punti.

Nella sua terza e ultima stagione scoprì tutte le sue carte e alzò il livello del record dei tiri da tre mettendone a segno l'incredibile cifra di 115 in un solo anno. Prima di lasciare il college al termine della stagione 1995-96 ebbe giusto il tempo di essere incoronato All-America per la seconda volta consecutiva (mai successo ad un Husky prima) e giocatore dell'anno nella Big East, la Conference di appartenenza di Uconn.

Eccoci dunque pronti a firmare assegni milionari e milioni di autografi caro Ray: ecco le porte della NBA che si spalancano per te…

Il draft del 1996. Talento a vagonate sui parquet d'America.
Il draft dell'anno 1996 si svolse in quella che è ora casa di Jason Kidd, Vince Carter e compagnia schiacciante, ovvero l'American Airlines Arena a East Rutherford, nel New Jersey (occorre precisare la località , siccome anche il palazzo di Miami si chiama così).

A scelte fatte - e undici anni dopo – possiamo dire che quello fu uno dei draft maggiormente talentuosi della storia, potendo vantare al suo interno 3 Mvp della stagione NBA come Iverson e Nash, oltre che al campionissimo di L.A. Kobe Bryant, a gente come Jermaine O'Neal, Peja Stojakovic e, ovviamente, Ray Allen.

Prima scelta quell'anno fu AI3, chiamato da Phila, mentre sui gradini più bassi del podio trovavamo il Raptor Camby e il Grizzlies (all'epoca a Grizzlies stavano a Vancouver) Adbur Rahim.
Quindi, attenzione, furono scelti Stephon Marbury da Georgia Tech alla numero 4 e Ray Allen da University of Connecticut alla numero 5. I 2 furono scelti rispettivamente dai Bucks e dai T'wolves.

Questi ultimi però si dimostrarono molto interessati al playmaker newyorchese e decisero di cedere subito Ray Allen e una futura prima scelta per portare Marbury nel Minnesota.
Il nostro piccolo-grande tiratore da 3 si accasava dunque nel Wisconsin, chiamato a fare le fortune di una squadra che fu vincente ma che ormai ha chili e chili di polvere sull'unico anello vinto nel 1971.

Un'ultima parentesi sul draft di quell'anno va ovviamente alla casella 13 delle scelte, dove da Lower Marion High School, Pennsylvania fu scelto il 17enne Kobe Bryant dagli Charlotte Hornets. Di Bryant si innamorò sin da subito Mister Logo, Jerry West (all'epoca General Manager dei Lakers), che mercanteggiò con gli antenati dei Bobcats finché non ebbe quel giovane fenomeno, in cambio dell'allora 28enne Vlade Divac. Storie americane.

Milwaukee, vuoi davvero diventare grande?
Fu quindi nello stato del Wisconsin che Ray iniziò a esprimere la sua classe nel mondo dei professionisti. I Bucks vinsero il primo e unico anello il 30 Aprile 1971, quando battendo i Baltimore Bullets 118 a 106 a domicilio conquistarono il loro primo e unico titolo nella Lega.

Furono molti i grandissimi fuoriclasse a esprimersi con la maglia dei cervi: Lew Alcindor (o Kareem Abdul-Jabbar, la persona è la stessa), Oscar Robertson, Moses Malone solo per citare i più famosi. Ray andava a giocare su un parquet che molti campioni nel passato hanno chiamato casa, e che ora era la casa di una squadra che aveva Vin Baker e Glenn Robinson come leader designati.

Come allenatore era appena arrivato in panca Joseph Ford, in sostituzione di Mike Dunleavy, ma l'omonimo dell'inventore del celebre modello T non porterà  grandi soddisfazioni ai dirigenti dei Bucks. Nei primi e unici 2 anni di Fordismo a Milwaukee infatti non si vedrà  nemmeno l'ombra dei playoff, in conseguenza a 2 stagioni perdenti.

Chiusero infatti la prima annata con 33 vittorie e 46 sconfitte (.402) e nella seconda misero insieme solo 3 W in più (.439). Una delle poche cose positive di coach Ford fu però quella di far giocare, e tanto, il nuovo arrivato Ray Allen. Il californiano, dapprima con il numero 2 sulle spalle, quindi dal 1997-1998 con l'attuale 34, non solo giocò, ma partì titolare in tutte le partite meno una nelle prime 2 stagioni e i risultati valsero da subito un bell'abbonamento ai Bucks.

