Focus: Earl Boykins

Earl Boykins tiene il campo contro i giganti della NBA con una abilità  unica…

Se si va su un motore di ricerca e si prova a cercare qualche immagine di Earl Boykins non ci si può non stupire: le prime fotografie disponibili sono quelle in cui vediamo un nanetto alto 1 metro e 65 e la maglia numero 11 dei Nuggets a confronto con Shaq (2,11 metri), Kirilenko ( 2,06 ) e Yao Ming ( 2,26 ).

Cos'è uno scherzo? È forse una partita di esibizione o un'amichevole? È un'americanata in cui si mettono a confronto un nano e un gigante? No.

Il piccolo uomo è Earl Boykins, è nella Lega dal 1999, sa giocare e pure bene. La sua storia è unica, così come la sua forza di volontà  spaventosa che lo ha portato a superare le migliaia di difficoltà  dovute al suo minuscolo fisico e ad emergere tra dei giganti.

Chiunque abbia mai visto una partita con lui in campo non può non essersi detto: – Guarda quello com'è piccolo! Ma come fa a giocare?

Poco dopo però i dubbi sul come possa stare in campo si dissolvono perché più o meno alla velocità  del pensiero il nostro è già  volato a depositare al ferro 2 punti facili facili". O non troppo facili?

Una domanda curiosa che ci si può porre riguardo a Boykins è se egli sia il giocatore più piccolo ad aver giocato nella NBA. La risposta è incredibilmente no. A cavallo tra gli anni 80 e 90 giocò infatti per ben 14 stagioni Muggsy Bogues, un nanetto del Maryland le cui misure recitano 1,60 metri per 62 chili.

Earl Boykins, fisico piccolissimo ma cuore immenso

Earl Antoine Boykins nasce a Cleveland, nell'Ohio (anche se ormai è più corretto chiamarlo Lebron's State, vista la pubblica adorazione per il 23) il 2 Giugno 1976. Sin da piccolo non fu molto fortunato a livello fisico ma, nonostante le dimensioni ridottissime, si interessò subito alla pallacanestro, notoriamente sport dei giganti, grazie al padre.

Si recò infatti con lui moltissime volte al playground, anche se le prime volte che ciò accadde gli amici di suo padre videro il genitore arrivare con il figlioletto in una borsa della spesa, che seppur grande è sempre una borsa. Partita dopo partita, fallo subito dopo fallo subito il nostro imparò a usare la palla e capì come quel fisico avrebbe potuto essere stato un'arma devastante contro gente molto più grossa e alta.

Crescendo iniziò a mostrare tutte queste qualità  dapprima alla Cleveland's Central Catholic High School e poi al college, presso Easter Michigan University. Ha avuto coraggio EMU ha offrire una borsa di studio ad un giocatore con le sue caratteristiche, ma di sicuro ne è stata ripagata con gli interessi.

Nei quattro anni con gli Eagles infatti Earl continuò a migliorare le sue cifre, addirittura raddoppiandole. Il primo anno partì infatti con 12,5 punti e 4,5 assist e, partita dopo partita, anno dopo anno arrivò a 25,7 punti e 5,5 assist a gara nel suo anno senior, il quarto. Fu titolare in 121 delle 122 partite a cui prese parte ed ebbe il gran merito di portare EMU fino agli ottavi del torneo NCAA, cosa che gli valse il posto ( per la seconda volta però ) nel primo quintetto della Mid - American Conference.

Ricambiò la fiducia datagli dall'ateneo ottenendo il record di assist ( 624 ) e il secondo posto assoluto nei punti ( 2.211 ) dietro ad un oldies del gioco come Kenny McIntosh a soli 8 punti di distanza (2.219). Quest'ultimo giocò infatti 4 stagioni dal 1971 al 1975 tra Chicago e Seattle senza lasciare però grandi tracce del suo passaggio.

1998, dopo il college… la CBA

Nel 1998, al contrario di McIntosh, sembrava che Boykins non avrebbe mai lasciato segni del suo passaggio nella NBA, ancora per colpa del suo fisico. Nessuna squadra infatti decise di rischiare la chiamata usandola per lui al draft in una lotteria, quella del 1998, molto contraddittoria considerando Olowokandi chiamato alla numero 1 (la testa degli scout dei Clippers è ancora al suo posto?) e Wunder - Dirk alla numero 9 o Raef LaFrentz al 3 e Paul Pierce al 10.

