Thomas: un uomo nel mirino

Stephon Marbury è fischiato spesso e volentieri dai suoi concittadini…

E' bastata una roccambolesca ed episodica vittoria contro i Denver Nuggets perché Isiah Thomas calasse l'asso della spiegazione psicologica: "I miei giocatori - ha spiegato l'ex Bad Boy di Detroit - hanno difficoltà  emotive in casa perché spesso il pubblico rappresenta un fattore negativo. Molto meglio in questo momento giocare fuori."

Bisogna dire che il "ragazzo" ama attrarre pressione su di sé: non bastava l'enorme fardello di un proprietario che ti ha pubblicamente dato l'ultimatum, era necessario far inviperire il pubblico di casa anche più di quello che è apparso alle prime uscite. Tra l'altro è un periodo in cui a Thomas vanno proprio tutte male: a San Antonio, la classica sconfitta dei New York Knicks al cospetto di Duncan e compagni, l'allenatore-presidente s'è fatto beccare mentre invitava i suoi giocatori a far male a Bruce Bowen.

Apriti cielo: la guardia texana ha dichiarato ad un giornale cittadino d'averlo chiaramente udito mentre ordinava ai suoi di rompergli il collo. Successivamente dal collo s'è passati al piede. Perché proprio con il piede, Bowen, che è ben noto per questo tipo di cose, era stato la causa dell'infortunio alla caviglia di Steve Francis nell'incontro del Garden. E si stava ripetendo con Jamal Crawford.

Persino Peter Vecsey, che da anni predica contro le porcherie del duo Bowen-Popovich, non ha resistito all'ennesima occasione di dare addosso al coach dei Knicks: s'è parlato di sportività  e di eleganza. A maggior ragione, considerando il doppio ruolo di Thomas nella franchigia.

La verità  è una sola: Thomas viene dai sobborghi di Chicago, è stato il leader di una delle squadre più dure della storia del gioco. E' quindi evidente che, in serate in cui le cose cestistiche si mettono male, voglia vedere almeno della fisicità , addirittura della cattiveria; nella vicenda specifica la colpa del coach è quella d'essersi fatto "pescare" a dire quel che ha detto. Parole che appartengono al repertorio di quasi tutti i coach. E' più sorprendente semmai l'atteggiamento ambiguo che sta tenendo con i giocatori.

Non è accettabile, come è accaduto a San Antonio, dopo il 100-92, dichiarare in sala stampa: "Eravamo di fronte a tre trasferte complicate, quindi averne vinta una è un segnale molto positivo". E ancora: "Solo la settimana scorsa in casa abbiamo perso di 20, oggi solo di 8. Significa che stiamo migliorando." Queste frasi, già  di per sé non felicissime, sembrano uscire dalla bocca d'un dirigente che si giustifica. Di sicuro non dalla bocca di un generale che vuol pungolare le sue truppe.

"Una vittoria e due sconfitte non sono granchè", ha confidato molto più onestamente Malik Rose che era abituato agli standard di competitività  degli Spurs. Proprio nella città  di Fort Alamo, il lungo da Philadelphia è stato visto in spogliatoio scuotere la testa e confenssare d'esser "stanco di perdere così spesso."

Sul campo arrivano i soliti evidenti segnali di una squadra che non sta insieme dal punto di vista della chimica: si fa male Steve Francis, Jamal Crawford esce con il partitone che genera la vittoria citata contro i Nuggets. Un'evidente prova del fatto che il talento c'è, ma i pezzi del mosaico non sono collocati dove dovrebbero stare.

"Il mio ruolo naturale - ha spiegato Crawford in Colorado - è quello di partire titolare. Però Thomas ha deciso che per la squadra devo essere il sesto uomo; questo significa che quando Steve (Francis) sarà  di nuovo nelle migliori condizioni, tornerò al mio ruolo dalla panchina cercando di fare il meglio possibile." Un trattato di mal contento e scarsa convinzione.

Con Crawford in campo anche Marbury sembra giocare meglio; solo che secondo Thomas con l'ex Rockets al fianco di "Coney Island Finest", i lunghi sono più coinvolti. Già  i lunghi:
Channing Frye sta facendo di tutto per dare ragione a Larry Brown che l'anno scorso ha litigato con tutta la franchigia per cederlo ai Lakers. I suoi 3 punti in 13 minuti contro gli Spurs. C'è poi il capitolo Eddie Curry: l'ex Bulls è stato recentemente umiliato, nel vero senso della parola da Yao.

Thomas, che gli ha risparmiato nell'ultimo quarto, lo ha difeso pubblicamente; il giocatore s'è difeso parlando della grandezza del cinese che lo ha stoppato 7 volte. "Non l'avevo mai visto così bene", ha commentato il pivot di New York. Al momento negoziare con l'uomo di Shanghay non è la cosa più semplice del mondo, ma c'è modo e modo.

A tirare le fila di tutti questi discorsi è arrivata l'ennesima sconfitta interna contro Cleveland. I giocatori che avevano commentato abbastanza imbarazzati le affermazioni del loro allenatore sulle difficoltà  di ambientamento al Garden: "Il nostro è un pubblico meraviglioso - ha commentato ancora Malil Rose, il più onesto di tutti - ma anche molto duro. In passato anche Ewing è stato fischiato."

Stephon Marbury, dal canto suo, ha risposto con 0 su 6 al tiro, 2 punti per 3 palle perse e, tanto per cambiare s'è beccato la sua dose di fischi. "Devo essere più aggressivo", ha commentato. Il suo primo tiro non ha preso nemmeno il ferro.

La stampa cittadina non ha risparmiato Thomas che s'è sentito chiedere se davvero crede che Marbury abbia un problema a giocare in casa: "Non lo so - ha risposto il coach dopo 10 secondi di pausa che sono sembrati interminabili - di sicuro fuori gioca meglio. Ma penso che migliorerà ."

Per ora le uniche verità  del campo che contano sono due. La prima: onesti mestieranti come David Lee e Nate Robinson sono nel complesso i meno peggio del gruppo. La seconda, anche peggiore: si va al campo e non si sa mai cosa ci si può aspettare dalla squadra; chi o cosa uscirà  dal cilindro.

Cleveland non è una squadra memorabile ma nella Nba di oggi ha il pregio di avere alcuni giocatori di ruolo efficaci e un uomo di riferimento, Lebron James, che non ha giocato bene per tre quarti, ma ha poi preso in mano la situazione quando contava.

Alzi la mano chi ha il coraggio di affermare che ai Knicks succede questo. Pausa di dieci secondi; nessuna risposta.

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