Joe Johnson riuscirà a portare gli Hawks fuori dalla mediocrità ?
Sono passati solo pochi giorni dall'inizio della regular season NBA. Poche sono le partite giocate, nemmeno dieci, eppure già si può notare come alcune cose non cambiano mai e, viceversa, altre invece sembrano decisamente avviate ad un radicale cambiamento.
Una regola non scritta, nella vita come nel mondo dorato del basket professionistico.
Sono pochi i giovani, ad esempio, che al primo anno sono già in grado di fare la differenza ; lo è stato Wade ma non pare esserlo il nostro Bargnani, che a Toronto gode peraltro di un minutaggio ridotto al minimo…va aspettato.
Assemblare un grande numero di stelle in una squadra coesa e pronta a vincere non è un'operazione a breve termine, e così i giovani Bulls dovrà aspettare di inserire al meglio Ben Wallacee per poter dire la sua ai piani più alti, mentre Houston, che ha penato non poco negli anni scorsi per fondere il silenzioso Yao e l'effervescente T-Mac con il resto della squadra, ora può contare su un gruppo pronto a far bene e forse anche benissimo già da quest'anno, potendo contare anche sulla concretezza di Shane Battier.
Scelte, mercato dei free agents e salary cap : grazie a questo geniale sistema è garantita l'alternanza nella NBA, il formarsi e il dissolversi delle dinastie, e un ciclo di costruzione, successo, smembramento e ricostruzione che propone alla ribalta sempre nuove franchigie.
Poi è chiaro che in un sistema siffatto, quelli che contano sono gli uomini nella stanza dei bottoni, i Direttori Esecutivi per le Operazioni, come sono chiamati nella NBA ; se ne hai uno buono, sei in grado di superare relativamente indenne delle brevi fasi di smembramento e ricostruzione (per esempio i Lakers), oppure, in mancanza di grandissimi investimenti, puoi proporre sempre una squadra in grado di fare bene anche se non sarai mai vincente ai più alti livelli (Phoenix,Seattle e Milwaukee per citare qualche esempio).
Se invece il D.O.E. non è di primo piano, rischi di passare vent'anni prima di riavere una squadra vincente (Philadelphia, New York e Boston ne sono l'esempio lampante, anche se in queste grandi metropoli l'influenza distruttiva dei sempre caustici ed impazienti media si fa sentire molto forte), oppure rischi di essere una di quelle squadre materasso che finiscono sempre con un record negativo da decenni : Golden State, i Clippers e, appunto, gli Atlanta Hawks.
La storia degli Hawks ha inizio nel 1949 nel Tennessee ed allora erano noti come Tricities Blackhawks. Nel 1950 divennero Hawks in concomitanza col cambio di proprietà ed emigrarono a Milwaukee, ove rimasero fino al 1954, quando vennero ceduti a un gruppo di uomini d'affari che risiedevano a Saint Louis e volevano una franchigia professionistica anche nel profondo sud degli States.
Gli Hawks, ormai abituati al nomadismo, rimasero in Louisiana solo fino al 1967 e solo in Georgia, precisamente nella capitale dello stato, Atlanta, trovarono una sede stabile che dura tuttora.
Pur non essendo mai riusciti a vincere un titolo NBA e nonostante un trend perdente che dura dal 1998, gli Hawks hanno conosciuto periodi di buon livello e altri meno felici. Dal 1968 (quando hanno iniziato l'avventura in Georgia) fino ad oggi hanno avuto 19 stagioni vincenti (sopra il 50% di vittorie) e 17 perdenti.
La squadra più competitiva mai vista ad Atlanta è stata quella allenata da Mike Fratello che evoluì tra il 1986 e il 1989 e comprendeva gente come Dominique Wilkins, Doc Rivers (che ora allena sfortunatamente i miei poveri Celtics) e un Moses Malone alle soglie del ritiro come centro. Non raggiunsero le finali solo perché nelle semifinali di conference si scontrarono ripetutamente e sfortunatamente con i Celtics di Bird.
L'ultima squadra in grado di produrre annate vincenti ad Atlanta è stata quella che un decennio dopo, allenata da Lenny Wilkens, comprendeva atleti come Steve Smith, Mookie Blaylock, Alan Henderson, Dikembe Mutombo e Laphonso Ellis, per citare i cinque più prolifici. Anche questo gruppo non riuscì ad imporsi nei playoffs ed uscì quasi sempre subito di scena.
Dal 1998 solo annate perdenti, in cui si cedevano i migliori prospetti e i pochi giocatori di valore in cambio di vera e propria zavorra e scelte future, contraendo un abbonamento pressoché duraturo ai primi cinque posti della Lottery (la lotteria, appunto, che assegna le prime dodici chiamate per i migliori prospetti presenti nel Draft annuale).
Atlanta, come tutte le città del sud degli USA è un posto ove la vita scorre più lenta, meno frenetica rispetto a quella delle metropoli degli stati "unionisti" settentrionali, Chicago e New York e a quella delle capitali della West Coast, dove sebbene regni la meno scanzonata filosofia del "Let's enjoy" e dello “Showtime”, i ritmi sono comunque elevati, sia pure nella ricerca del piacere e del divertimento.
