Kobe deve conservare il sangue freddo per tenere a galla la squadra…
Se dovessimo limitarci a considerare il record o ad elencare l'elevato numero di scusanti, potremmo dire che il viaggio ad est è stato tutto sommato positivo per i gialloviola: tre vittorie e tre sconfitte nella lunga trasferta, affrontata peraltro senza l'apporto di una superstella come Lamar Odom.
Eppure, mai come questa volta, possiamo affermare che la gita turistica sulla costa orientale è stata un parziale fallimento: difesa totalmente inesistente, concentrazione ai minimi livelli, giocatori avversari, sconosciuti al grande pubblico, che diventano per una sera "All-Star" di primo livello. Un comportamento francamente inaccettabile, che più di una volta ha fatto perdere la pazienza allo staff tecnico lacustre, anch'esso, bisogna dire la verità , non esente da colpe e responsabilità .
Come se non bastasse, a complicare ulteriormente le cose, ci si è messa anche la sfortuna che, dopo Lamar Odom, ha colpito Kwame Brown, vittima nella sfida in casa contro i Philadelphia 76ers (la prima gara allo Staples dopo 10 giorni di aereo), di una brutta storta alla caviglia destra: sei settimane di stop è stato il responso dei test effettuati dai sanitari gialloviola. Un boccone davvero amaro da digerire.
Risultati
Sabato 23 dicembre, ore 1.30: New Jersey Nets - Los Angeles Lakers = 99-95 (W)
Lunedì 25 dicembre, ore 20:30: Miami Heat - Los Angeles Lakers = 101-85 (L)
Giovedì 28 dicembre, ore 1.00: Orlando Magic - Los Angeles Lakers = 93-106 (W)
Sabato 30 dicembre, ore 1.00: Charlotte Hornets - Los Angeles Lakers = 133-124 dopo tre tempi supplementari (L)
Lunedì 1 gennaio, ore 3.00: Los Angeles Lakers – Philadelphia 76ers = 104-94 (W)
Record
Attualmente i Los Angeles Lakers hanno un record di tutto rispetto: 20W-11L, quinto in assoluto ad ovest e secondo nella Pacif Division. Certo è che dopo l'infortunio di Odom i Lakers sono diventati una squadra meno temibile e meno efficiente dal punto di vista difensivo. Da quando il ginocchio di Lamar si è girato, infatti, i lacustri hanno ottenuto sei vittorie e cinque sconfitte, un record non in linea con i risultati incoraggianti di inizio stagione.
Dieci giorni di pochi alti e molti bassi, soprattutto per quanto riguarda la sfortuna
Come dicevamo in apertura, negli ultimi dieci giorni, i Los Angeles Lakers hanno viaggiato molto con l'aereo, si sono mossi in lungo e in largo per gli Stati Uniti, raggiungendo in tutta fretta quattro arene differenti prima di ritornare in California e vincere contro i Philadelphia 76ers, ormai privi di Allen Iverson.
Quattro vittorie e tre sconfitte il risultato delle ultime sette gare (delle prime due avevamo già parlato nel precedente report). Si può essere soddisfatti? No, lo diciamo immediatamente e non tanto per il record, che tutto sommato può essere accettato, quanto per il modo in cui i risultati sono stati conseguiti.
Le ultime due sconfitte, soprattutto, sono quelle più amare e che, in modo lapalissiano, hanno messo in mostra tutti i limiti dei Lakers: difesa svogliata, cambi mai compresi effettivamente, blocchi portati in maniera sconclusionata, pressing limitato a pochi e inutili momenti.
Insomma un vero disastro, una Caporetto versione americana, che ha toccato il massimo picco nel match contro i derelitti Charlotte Bobcats e precisamente nel secondo quarto di quella partita, quando le "temibili" linci hanno messo a referto 42 punti. Poco importa che Kobe Bryant segni 58 punti se poi non riesci a difendere contro un attacco non proprio temibile, per voler usare un eufemismo, come quello di Charlotte.
L'episodio più grave però è avvenuto alla fine dei regolamentari, quando i Lakers, in vantaggio di tre punti, hanno permesso a Gerald Wallace di penetrare nell'area pitturata e chiudere con il più facile degli "and1" (canestro e tiro libero), canestro questo che ha permesso di impattare la gara, spedendola di fatto al primo dei tre overtime.
La gara con Charlotte, inoltre, è stata anche la conferma di come questi Lakers si rilassino notevolmente contro avversari inferiori a loro. Era già successo contro i Milwaukee Bucks, i New Orleans Hornets e i Washington Wizards e nuovamente è accaduto il 30 dicembre scorso.
Ogni volta un avversario diverso è salito sull'altare dei vincitori immolando e offrendo in sacrificio la retina "difesa" dai gialloviola: è prima toccato a Michael Redd (45 punti), è stato poi il turno di Chris Paul (26) e infine quello di Gilbert Arenas (60). Attenzione, non stiamo dicendo che questi giocatori siano scarsi, ci mancherebbe altro, ma che l'eccessiva disorganizzazione o distrazione lacustre ha permesso loro di realizzare prestazioni superiori rispetto a quelle che potevano essere concesse con una difesa più arcigna.