Nella stagione da rookie riuscì a mettere a segno infatti 13,4 punti a partita con un utilizzo medio di 30 minuti, mentre nella seconda annata solo "Big Dog" Robinson segnò più punti di lui e ormai era diventato una stella per la squadra. Giocava infatti quanto una stella, 40 minuti a serata, e segnava quasi come un stella: 19,5 punti. Per un sophomore niente male dunque.

C'è però una cifra che risalta più delle altre, un numero che fa capire come Ray non sia una matricola comune: nelle prime 2 stagioni ha alzato la mano da dietro una linea di diversi colori, ma alla stessa distanza dal canestro (7,24 metri) in ogni Arena, ben 666 volte. I tentativi andati a segno sono stati 251 che in percentuale fanno 37,8 %. Tanto per essere spicci, la media del suo anno da Rookie (.393) è la terza nella storia della franchigia. Ray è sempre stato un perfezionista dell'arte del tiro, oltre che ad essere molto sicuro dei suoi mezzi.

Sul suo modo di tirare dice:

Se ripeto il movimento di tiro in continuazione, non devo pensarci troppo: diventa una seconda natura. Tu alleni il tuo corpo a fare qualcosa e lui lo fa, che sia partita o allenamento. Molti la possono vedere come fiducia in se, per me si tratta di quello che faccio per vivere. È un qualcosa che occupa una parte della mia vita tutti i giorni. Per me quel qualcosa è tirare.

Il tiro di Allen con il tempo è diventato infatti il più puro della Lega, e viene eseguito sempre nello stesso identico modo, dando spesso lo stesso risultato, cioè il rumore del cotone.

La stagione 1998-1999 fu importante per diversi motivi. Oltre alla serrata che fu il culmine della lotta giocatori-presidenti, nel Wisconsin atterrarono due personaggi destinati a cambiare il destino della squadra negli anni a venire. Il primo fu George Karl, nominato head coach. Il secondo Sam "I Am" Cassel dai Nets, chiamato a guidare il gioco al posto di Vin Baker; questo perché lo stesso Baker stava purtroppo iniziando ad avere seri problemi di alcolismo.

Si diceva di coach Karl. L'attuale allenatore di Denver guidò bene la squadra nelle 5 stagioni in cui restò in riva al lago Michigan, riuscendo a portarla ai playoff sin dal suo arrivo. Nella stagione della serrata condusse i suoi ad un record di 28 vittorie e 22 sconfitte, mentre in quella seguente le W furono 42 e le L 40.

Nei playoff però entrambi gli anni si trovarono sulla strada degli Indiana Pacers che vinsero entrambe le serie, lasciando l'amaro in bocca a Karl e alla sua banda. Nella quantomeno particolare stagione del lock Allen non crivellò di colpi gli avversari come nelle altre stagioni fermandosi a 17.1 ad intrattenimento; ma nella prima stagione del nuovo millennio tornò ad essere il solito fuciliere arrivando a 22.1 punti con addirittura il 42 % da dove vale 3 e l'88 % dalla lunetta, tanto per aggraziarsi i difensori avversari che ormai sapevano a cosa andavano incontro facendo fallo sul 34.

Stagione 2001: E' davvero la volta buona? Mi sa che a Phila dicono di no…
Fu però la stagione seguente, quella 2000-2001 in cui sembrava che i sogni del proprietario dei Bucks, il senatore Democratico Herb Kohl, si potessero davvero realizzare. Vale la pena di soffermarsi su quest'annata anche perché fu quella in cui Ray espresse il suo meglio, e ci andò vicino,molto vicino… Vediamo com'è andata.

Ormai dopo due playoff consecutivi tutti sapevano che la squadra di Karl era ormai una validissima avversaria all'est e l'intesa tra il coach e i Big Three (Allen-Robinson-Cassel) era ormai consolidata.

La squadra poteva anche contare su altri validi elementi come Tim Thomas e Lindsay Hunter, e aveva in gestazione senza saperlo un altro fenomeno, un 22enne appena pescato al draft tale Michael Redd.