Assieme a lui non furono scelti anche Brad Miller e/o Sarunas Jasikievicius, ma questi ultimi avrebbero potuto rifarsi con minori difficoltà  rispetto a Earl.

Dopo la grande delusione del draft il nostro piccolo campione andò a farsi le ossa nella squadra più antica della CBA, i Rockford Lightning, attivi in una delle 2 leghe di sviluppo ( oltre alla CBA c'è anche la NBDL ) dal 1978. Con la stessa maglia ha giocato anche Bruce Bowen, con Boykins il più noto giocatore NBA ex - Lightning, ma anche giocatori minori capaci comunque di arrivare tra i professionisti come il suo compagno ai Nuggets Eisley o Mike James, comepagno di KG a Minnesota.

Nell'Illinois Boykins giocò due stagioni di diverso valore.
Nella prima infatti si fermò a 7,4 punti e 3,7 assist in 29 match, mentre nelle 18 partite della seconda stupì tutti trivellando le retine avversarie con 21,6 punti e 9,3 assist a partita, cifre che gli valsero rispettivamente il secondo posto in classifica marcatori e il primo in quella passatori.

Cosa ben più importante delle classifiche CBA, fu però anche visto dagli scout NBA dei New Jersey Nets che gli fecero firmare un primo contratto il 21 Gennaio del 1999.

Una partenza tutto sommato rivedibile…

La sua prima avventura nella Lega, anzi, le sue prime avventure, non rimarranno marchiate a fuoco nella storia. All'inizio infatti la fiducia in lui da parte del mondo professionistico era molto ridotta e le sue presenze in campo furono quasi tutte "a babbo morto", con la partita ormai decisa.

I Nets in cui giocò Earl non erano certo quelli attuali, ma una squadra da 16 vittorie e 34 sconfitte, in una stagione già  mutilata dalla serrata. La dirigenza della squadra della palude del New Jersey non ritenne che Boykins potesse essere utile e decise di tagliarlo dopo poco meno di un mese di gare.

Il nostro fece quindi fagotto e se ne andò dal New Jersey. Dovette attendere circa un mese e in Marzo i Cavs, la squadra della sua città  natale, gli offrirono un contratto dapprima da 10 giorni e poi fino alla fine dell'anno.

Purtroppo nemmeno a Cleveland trovò il giusto spazio e la sua annata 1998-1999, ad esclusione della firma sul primo contratto pro, si dimostrò insignificante. Nei due successivi anni, dal 1999 al 2001, la situazione non mutò, e il piccolo Earl riuscì a giocare per motivi diversi appena 36 partite.

La stagione 1999-2000 iniziò, anzi continuò, nella natia Cleveland - dove disputò 25 partite con cifre irrisorie - per poi continuare il tempo di una comparsata a Disney World a Orlando per disputare una sola partita con i Magic.

Con il nuovo millennio Boykins volò da un oceano all'altro e atterrò nella città  degli angeli. Qui rimase due anni alla corte dei Velieri dello spilorcissimo Donald Sterling e se nella prima stagione passò molte più giornate in infermiera che in campo dalla seconda iniziò a cambiare molte partite con il suo ingresso dalla panchina.

Il primo anno fu infatti inserito in lista infortunati per ben 68 serate, prima a causa di problemi al ginocchio sinistro, poi per la fascite plantare. Riuscì a scrivere il suo nome a tabellino in 10 partite, ottenendo season high da 15 punti (contro gli Hawks) e 9 assist (contro i Nuggets). Come se la sua storia fosse un film fece il suo esordio in campo nel derby con i Lakers facendo una discreta figura.

L'anno seguente coach Alvin Gentry fece un maggior uso del minuscolo playmaker, buttandolo nella mischia ben 68 volte e dandogli due ingressi in primo quintetto. Quell'anno però le cifre non furono granché, stabilizzandosi sui 4 punti e 2 assist a serata,e alla scadenza del suo contratto da 650.000 $ decise di diventare free-agent. La stagione successiva, 2002-2003, fu quella della svolta.

Decise infatti di andare a nord di poche miglia, fino ad arrivare nella baia e firmare con i Golden State Warriors, allora allenati da Erik Musselman, l'attuale allenatore dei Sacramento Kings. L'idea iniziale del coach era quella di usarlo come back-up per il giocatore più vendicativo della Lega, tale "Quality Shots" Gilberto, ma con il passare del tempo e delle partite si accorse di come quel minuscolo giocatore avrebbe potuto essere ben più di un backup.