Dicevamo in precedenza di due sconfitte. Detto di quella vergognosa contro i Bobcats non può essere di certo trascurata quella oscena rimediata dai derelitti Miami Heat il giorno di Natale. Mettendo da parte le ovvietà e la solita retorica in merito a questo evento mondano che periodicamente si ripete da tre anni (e che i Lakers puntualmente trascurano senza ritegno), il match contro gli Heat ha fornito alcuni spunti interessanti.
Innanzitutto si è capito abbastanza bene che, allo stato attuale dei lavori, Dwayne Wade è più tutelato di Kobe Bryant. Forse è anche giusto così per chi ha vinto e meritato al 100% il premio di miglior giocatore delle finali 2006, ma farebbe piacere che gli arbitri mantenessero un egual metro di giudizio per tutta la gara e non applicare il regolamento a seconda della posizione degli astri.
In secondo luogo si è compreso che i Lakers non possono prescindere da Lamar Odom. Il prodotto di Rhode Island, infatti, possiede un'innata esplosività e un'incredibile intelligenza cestistica su entrambi i lati del campo che quando ti vengono a mancare non riesci a colmarle con continuità .
A dimostrazione di ciò l'altalena di prestazioni del roster gialloviola, in grado di vincere a casa di Jason Kidd, Vince Carter e Dwight Howard, ma anche di perdere contro Primoz Brezec, Jason Kapono o Matt Carrol, è una prova inconfutabile: quello che sei in grado di fare per una sera, il giorno successivo non ti riesce. Con Odom era più facile.
Nonostante questo però, anche con la presenza di Odom, i problemi dei Lakers non erano ridotti allo zero il che conferma senza alcun dubbio come le assenze non rappresentino la quadratura del cerchio: vero nodo cruciale sono sia l'atteggiamento, quanto la convinzione fornite in ogni singolo match dalla squadra.
Già nello scorso report avevamo fatto riferimento alla svogliatezza di alcuni elementi ed ancora una volta dobbiamo segnalare questo enorme difetto nel roster gialloviola. Primo della lista dei colpevoli è sicuramente Smush Parker, giocatore dall'incredibile talento offensivo ma che, una volta fatto canestro, si dimentica completamente in quale dimensione si trova: stende tappeti rossi a chiunque, anche ad un bambino, il quale potrebbe tranquillamente appoggiare al vetro con la mano meno allenata.
Un comportamento francamente inaccettabile per un professionista di quel tipo, soprattutto se si pensa di quanto potenziale sembra avere a disposizione il ragazzo. Da questo punto di vista, forse, il saggio Phil Jackson sta commettendo un grande errore. Come si può ancora dar fiducia ad un play che difende così poco e che continuamente dimostra così scarsa attenzione ad una fase così decisiva nella pallacanestro? Tex Winter lo dice da tempo, ma Phil, probabilmente, vede qualcosa che noi umani non possiamo neanche immaginare. Aspetteremo fiduciosi.
Non certo incolpevoli tutti gli altri, certo un gradino sotto a Parker, ma che non possono ritenersi immacolati: Jordan Farmar, Vladimir Radmanovic (caduto nuovamente in un limbo di mediocrità ), Luke Walton (ancora molto limitato quando non si tratta di attaccare) Brian Cook e Andrew Bynum. Unico a salvarsi, forse, solo Rony Turiaf, uomo in missione, il quale sembra sfruttare ogni singolo secondo come fosse l'ultimo. Un vero condottiero.
Dicevamo di Bynum. Dopo l'infortunio di Brown, del quale scrivevamo all'inizio dell'articolo, è tornato in ballo un posto da titolare nel quintetto di partenza. In questi giorni di pausa si è discusso molto nell'ambiente gialloviola su chi possa essere il sostituto naturale dell'ex prima scelta dei Washington Wizards. All'inizio coach Jackson aveva affermato che Bynum non sarebbe partito da titolare perché il ragazzo non aveva ancora dimostrato di possedere la voglia necessaria, soprattutto in allenamento. Turiaf avrebbe preso il posto di Brown.
Immediata è arrivata la risposta di Bynum: "Mi sento pronto, non vedo l'ora di scendere in campo e di dimostrare di valere il posto che ricoprivo all'inizio dell'anno. Rispetto a due mesi fa mi sento migliorato e posso sfruttare al massimo l'opportunità ". Risposta prevedibile del diciannovenne angelino, colto nell'orgoglio e forse non ancora abituato ai "mind games" del plurititolato coach dei Lakers.
Così Jackson ha risposto martedì, dopo l'allenamento, ai giornalisti che gli chiedevano una reazione alle dichiarazioni di Bynum: "Ci sono buone possibilità che Bynum parta titolare. L'unica cosa che non voglio vedere sono tre falli nei primi sei minuti di gioco. Penso che questo l'abbia capito Andrew". Una dichiarazione forte, che fa capire come il lavoro, l'applicazione e la serietà siano caratteristiche indispensabili in un team NBA.