Tutti questi elementi sfornarono una grande stagione, Milwaukee chiuse al secondo posto nella Eastern Conference alle spalle dei 76ers e stravinse la sua Division, la Central, con 5 partite di vantaggio sui Raptors. Riuscirono a ottenere un record di 52 W e 30 L anche grazie al fatto che potevano vantare l'attacco più prolifico della nazione a stelle e strisce: gli aggraziati cervi di coach Karl segnavano infatti 109.8 punti a partita, più addirittura dei Lakers delle meraviglie. La difesa non era altrettanto una meraviglia ma tanto bastò.

Si diceva che i Big Three ebbero una grandissima importanza nel risultato stagionale: i 3 "portabandiera" ricordati sopra tennero l'imbarazzante media di 64.2 punti a partita, 15.9 rimbalzi e 15,5 assist a partita, dimostrandosi perfettamente complementari nei giochi di coach Karl.

Le cifre di Ray furono esplosive, un dettato di costanza cestistica ad altissimo livello. Migliorò gli high in ogni categoria. Innanzitutto fu l'unico della sua squadra a giocare tutte le partite, per di più partendo sempre dal quintetto. Nei 38,2 minuti di utilizzo medio riuscì a tenere percentuali incredibili dal campo. Tirò infatti con l'88 % dalla lunetta, il 48 % da 2, e un lampeggiante 43 % da dove vale di più. In tutto facevano 22 punti ad uscita ma, al contrario di altri giocatori che quell'anno segnarono di più con altre magliette, non era l'unica star della squadra. A questo aggiunse anche 5,2 rimbalzi e 4,6 assist, per gradire.

Anche grazie a lui i Bucks arrivarono ai playoff. Al primo turno dovettero piegare la resistenza di Orlando, che al tempo aveva in campo il Most Improved Player of the Year 2001: un TMac da 26 punti e 7,5 rimbalzi a serata. 3 a 1 e Magic a godersi il sole e il mare della Florida. Al turno successivo trovarono gli Hornets, arrivati sin lì senza star di primissima grandezza, ma con un Barone in regia e una grandissima difesa. Milwuakee la spuntò solo in gara 7, vincendo 104 a 95 con 74 punti dei Big3 e 28 di Ray.

Si volò quindi a Phila per giocarsi una storica finale di Conference contro i 76ers. Quell'anno però la squadra della città  dell'amore fraterno aveva in panchina e soprattutto in campo un giocatore e un allenatore di livello superiore.

La serie sembrava infinita, le squadre vinsero le proprie 3 partite casalinghe e si arrivò a gara 7. Qui Allen dimostrò la sua enorme voglia di andare in finale e con una prestazione monstre da 44 punti ricacciò in riva al Michigan gli avversari per andare a giocarsi le Finals contro i monarchi del tempo, tali Los Angeles Lakers.

Fu la fine del sogno per Ray, cui non bastò segnarne 26 per tornare lui nella sua natia California.

Ultime 2 stagioni a Milwaukee, poi si torna sul Pacifico! California? No, non esattamente…
Dopo aver smaltito la delusione per aver perso quella grande opportunità  per arrivare secondi nella Lega (nessuno avrebbe messo il proverbiale dollaro su una qualsiasi squadra contro quei Lakers) i Bucks tornarono nei ranghi e le 3 stagioni seguenti furono praticamente 3 fotocopie che però non portarono a nulla di significativo.

Nel 2001-2002 e 2003-2004 quasi con precisione scientifica si fermarono ad un record di 500, mentre nella stagione centrale ottennero una vittoria in più rispetto alla parità . In queste dimenticabili stagioni però accadde qualcosa di importante al protagonista del nostro racconto.

Dopo aver giocato con la maglia di Milwaukee per i primi 6 anni e mezzo della carriera comprese le prime 47 gare della stagione 2002-2003 se ne andò dalla squadra che aveva quasi fatto diventare grande per tornare sulla costa Ovest. California? Los Angeles? Non proprio.

Quasi come avesse una passione per il Nord degli States, fu Seattle la città  scelta e i Sonics e la Key Arena la squadra e il palazzetto che avrebbero goduto delle meraviglie di Ray. Sull'aereo diretto all'estremo nord-ovest degli USA da Milwaukee oltre a lui c'erano anche Kevin Ollie, Ronald Murray e un'immaginaria futura prima scelta, mentre su quello che faceva il volo opposto e atterrava nel Wisconsin c'erano Gary Payton e Desmond Mason. La squadra in cui arrivò Ray non era una fucina di talento, ma di onesti lavoratori del parquet senza moltissime pretese e che avrebbe potuto vincere solo grazie a un impresa straordinaria.

