I 76ers ci mettono grinta, ma le corazzate ad ovest erano altra cosa
Tori già allo sbando? Scott Skiles sotto accusa? Le strategie della franchigia completamente da rifondare?
Riprendiamo volutamente lo stesso cappello dello scorso report, per far vedere come un calendario più o meno fortunato possa cambiare i giudizi su di una squadra a sole due settimane di distanza.
Risultati:
@ Philadelphia L 108-123 (3-9)
@ New York W 106-95 (4-9)
Vs New York W 102-85 (5-9)
@ NO/Oklahoma City W 111-108 (6-9)
Vs Washington W 112-94 (7-9)
Vs Boston W 100-82 (8-9)
Vs Philadelphia W 121-94 (9-9)
Dopo la tremenda (l'ennesima peraltro degli ultimi anni) partenza dei Bulls in questa regular season, sono bastati il ritorno ad est, le mura amiche ed una serie di squadre piuttosto compiacenti, ed ecco che il record della squadra di Chicago è tornato a navigare verso il 50% nel bilancio fra vittorie e sconfitte, un 9 vinte e 9 perse che nella Eastern conference di oggi, vale tanti, profondi respiri di sollievo.
Oggi, la striscia aperta che i Bulls stanno mantenendo dal back to back contro i Knicks, rappresenta la miglior serie di vittorie aperta dell'Est, la seconda dell'intera lega, dopo le 7 vittorie consecutive dei Suns.
Ma cosa è successo?
Improvvisamente la squadra ha girato la chiave nel cruscotto ed il motore del gioco rosso nero si è improvvisamente acceso?
No, come già spiegato brevemente all'inizio, semplicemente nella NBA di oggi la differenza fra una squadra con record positivo ed una con record negativo, soprattutto se nei primi mesi di gioco, può andare ben oltre quello che il semplice aspetto di giocare bene o male.
Il calendario innanzi tutto: dopo il tremendo viaggio ad ovest arrivato dopo sole 3 partite di stagione, i Bulls sono tornati a giocare allo Uniter Center e mentre le rivali se la vedevano un po' loro, con i vari texani e californiani, si sono potuti misurare con avversari tutti dal bilancio in negativo.
La fiducia è quindi arrivata un po' alla volta: la vittoria si sa, è un ottimo corroborante ed è evidente di come questa squadra soffrisse di una sorta di "ansia da prestazione" nelle prime uscite stagionali.
Le W nel cartellino sono poi arrivate nel modo più inaspettato, approfittando di una insolita trazione anteriore. Nelle ultime 7 gare, bilancio 6 - 1, i Bulls non sono mai scesi sotto i 100 punti segnati, hanno avuto 4 diversi migliori marcatori, 3 diversi migliori assist man e 4 diversi migliori rimbalzisti.
Ecco, proprio sui rimbalzi si fermano le buone notizie.
Sì, perché se da un lato le sorprese e le conferme in questo settore arrivano dal giovane Thomas, dal volitivo Nocioni e dall'atletico Deng, la grande delusione e l'incognita del prossimo futuro si chiama Ben Wallace.
E qui si dovrebbe dire, galeotta fu la bandana.
Cosa c'entra la fascia per capelli o come la vogliate chiamare? Facile, questo discreto indumento è stato il detonatore che proprio all'inizio della striscia vincente ha catapultato fuori dallo spogliatoio dei Bulls, il conflitto interno fra coach Skiles e l'ex Bad Boy.
Nell'organizzazione dell'Illinois, è ormai noto come viga un codice deontologico estremamente rigido, che mette al bando la musica troppo alta negli spogliatoi, l'i-pod durante gli allenamenti, il non utilizzo di apposite cavigliere nell'attività agonistica e persino determinati indumenti fra i quali proprio le amate fasce per bloccare i capelli di Wallace.
Metteteci in più che l'ex centro del team USA e dei campioni del mondo di Detroit sta giocando a livello di 2 / 3 rimbalzi di media sotto i suoi standard e con evidenti problemi di inserimento tattico ed ecco che la frittata è fatta.
Il tutto è scaturito in una serie di sostituzioni nelle partite a cavallo fra la fine di novembre e dicembre con l'apice toccato nella partita (persa) contro Philadelphia allo Spectrum: per Wallace 20 minuti di utilizzo, 0 su 2 al tiro, un rimbalzo (è vero, andate a controllare) e due falli.
La stampa a seguito di tale prestazione si è scatenata: Big Ben è stato bollato senza mezzi termini come bidone, pacco arrivato dai Pistons, di conflitti inconciliabili con il suo ferreo allenatore.
Ma proprio nelle caratteristiche dell'allenatore sta l'anomalia del discorso: ma come, proprio due uomini la cui etica del lavoro è tanto simile, due uomini di ferro, due lottatori di questa specie vanno a litigare per qualche comportamento fuori dalle righe?
Nelle gare successive, la diplomazia ha preso il sopravvento, Wallace ha dichiarato pubblicamente il proprio rammarico (ma non si è scusato) e le vittorie hanno contribuito a svelenire l'ambiente.
Resta però il fatto che questo Wallace atteso come grande protagonista, come chioccia per i giovani leoni di Chicago, stia deludendo rispetto al consueto ruolo di underdog, di sfavorito che riesce a sollevare i propri mezzi oltre l'atteso.
Le statistiche parlano chiaro: rispetto all'ultima stagione nella Motown, il virginiano segna 1.2 punti in meno a gara, ha aumento palle perse e falli a fronte di una diminuzione di assist e palle rubate e cosa più grave stoppa meno e cattura quasi 3 rimbalzi in meno a gara.
Ora, molto probabilmente queste statistiche andranno a migliorare essendo condizionate dal nefasto mese di novembre, ma si tratta di un campanello d'allarme. Un campanello che potrebbe tornare a farsi sentire se la squadra non dovesse salire di rendimento nei mesi più importanti.
In attesa di questi però, il grano in cascina dovrà arrivare dalle prossime sfide, tutte in casa, contro Toronto, Minnesota, Indiana Seattle e Milwaukee.
Alla prossima".