‘DreamTeam’: una chimera?

A proposito di DreamTeam, che ne dite di questo trio?

La qualità  del gioco offensivo espresso nelle ultime finali ha fatto scuotere la testa a più di un appassionato, sul banco d'accusa il principale imputato sembra essere il giocatore "medio" NBA, sempre più simile ad un centometrista che ad un cestista nel senso classico del termine.

La difesa com'è noto ha reso gli Spurs campioni del mondo, una difesa asfissiante, soffocante capace di schierarsi nella propria metà  campo con tempi da primato anche in caso di scellerata palla persa del playmaker (Parker non scuotere la testa) o di un tiro forzato della batteria degli esterni.

Giocoforza l'attacco ne risente, non potrebbe essere altrimenti, la cosa interessante da notare è "l'assemblaggio" delle squadre campioni, team sempre più imperniati sulle doti di due giocatori "guida" circondati da schiere di comprimari, di specialisti, questo trend inaugurato dal coach zen con i suoi Bulls e poi continuato a L.A. sembra diventato un vero e proprio diktat.

Le squadre ricche di talento sul parquet e in panchina faticano ad emergere, spesso naufragano miseramente sullo scoglio insormontabile di una post-season sempre più fisica, sempre più dura, dominata solo da pochi fuoriclasse capaci di mascherare le magagne dei compagni e spesso anche dei propri allenatori.

Allestire un "Dreamteam", una squadra ricca di talento offensivo e difensivo dovrebbe in teoria essere il sogno di ogni GM che si rispetti, eppure oggi sono tutti alla ricerca del giocatore "chiave", di un comprimario in grado di interagire con i campioni che ci sono già  (o presunti tali).

I Bulls si affidavano al duo Jordan-Pippen e attorno a loro hanno sfilato decine di giocatori che altrove avrebbero faticato a superare il training camp, i Lakers al terrificante binomio Shaq-Kobe mentre gli Spurs hanno basato le proprie fortune su Duncan-Robinson con sortite importanti come secondo violino di Parker, ma solo quando il francesino aveva la luna giusta.

Hey, i Rockets dei due anelli a metà  anni novanta?
Avete ragione questa è una notabile eccezione, la squadra di "the dream" poteva contare su gente del calibro di Cassell, Horry giovane ma già  decisivo, Drexler, Smith insomma un amalgama di talento cinque stelle o quasi dove i comprimari come Elie sapevano rendersi utili ma lasciavano il proscenio a gente con bel altro dna cestistico, resta il fatto però che MJ non c'era, o quasi"

Durante i ruggenti e mai troppo rimpianti anni ottanta, l'anello te lo potevi sognare solo con alle spalle una squadra ricca di elementi di qualità , se pensate ai Celtics, ai Lakers o anche ai Sixers di Doctor J e li confrontate con i roster di oggi avrete i brividi. Potete immaginare un Bowen o un Fisher anche solo in panchina in una di queste squadre?

Durante l'epopea Magic - Bird si sono alternati di fianco a queste due icone della pallacanestro un concetrato di giocatori per certi versi irripetibili, pensate semplicemente al quintetto dei biancoverdi:
Johnson-Ainge-Bird-Mchale-Parish, con Walton in panca!

Era un altro basket, meno fisico, meno esasperato ed indubbiamente più appagante per gli occhi e per il cuore.

Terminata l'epopea anni ottanta il talento si è diluito e ogni tentativo per ricostituire un "Dreamteam" è naufragato come una barchetta di carta farebbe in mezzo al mare, inesorabilmente, inevitabilmente.

Houston nella stagione corta 1999 ha riunito sotto le stesse fila Barkley, Pippen e Olajuwon senza risultati degni di nota; l'eliminazione al primo turno con i Lakers che poi avrebbero subito di li a poco il 4-0 contro gli Spurs, vale qualsiasi commento.

Sempre Pippen l'anno dopo ha fatto parte di quel traboccante "ammasso" di classe cestistica e di rivoltante "ego" dei Blazers, l'esperimento sembrava funzionare eppure i Lakers di Jackson, complici un suicidio tecnico della squadra dell'Oregon durante gli ultimi dieci minuti hanno passato il turno con gente come Shaw a fare se possibile la parte del leone.

I Kings fanno girare la testa a tutta la NBA per il loro gioco ed i loro talenti eppure un po' per il destino, un po' per incapacità  di afferrare l'attimo fuggente non hanno mai raccolto nulla di concreto ai playoffs e alla fine conta solo quello, purtroppo.

Oggi i Lakers dopo la batosta subita in questa stagione si ripresentano ai nastri di partenza con Gary Payton e Malone in più, il primo voluto fortemente da Kobe il secondo preteso dal numero 34 in gialloviola.

Jackson e Winter, i profeti del triangolo sapranno adattarsi? Riusciranno a far coesistere una batteria simile di giocatori? L'interrogativo è stimolante e il compiti di caoch Zen davvero proibitivo, cambiare filosofia tecnica a questo punto della carriera non deve essere semplice, ma come amano dire gli americani : "Sono gli idioti non cambiano idea". Restiamo in trepida attesa.

Che dire poi dell'impoverimento tecnico?
Forse la migliore sintesi è quella di Riley, prima coach dello showtime e poi arcigno artista della difesa con New York e Miami, dice il buon Pat:
"Di Magic e Jordan non ce sono tanti, anzi, ci sono solo loro due, se non li hai, l'unica è vincere con la difesa".

Discutibile l'idea di Riley ma difficilmente controvertibile, vediamo se i Lakers invertiranno la tendenza, per ora sembra saggio ingaggiare un paio di psicologi per quello spogliatoio.

Certo è che l'impoverimento tecnico parte da lontano, con la crisi della NCAA, con i giocatori di diciotto anni scelti nella lottery, con l'aumentare delle franchigie, i problemi sono tanti, vediamo se la definitiva apertura delle frontiere internazionali sarà  una buona panacea per questi mali, solo il tempo sarà  un giudice affidabile!

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