Sin dal suo arrivo nella capitale dello stato di Washington montò in cattedra e spiegò pallacanestro a compagni e avversari, chiudendo la stagione nettamente davanti a tutti i suoi, con 24,5 punti. Alle sue spalle c'era quello che diventerà  il suo principale socio attuale nell'attacco giallo-verde, Rashard Lewis.

Quest'ultimo in una recente intervista ha così parlato di Ray e del suo stile di tiro:

Il suo movimento parla per lui. Salta sempre alla stessa altezza ogni volta che tira e ripete lo stesso movimento tutte le volte. Alcuni giocatori modificano leggermente la propria meccanica ma da quando vedo Allen giocare nella Lega non l'ho mai visto cambiare il suo movimento.

Le prime 2 stagioni dall'arrivo di Ray furono però perdenti, cosa che, specialmente all'Ovest vuol dire salutare i playoff e a metà  aprile dunque i Sonics finirono la stagione. Erano addirittura 11 anni che da quelle parti non si finiva una stagione con un record perdente, ma non era colpa del 34, anzi.

Il californiano, nonostante un grandissimo impegno, non fu molto fortunato, specialmente il secondo anno. Un infortunio lo costrinse a saltare ben 26 partite di stagione regolare, e senza i suoi regolari 23 punti a serata la squadra non avrebbe potuto permettersi molto.

La stagione seguente, anno di grazia 2004-2005 fu invece un'annata molto positiva. In barba a sciamani e intenditori veri o falsi i Sonics stamparono un'eccellente .634 di record, ottenuto grazie a 52 W e 30 L. Allen e Lewis guidarono la squadra ai playoff grazie ai 44,4 punti portati in dote in ogni serata, ma ognuno faceva il suo, e l'attacco di coach McMillan fu secondo solo ai Globetrotters D'Antoniani di Phoenix .

Nella post-season Seattle seccò i Kings per 4 partite a 1, ma sarebbe più corretto dire Allen seccò i Kings. La sua media in quella serie fu impressionante: 32,4 punti. Non andò invece altrettanto bene al turno successivo, quando si trovarono al cospetto dei San Antonio Spurs. Popovich vinse quella serie anche e soprattutto grazie all'eccellente difesa che i suoi giocarono ogni sera contro Ray, che addirittura fu tenuto ad una gara da 8 punti. Serie finita 4 a 2, Sonics a casa e San Antonio che si avviava a vincere titolo e anello 2005.

Allen si confermò ancora una volta come l'ago della bilancia della sua squadra, almeno in attacco. Se non gira lui bisogna solo affidarsi agli Dei del basket.

La stagione passata, 2005-2006, e quella in corso non hanno dimostrato altro che la tendenza appena riportata. È sempre Ray il faro offensivo del team ormai le sue prestazioni non fanno più notizia: l'anno scorso ha sfondato il muro dei 15.000 punti nella Lega, una cosa da niente, e grazie ad una tripla contro Portland è diventato il secondo cecchino della storia dell'NBA nei tiri da 3, con 1.788 realizzazioni.

Chi è il primo? Un altro californiano, tale Reginald Wayne Miller, capace di segnare addirittura 2.560 volte dall'arco.

Lo scorso anno ha terminato con 25,1 punti a partita, il massimo in carriera, e quest'anno stiamo viaggiano quasi sulle stesse cifre (24,7 per la precisione). Purtroppo da novembre a oggi i fisioterapisti dei Sonics hanno avuto moltissimo lavoro, per colpa di diversi infortuni e sia Ray che Lewis sono stati costretti a saltare molte partite.

Per ora il clima in classifica è molto umido, anzi, stagnante. I Sonics infatti sono relegati in fondo alla Northwest Division e per ora hanno la grossa pietra al collo di 14 W e 25 L. Molto difficilmente quella in corso può essere una stagione vincente, bisognerà  ripartire dall'anno prossimo.

Forse con un altro allenatore, Bob Hill non convince molto, o forse in un'altra città  e ogni riferimento a Oklahoma City è puramente casuale. Di sicuro non c'è bisogno di ripartire da un leader diverso, con uno come Ray Allen sul campo basta dargli la palla che qualcosa di buono inventa.

Meglio se la palla gli viene data dietro la linea da 3 punti però…

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