Pertanto l'urgenza di darsi da fare per invertire la tendenza è qualcosa che si è fatta sentire solo negli ultimi due o tre anni, dopo che però la franchigia si era già abbondantemente coperta di ridicolo negli anni precedenti, conquistandosi la sinistra fama di "franchigia-discarica", un team, cioè, che non avendo velleità di primato, può essere utilizzato da altri più ambiziosi per ogni genere di traffico, dal parcheggio di giocatori destinati poi ad altri club (ricordate l'affare riguardante Rasheed Wallace che giocò una sola gara ad Atlanta?
Oppure quello di Gary Payton, giunto da Boston all'ultimo anno di contratto e richiamato a Beantown come free agent due mesi dopo?) fino allo scarico di atleti con contratti troppo onerosi o giunti ormai al capolinea (Tom Gugliotta).
Però a dimostrazione che non è il sistema NBA a non funzionare, bensì gli uomini deputati a gestirlo, negli ultimi 4 anni qui in Georgia si è deciso di invertire il trend perdente e fare le cose per bene.
C'era in giro un giocatore desideroso di un ruolo importante, quello di divenire in prima persona il leader di una squadra giovane.
E così il front office degli Hawks non ci ha pensato due volte e ha firmato Joe Johnson, in uscita da Phoenix dopo parecchie annate ad altissimo livello ma pur sempre come valletto dei vari Nash, Marion e Stoudamire, e intorno a lui hanno iniziato a costruire una squadra giovane e futuribile.
Per prima cosa hanno pescato dal roster, promuovendo alla ribalta alcuni dei giovani più promettenti, come Josh Smith e Josh Childress, il talentuoso duo di esterni nel roster degli Hawks già da un paio d'anni.
Hanno poi preso un giovane di ottime prospettive come il georgiano (della Georgia russa però…) Zaza Pachulia, a cui hanno affidato il ruolo di centro, e a guardargli le spalle l'esperto Lorenzen Wright. Zaza ha risposto con quasi sedici punti (15,9) di media in queste prime gare e oltre sei rimbalzi (6,3) a partita.
Il ruolo di playmaker è stato affidato a Tyronn Lue e Speedy Claxton, che sta garantendo per ora un sufficiente apporto di punti ed assist (Lue viaggia a 14,6 punti e 5 assist, perdendo meno di due palloni ad allacciatura di scarpe).
Shelden Williams, Matt Frejie e Salim Stoudamire sono altri tre giovani talenti da cui ad Atlanta ci si aspetta molto nei prossimi anni ma su cui per ora è più che giustificato mettere il cartello di "Lavori in corso" e attendere che completino la loro maturazione come persone e come giocatori.
Finalmente ad Atlanta, dopo tanto tempo, gioca una squadra che sembra aver quadrato il cerchio e infatti non a caso in queste prime gare ha dimostrato di poter vincere di nuovo ; è pur vero che al momento il record è di quattro vittorie e quattro sconfitte, con una striscia perdente aperta di tre gare, tutte sconfitte casalinghe, che potrebbero aver scalfito la fiducia di questo giovane gruppo nelle proprie capacità e prospettive.
In realtà non è chiaro quale sia il traguardo massimo che questa squadra potrà raggiungere nei prossimi anni, né se il processo di ricostruzione è completo, se basterà aspettare la crescita dei giovani oppure occorrerà aggiungere ancora qualche tassello, però una cosa è certa : questa squadra ha innanzitutto un leader, una stella capace di giocare con i compagni ma che all'occorrenza sa prendersi responsabilità importanti.
Le cifre (28,9 punti, 5,6 rimbalzi, 4,1 assist) dicono a chiare lettere che Joe Johnson è tutto questo e molto d'altro ancora, se è vero che un grande campione non è solo capace di giocare un grande basket, ma anche di migliorare col suo gioco il rendimento dei compagni. E Johnson questo lo fa quotidianamente, a cominciare dalle sedute di allenamento.
Nella Southeast Division, poi, la situazione vede gli Heat detentori del titolo in difficoltà (anche se proprio Atlanta ha consentito loro una boccata d'ossigeno cedendo loro in casa ieri sera) e la sola Orlando capace di vincere con regolarità e portarsi ai vertici. I Bobcats del rookie bianco Adam Morrison, erede designato di Larry Bird (speriamo soprattutto degno"), sono una squadra in fase di costruzione ; Washington infine, appare troppo dipendente dalla superstella Gilber Arenas per poter recitare da protagonista nei primi posti.
Una situazione quindi fluidissima, in cui gli Hawks potrebbero inserirsi e fare il colpaccio che, dopo tanti anni di mediocrità , potrebbe anche essere quello di raggiungere i playoffs e dire la propria nel primo turno. Oppure potrebbero rassegnarsi all'ennesima annata perdente…
Se è vero che il buon giorno si vede dal mattino"