Musselman iniziava a capire come inserire in campo nel quarto finale il nanetto dell'Ohio fosse un qualcosa di molto simile ad un'assicurazione sulla vittoria. Boykins piazzò ben 10 quarti finali da 10 o più punti, e in queste situazioni i Warriors ebbero un record di 8 W e 2 L.

L'allenatore dei guerrieri lo fece trottolare sul parquet il 68 partite e le sue cifre finali parlano di quasi 9 punti e 3,3 assist a partita. Non arrivò la post-season quella stagione nella baia (è ormai dal 1994 che non si giocano i playoff ad Oakland..) ma arrivarono invece gli agenti dei Denver Nuggets al campanello di Boykins, il cui contratto era in scadenza alla fine dell'anno, desiderosi di portarlo con loro in Colorado.

Earl accettò, e firmò un contratto da ben 2,5 milioni di dollari all'anno, quasi 5 volte maggiore rispetto a quello depositato negli uffici dei Warriors. Puntavano molto e molti soldi su di lui i Nuggets, che erano appena entrati nella fase Carmelo Anthony, fresco di terza scelta al draft.

Ma come può giocare uno come lui?

Prima di parlare dei 3 seguenti anni ai Nuggets in cui Boykins si è consacrato come un eccellente giocatore, è meglio fermarsi un attimo per descrivere brevemente che tipo di giocatore sia ora, anche se non è difficile immaginarlo (causa dimensioni).

Il numero 11 di Denver praticamente gioca a due sport diversi, uno in attacco e uno in difesa. Partiamo dal lato a lui più congeniale, ovvero con palla in mano. I quesiti che lui pone alle difese sono spesso insolvibili, perché nessun'altra squadra ha un giocatore così piccolo e veloce e con simili capacità  di penetrazione.

La distribuzione dei suoi tiri nella sua militanza a Denver parla molto chiaro: quelli dentro l'area sono 4 volte maggiori rispetto a quelli fuori, sintomo ormai della sua tenacia nel lanciarsi in mezzo a gente alta almeno mezzo metro più di lui.

Le molteplici penetrazioni di un proiettile come lui portano sempre a tanti contatti e dunque tanti tiri liberi. Boykins ha appoggiato i piedi in lunetta addirittura 639 volte in 3 stagioni, all'impressionante media di 213 l'anno. Il fatto che poi li tiri benissimo non è secondario, nei tre anni presi in considerazione ha avuto un incredibile 89 % di realizzazione.

Per capire l'importanza delle cifre va ricordato di come siano state ottenute con un impiego medio di soli 25 minuti. La sua presenza in attacco è davvero devastante dunque, un vero e proprio furetto che esce dalla panchina per incendiare il parquet con le sue accelerazioni.

Dall'altra parte del campo, invece, abbiamo la metà  mezza vuota del bicchiere. Gli avversari infatti cercano sempre di isolarlo e di metterlo contro gente molto più grossa e alta di lui (non ci vuole molto a dir la verità "). Anche per questo non è stato il playmaker titolare in questi anni, prima Bzdelik, poi Cooper e infine George Karl ( i suoi 3 coach a Denver ), attuale allenatore dei Nuggets, preferiscono inserire questo missile terra-aria a partita iniziata per tenere altissimo il ritmo.

Boykins decisivo?Ma va!

Tornando al nostro racconto, Boykins aveva appena firmato con Denver: i dirigenti non si sarebbero mai aspettati di trovare un giocatore così. Inizialmente fu preso per dare fiato ad Andrè Miller e, nonostante questo, riuscì ad incrementare notevolmente tutte le sue statistiche nelle 3 stagioni complete finora trascorse a Denver.

Infatti andiamo dai 10,2 punti della prima stagione (quella 2003-2004) ai 12,6 di quella appena passata, con delle percentuali nei tiri da due sempre superiori al 40 %. Non ha nemmeno avuto alcun problema fisico nei suoi primi 2 anni. La stagione scorsa però a Gennaio si ruppe il terzo e il quarto metacarpo della mano sinistra e fu costretto a saltare 16 partite. Le sue prestazioni fino a fine anno vennero condizionate dall'infortunio. È infatti la sinistra la mano con cui Boykins ama giocare di più.

