Andre Igoudala al tiro: è lui l'uomo del futuro per i Sixers…
La cessione di Allen Iverson chiude certamente un capitolo entusiasmante e nel contempo tormentato della storia dei 76ers, dieci anni di esaltazione collettiva nella città dell'amore fraterno per un interprete straordinario del gioco, di deliri irripetibili e di partite che a Philadelphia credo non si vedranno più per molti anni.
Ma sono anche convinto che l'incontenibile e dilagante personalità di Iverson, la sua immagine, e soprattutto il suo stile di gioco hanno impedito agli allenatori che si sono susseguiti nel corso degli anni di pensare e poi di costruire una squadra vera, cioè un gruppo di giocatori preparati e capaci di produrre una buona pallacanestro anche senza una stella di prima grandezza.
Una parvenza di organizzazione si è vista nella stagione 2001, sotto la guida di Larry Brown, che ha dato ai Sixers un'identità di squadra molto ben distinta, fondata sulla difesa forte (difesa sul lato, palle recuperate), e in attacco sulle scorribande di Iverson.
E' vero, quella squadra offensivamente dipendeva esclusivamente dal folletto di Hampton, ma quantomeno un'idea di squadra, un progetto, un piano per la stagione c'era, e infatti poi i risultati sono stati ampiamente superiori alle aspettative.
La finale contro i L.A Lakers e la vittoria in gara1 all'overtime hanno rappresentato l'apice di un percorso cominciato nelle stagioni precedenti, e cioè la fusione di due grandi personalità cestistiche come Iverson e Larry Brown.
Una stagione come quella, una stagione da squadra del destino è francamente più unica che rara. E stagioni all'insegna dello “speriamo che ci pensi lui” non sono più possibili, per il semplice motivo che ora “lui” si è stabilito tra le montagne del Colorado e gioca con Camby, J.R Smith, e a breve con Carmelo Anthony.
Adesso serve un progetto vero, a lungo termine, utilizzando il materiale umano presente nel roster attuale, che, se si escludono Ollie e Henderson, oltre ai nuovi arrivati Miller e Smith, comprende solo giocatori nati dopo il 1980.
Andre Iguodala è senza dubbio un buon giocatore, eclettico e dinamico, un giocatore da prendere per mano, a cui dare fiducia, anche se forse non ancora educato tatticamente, ma sicuramente un elemento di sicuro avvenire.
Kyle Korver, giocatore che personalmente apprezzo molto, è un altro di quegli elementi da tenere nella rosa e da seguire con pazienza. Per le sue caratteristiche non potrà mai essere un giocatore dominante, ma il suo tiro dalla distanza si è spesso rivelato efficace (ricordo una sua tripla contro i Celtics che mandò le squadre al terzo overtime), e il suo tiro in transizione è un'arma che può far molto comodo a una squadra.
Anche Samuel Dalembert ha dimostrato di saper stare discretamente in campo, pur non avendo la stessa struttura fisica di Dwight Howard. E' un buon rimbalzista, ma nella zona pitturata non riesce a intimidire più di tanto i penetratori avversari.
Per non dimenticare Willie Green, che finora ha offerto qualche buona prestazione, in particolar modo nella gara casalinga contro i Bucks, vinta per 110-97, e impreziosita da una sonora schiacciata in faccia a Skinner. Ma il suo valore effettivo è ancora tutto da decifrare.
Gli altri elementi del roster sono giovanissimi, ancora tutti da valutare: Rodney Carney si è segnalato per un'affondata allo Staples Center contro i Lakers, mentre Louis Williams e Bobby Jones devono ancora avere minuti sufficienti per esprimersi.
La situazione Webber, dal punto di vista dei Sixers, è molto chiara. Si tratta di un giocatore in declino verticale, che ormai preferisce giocare fronte a canestro e affidarsi al tiro dalla media distanza, tra l'altro non infallibile. Non possiede più la brillantezza e la forza necessaria che ha espresso a Sacramento. A Philadelphia non è mai stato un fattore e, salvo singole prestazioni, non ha mai dato l'impressione di poter guidare la squadra. Mi pare evidente che voglia accasarsi altrove, e infatti a ore si attende il suo passaggio a un'altra franchigia. Tra le possibili destinazioni Detroit sembra quella più probabile.
I Pistons hanno bisogno di chili e di esperienza sotto i tabelloni, soprattutto dopo la partenza di Ben Wallace. Ma è difficile che Webber possa rendere i Pistons una squadra da titolo, anche in considerazione dello strapotere delle squadre della Western Conference.
Tra i nuovi arrivati si registra il buon impatto di Andre Miller, uno dei pochi playmaker puri della lega, vedremo se potrà almeno in parte risollevare le sorti dei Sixers, anche se finora non ha dimostrato di saper cambiare il volto della squadra.
Ma i Sixers sono ormai famosi nel mondo per le scelte di mercato a dir poco discutibili. A partire dalla cessione di Larry Hughes, che ancora adesso è inspiegabile, fino ad arrivare a quella di Matt Barnes, che ad Oakland viaggia a 11.2 punti a partita, tira da tre con il 41% e colleziona quasi cinque rimbalzi a partita. Senza dimenticare Tim Thomas, Speedy Claxton (2° nella Nba per palle rubate), Nazr Mohammed, che spesso e volentieri è partito in quintetto con i Pistons, e John Salmons, autore di buone cose a Sacramento.
Insomma, uno dei problemi è presente innanzitutto a livello societario e di valutazione dei giocatori. Magari, con l'avvento di Larry Brown nella dirigenza, le scelte di mercato saranno più oculate, e dopo la partenza di un giocatore come Allen Iverson una rifondazione è quasi d'obbligo.