This Time It Counts

Hank Blalock, decisivo il suo fuoricampo nel finale…

Tre innings da giocare, tre punti di vantaggio e la possibilità  di schierare sul monte Billy Wagner, Eric Gagne e John Smoltz" diciamoci la verità , nessuno, neanche Pete Rose avrebbe scommesso sull'American League a quel punto" eppure, se l'assunto di Yogi Berra "it's not over 'til it's over", gode ancora di ottima salute nonostante il passare degli anni, un motivo ci dovrà  pur essere" ed il motivo è che in questo affascinante sport, la rimonta è sempre dietro l'angolo ed un momento di debolezza del tuo pur sensazionale closer, magari causato da grandi prestazioni sul piatto da parte degli avversari, può far girare partite che sembravano chiuse da tempo"

Se l'home run di Jason Giambi su una fastball di Wagner, portava a soli due punti, il vantaggio degli uomini di Dusty Baker, era il doppio di Garret Anderson nell'ottavo inning ad avviare la definitiva rimonta della American"il pinch runner Melvin Mora, sostituiva l'esterno degli Angels sulle basi, per andare comodamente a punti sul successivo doppio di Vernon Wells che accorciava ulteriormente il risultato, mentre sul piatto si presentava il terza base dei Rangers, Hank Blalock.

Poiché il destino è cinico e baro, ma alle volte sembra mostrare un gran senso dell'umorismo, era proprio Blalock, a mettere a segno il fuoricampo da due punti che portava in vantaggio la squadra del Manager Mike Scioscia, girando una fastball di un Gagne finito subito in svantaggio nel conto e costretto a veder volare via la pallina in campo destro, proprio a ridosso del logo dell'All-Star Game, riportante chiaro e inequivocabile lo slogan "This Time It Counts", fortemente voluto dal Commissioner Bud Selig dopo il fiasco dello scorso anno.

La partita si chiudeva quindi con l'American League vincente per 7 a 6 e l'indubbio privilegio di ospitare, come da nuovo regolamento, l'eventuale gara sette delle World Series, privilegio che sino allo scorso anno veniva stabilito da una regola dell'alternanza che non sempre sembrava convincere i più.

Di certo, a non convincere sin dal principio i giocatori era questa innovazione apportata da Selig, innovazione che resterà  in vigore anche il prossimo anno e che veniva accolta da quelli che poi in campo ci vanno per davvero, grosso modo all'unanimità , come una sciocca operazione di un burocrate intento a cancellare l'onta della passata stagione" il dibattito resta aperto, ma se, come dice Jim Caple, analista di espn.com, "se fossero gli atleti a decidere la politica delle Major Leagues, avremmo sdraio di pelle e le avvenenti cameriere di Hooters nei pressi del dugout"" è anche legittimo riconoscere a giocatori di questo livello quella professionalità , quella passione e quello spirito pugnace che li porta a competere ogni volta dando il massimo.

Del resto, se John Smoltz si apprestava a dichiarare, prima della partita, che sarebbe andato in campo, per rappresentare "da prima me stesso, poi il mio team e solo dopo la mia Lega"", è altrettanto vero che quasi tutti i protagonisti, erano pronti a sostenere che niente sarebbe cambiato a livello di approccio alla partita e che gli unici per cui sarebbe stato diverso, sarebbero stati probabilmente i managers, i quali, costretti sino allo scorso anno a mettere in piedi, più che una squadra, una passerella per vedettes intente a concedersi per pochi innings salvo poi correre a degustare pistacchi sulla panca affollata, con il nuovo regolamento, avrebbero dovuto adottare tattiche e contromosse, prepararando adeguatamente la partita, magari anche tramite l'utilizzo del sempre adorato (dai managers") videoregistratore.

Questioni di lana caprina in fondo, ma se dal 1979, sette delle otto squadre a disputare gara sette delle World Series in casa, hanno poi potuto festeggiare l'anello, forse quello di Blalock è stato un po' più che un fuoricampo in una partita di esibizione, come si affrettava a dichiarare ai microfoni: "sono contento soprattutto per i ragazzi della squadra che avranno la possibilità  di giocare le World Series"".

Di certo lui non ci sarà , ma chi potrebbe esserci e ci è già  stato, è Garret Anderson, Most Valuable Player della partita il giorno dopo aver trionfato a sorpresa nell'Home Run Derby, sconfiggendo in finale Albert Pujols. A sorpresa, certo, perché Anderson, esplosivo in campo, quanto riservato di fronte a microfoni e telecamere, da anni risulta il giocatore più sottovalutato delle Majors e neanche il titolo dello scorso anno e la candidatura ad MVP del campionato sono bastati a garantirgli quella ribalta che d'altronde, egli stesso, gradirebbe evitare.

L'eroe sfortunato, Eric Gagne, 31 salvezze prima dell'All Star game, si dichiarava dispiaciuto per la National League ma era pronto a dirsi deciso a recuperare ad ottobre, ciò che era stato costretto a lasciare per strada: "Mi dispiace ma è questo ciò che vuol dire essere un closer"".

I due manager infine, apparivano entrambi soddisfatti per l'eccezionale livello tecnico dell'incontro e mentre Scioscia ci teneva a far sapere di non considerare fondamentale il fattore campo nelle World Series ("Sono un sostenitore del fatto che è "come giochi" e non "contro chi" o "dove giochi" che fa la differenza""), Dusty Baker si dichiarava un po' deluso del risultato, ma anche stupito del trattamento subito da Gagne da parte delle mazze avversarie… "sono sicuro che i ragazzi in campo avrebbero dato il massimo in ogni caso, anche senza questa posta in palio"".

Già " Andruw Jones, l'aveva detto forte e chiaro nel pregara: "Il fattore campo non conta nulla sino a che non arrivi a gara sette" andrò in campo per vincere perché sono un vincente"". Boccaccia sua"

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