Karl ha sempre utilizzato Boykins nello stesso modo in cui lo hanno fatto i suoi predecessori: difficilmente lo fa partire in quintetto ma altrettanto difficilmente non lo fa giocare nel quarto conclusivo, dove la palla scotta e serve gente come lui, che la sappia trattare. A proposito di cose che scottano, nei 3 anni a Denver il nostro è sempre riuscito ad aiutare la squadra ad arrivare ai playoff, ma non ha potuto evitare ogni anno delle serie perdenti al primo turno.

I Nuggets hanno infatti subito 3 sconfitte per 4 a 1 nei tre anni scorsi, rispettivamente contro i T'Wolves, gli Spurs e i Clippers. Earl ha dato il suo solito contributo, ma non è bastato. Le sue medie contro gli Spurs recitano un buon 14,2 punti ( e contro dei difensori come gli speroni in versione post-season non è male), mentre la scorsa stagione contro i suoi ex-compagni angelini non riuscì ad andare oltre gli 11 punti e i 4 assist a partita.

Ma è in questa stagione che Boykins sta dimostrando a tutti chi è davvero. E se sarà  sempre quello delle ultime partite dei Nuggets, quelle senza Melo e JR Smith ( fino alla squalifica primo e secondo marcatore della squadra ), Denver può fare 150 punti a partita con il rientro dei "rissaioli" fissato nel mese di Gennaio.

Schierando in campo gente che aggredisce il canestro come Boykins, Iverson, JR Smith e Carmelo, nella metà  del campo in cui si attacca non sappiamo chi potrà  fermarli.

In questa stagione il piccolo numero 11 ha per ora giocato in 25 partite su 27 dei suoi e questi primi due mesi hanno avuto risultati abbastanza diversi. A Novembre infatti le sue prestazioni sono state molto simili ai grafici del Nasdaq. È infatti volato altissimo, metaforicamente parlando, con Minnesota segnandone 28 il 3 del mese, ma poi ci sono state anche partite da 2, 0 e 4 punti, ma leggendo tutte le statistiche non si rimane a bocca aperta. Questo anche perché non gli si può chiedere di essere decisivo entrando dalla panchina e giocando pochi minuti.

A proposito di tempo trascorso in campo, nel mese di Dicembre la tacca dei minuti si è settata sempre sopra i 20 e anche quella delle sue prestazioni si è consolidata verso l'alto. La doppia cifra nelle prime 9 partite del mese, fino ai New York Knicks, era un appuntamento quasi irrinunciabile. Fino ai Knicks si diceva.

Si, perché la rissa e le squalifiche combinate sono state involontariamente un assist incredibile per il piccolo Earl. Come detto sopra la squadra perdeva infatti i suoi 2 migliori realizzatori, e qualcuno avrebbe dovuto prendere il loro posto. È dunque arrivato Iverson e tutti al suo arrivo pensarono giustamente che sarebbe stato lui a guidare sempre e comunque l'attacco di Denver. Pochi però al momento dell'arrivo di AI pensarono che non sarebbe stato da solo a far impazzire gli avversari.

Detto, fatto. Da quando coach Karl ha lasciato Earl in campo per tanti minuti causa squalifiche altrui Boykins si è scatenato. Nella prima partita dopo la rissa ha guidato i suoi al successo contro i Wizards, segnando 29 punti passando 6 assist e prendendo pure 7 rimbalzi ( che non si sa mai ).

Nelle seguenti partite, giocando in coppia con AI3, ha avuto serate eccellenti da 25,28 e 24 punti, rispettivamente contro Kings, Celtics e Sonics. Anche Allen sta dando il suo, tenendosi sempre ben sopra i 20 punti e formando con Earl una coppia di puffi atomici difficilissima da fermare anche per le ben note caratteristiche fisiche. È dunque quella in corso la sua migliore stagione e finora, ultima partita dell'anno per i Nuggets vinta con i Sonics, Boykins ha fatto segnare le migliori statistiche della carriera.

Sta dimostrando a tutti che può meritarsi più spazio anche entrando dalla panchina, che il suo territorio di caccia preferito non si limita ai quarti finali. Basta dargli minuti. Per ora siamo al 37% da 2, 34 % da 3 e al 91 % (Novantuno percento) dalla linea del liberi. Vedremo se Karl vorrà  affidarsi a lui anche con il ritorno dei suoi squalificati, di sicuro sarebbe in buone mani, anche se con il baricentro basso….

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