Negli ultimi dieci giorni però, una delle principali preoccupazioni dello staff tecnico lacustre è stata la situazione infortuni, ulteriormente aggravatasi dopo la distorsione alla caviglia destra di Kwame Brown. Secondo gli ultimi esami il centro sarà assente dai parquet NBA per sei settimane, un lunghissimo stop che concederà maggiori minuti a Bynum, Cook e Turiaf.
Stabili invece la quote di Lamar Odom: infortunatosi al ginocchio lo scorso 13 dicembre a Houston, tornerà ad allenarsi entro un paio di settimane per rivedere infine il parquet all'inizio di febbraio. La decisione è del giocatore: "Mi sento meglio - ha affermato Odom - ma voglio ancora prendermi del tempo prima di rientrare. Quando tornerò sarò al 100%".
Soddisfatto anche Phil Jackson il quale ha dichiarato:"Sono molto contento che Odom stia migliorando, ma sono altresì felice del modo in cui la squadra ha reagito alla sua assenza. Lamar è una nostra colonna, è un giocatore che può creare su un campo di basket, ma che allo stesso modo può difendere e contribuire nel distruggere il gioco avversario. Per noi è molto difficile sostituirlo, ma non stiamo sfigurando".
"Dulcis in fundo", tanto per utilizzare una lingua a lui cara, abbiamo lasciato l'argomento Kobe Bryant. Innanzitutto è stato nominato giocatore della Western Conference del mese di dicembre. Già questo, da solo, è un evento abbastanza straordinario che inserisce di fatto il 24 in gialloviola nella corsa a MVP della stagione. Di notevole peso nel giudizio espresso sono state le prestazioni contro San Antonio (34 punti, 8 rimbalzi e 3 rubate), Houston (53 punti, 10 rimbalzi e 8 assist), Charlotte (58 punti, 5 rimbalzi, 4 assist) e Phladelphia (34 punti, 8 rimbalzi e 6 assist).
Se escludiamo poi la gara contro i Bobcats (in cui gli arbitri non hanno esitato ad accanirsi contro il nativo di Philadelphia e ai quali Kobe non ha voluto rivolgere neanche una parola nel dopogara) stiamo assistendo ad nuovo Bryant, che pensa molto di più alle esecuzioni, alla triangolo, al sistema, alla squadra di quanto non abbia mai fatto nella sua vita. Le prestazioni sono lì a confermarlo e anche i numeri non mancano di sottolineare questo aspetto.
Anche difensivamente il figlio di Joe Jellybean sembra maggiormente coinvolto, segno questo che non tutte le energie vengono convogliate nella fase offensiva. La domanda è: durerà ? Difficile rispondere, certo è che Bryant non gioca nello stesso modo dello scorso anno e i risultati gli stanno confermando che la strada giusta è stata intrapresa. D'altronde già avevamo assistito a questo "new style" di Bryant nella scorsa serie di playoff contro Phoenix, ma il fatto che tale atteggiamento venga osservato religiosamente anche in regular season è una sorpresa per molti (per altri una conferma).
Il futuro
Le prossime quattro partite saranno un bel test per i lacustri: subito in trasferta i redivivi Sacramento Kings, che seppure non competitivi come negli scorsi anni, rappresentano da sempre la principale rivalità per i gialloviola, soprattutto quando Kobe e soci sono impegnati all'Arco Arena. In seguito due gare in casa. La prima sarà contro i Denver Nuggets di Allen Iverson, principali avversari, insieme a Houston, per il quinto posto ad ovest. La seconda, nella notte fra domenica e lunedì vedrà i Lakers affrontare i più in forma della Lega, i Dallas Mavericks di Marc Cuban. Successivamente, il 10 e 11 gennaio, i gialloviola affronteranno un impegantivo back-to-back rispettivamente contro i Memphis Grizzlies di Pau Gasol e gli Houston Rockets di Tracy McGrady. Non sarà facile. Infine, si torna allo Staples Center per la sfida contro gli Orlando Magic di Dwight Howard.
Stanotte, venerdì 5 gennaio, ore 4.30: Sacramento Kings - Los Angeles Lakers = 128-132, dopo un tempo supplementare (W)
Sabato 6 gennaio, ore 4.30: Los Angeles Lakers - Denver Nuggets = 123-104 (W)
Lunedì 8 gennaio, ore 3.30: Los Angeles Lakers - Dalla Mavericks = 101-98 (W)
Mercoledì 10 gennaio, ore 2.00: Memphis Grizzlies - Los Angeles Lakers = 128-118 (L)
Giovedì 11 gennaio, ore 2.30: Hoston Rockets – Los Angeles Lakers = 102-77 (L)
Sabato 13 gennaio, ore 4.30: Los Angeles Lakers – Orlando Magic = 109-106 (W)
Stay tuned