Lebron James ha ancora diverse carenze, ma può diventare una delle ali piccole più forti di sempre
La March Madness è da sempre un momento magico per i tifosi americani del basket universitario. L'evento sportivo assume la connotazione e l'importanza di un rituale di massa.
Rito che diviene una festa nazionale come il 4 luglio o il Ringraziamento e fa concorrenza anche a Babbo Natale.
La partecipazione mediatica è imponente e valica i confini statali e dell'intera nazione americana, soprattutto da quando tra i giovani virgulti compaiono talenti di vari paesi, soprattutto africani ed europei, prima ancora che l'Europa invadesse gli USA nel nuovo millennio, quando i primi stranieri si chiamavano Marchulionis e Petrovic.
E se oggi tanti giovanotti di belle speranze approdano tra i professionisti senza completare la propria formazione tecnica e tattica, acquisendo quelle conoscenze necessarie per confrontarsi anche nel meno spettacolare ma più realistico basket FIBA e la NCAA si scopre un po' meno seguita e conseguentemente più povera, nel marzo del 1979, era la NBA a vivere uno dei momenti più bui della sua storia, macchiato da scandali e cattive abitudini e povero di giocatori di reale talento e personalità travolgente (ad eccezione per la superstella Julius Erwing, a cui torneremo a riferirci tra breve), e guardava alla NCAA come serbatoio per un futuro migliore.
E la NCAA stava per rispondere presente con voce stentorea, presentando nella Final Four due talenti e due personaggi davvero speciali, che avrebbero infiammato i tifosi di Michigan State e Indiana State e quelli dell'intera nazione, in una partita fantastica, dove una squadra sensazionale, gli Spartans, guidata da Magic Johnson, leader il cui perenne sorriso trasmetteva tutta la sua gioia di giocare, capace di una miriade di giocate spettacolari, avrebbe sconfitto abbastanza nettamente in un atipico 5 contro 1 il giocatore bianco più forte di sempre, “Larry Bird”, a cui l'ennesima prova sensazionale individuale non sarebbe bastata per vincere anche quella partita, dopo aver condotto imbattuta la sua squadra alla finale in una stagione da ricordare.
Questi due ragazzi avrebbero dominato la NBA per un decennio con le rispettive squadre Larry alla guida dei biancoverdi irlandesi di Boston, Magic a spezzare il pane dello Showtime nella "City of Angels". Non parleremo qui del dualismo Celtics-Lakers, ma piuttosto di uno solo di questi due campioni, che ha dato al mondo del basket una personale visione del ruolo di ala: Larry Bird.
Prima di lui, nella NBA l'ala era un ruolo relativamente poco caratterizzato.
Tiratore, ma non quanto la guardia, bravo nella gestione della palla, ma meno dei due esterni piccoli, sicuramente buon difensore, spesso rimbalzista.
Doctor J, al secolo Julius Erwing, aveva mostrato che l'ala poteva essere anche dominante dal punto di vista fisico, per esplosività soprattutto. Grande realizzatore dei Sixers, ne divenne ben presto il leader, imitato da Bird in queste due dimensioni del ruolo.
Però il ragazzo da French Lick avrebbe fatto di più. Avrebbe dimostrato la multidimensionalità del ruolo di ala con la massima semplicità , come uno professore di fisica dimostra una teoria complicatissima agli studenti attoniti
.
Durante la sua non lunghissima ma sicuramente radiosa carriera, Larry è sicuramente stato un grande leader, tecnico e carismatico, riuscendo già al primo anno a rubare la scena ad un grandissimo come Dave Cowens, "il guerriero", capitano dei Celtics e anche allenatore della squadra prima dell'era Bird.
Larry fu anche un grandissimo realizzatore, con una media di punti per partita di sicuro ragguardevole, che portò i Celtics ai titoli del 1981, 1984 e 1986.
Però Bird fu un'ala con la destrezza tecnica di un playmaker e anche la sua visione di gioco. Passatore sopraffino, fu eccellente in media assist per partita e le voci delle sue triple doppie abbastanza frequenti erano sempre punti, rimbalzi ed assist.
Bianco, e quindi dotato di un fisico non propriamente esplosivo e alto 207 cm, dimostrò di essere in grado di marcare le ali piccole avversarie, costruendosi in allenamenti interminabili una velocità di piedi e una capacità di spostamento laterale all'altezza della situazione, almeno fino a quando i guai fisici iniziarono a tormentarlo e costringerlo a marcare solo le ali grandi verso la fine della carriera.
Ma quello che costituisce l'unicità di Bird, che lo rende ancora oggi diverso da tutti i cloni che lo hanno seguito, è la sua creatività , quella capacità di capire un momento prima cosa stava per succedere ed elaborare soluzioni originali, sempre efficacissime, per concludere l'azione o mettere un compagno in grado di realizzare facilmente; la sua capacità di rendere migliori i propri compagni, la sua mentalità vincente, la tenacia di allenarsi ben oltre il limite che un essere umano ama concedersi, costituisce un mix appunto unico ed irripetibile.
Il leader dei Celtics aveva una quantità pressoché infinita di soluzioni per arrivare a canestro e questo si deve principalmente al fatto che, pur allenandosi come un matto fin da ragazzo, lo faceva quasi sempre da solo, elaborando personalmente la metodologia per il proprio allenamento e le soluzioni offensive da allenare.
Questo si nota soprattutto osservando il suo tiro, mortifero e virtualmente instoppabile, ma se vogliamo non proprio canonico, dovuto non tanto al gusto di andare fuori dal coro, quanto all'esigenza di imparare da solo. Probabile, anzi sicuro, che fino ai sedici anni, nessun allenatore abbia detto al giovane Larry "guarda che il gomito si mette così"; poi il danno, se vogliamo chiamarlo così, era già fatto e nessuno si è sognato per fortuna di correggerlo, visti i risultati.
Insomma, un'ala piccola come Bird non c'è più stata, anche se tanti validissimi giocatori sono stati paragonati a lui senza riuscire a divenirne l'erede.
Però ha suggerito agli allenatori che anche i lunghi possono essere velocizzati e trasformati da ali forti in ali piccole, specialmente se capaci di rendersi pericolosi con il tiro dalla grande distanza.
Contemporaneo di Bird, Tom Chambers dei Suns ricalcava in molti aspetti le caratteristiche del Celtic, ma gli mancava la dimensione creativa e non aveva altrettanta visione di gioco e capacità come passatore.
Nel decennio successivo, grandi ali piccole sono stati Scottie Pippen dei Chicago Bulls, Chris Mullin degli Warriors, ma nulla hanno aggiunto al repertorio dell'ala ch i predecessori non avessero fatto vedere. Rimangono comunque grandissimi, Pippen soprattutto per l'esplosività ed il gioco tuttocampo, Mullin per il tiro devastante di cui era dotato.
Verso la fine del decennio si è consacrato all'attenzione di tutti, specialmente per le proprie capacità di leadership ed anche qui per un tiro sensazionale, un certo Robert Horry, che dopo aver vinto due titoli nella Houston di Olajuwon ed altri nei Lakers versione Zen assieme a Kobe e Shaq, si è preso la soddisfazione di togliere dalle mani dei Pistons il titolo 2005, intervenendo in gara 5 e decidendola da par suo a favore degli Spurs.
In quest'ultima decade, come detto, non si sono messi in evidenza grandissimi giocatori nel ruolo, un po' perché l'infornata di virgulti che è il Draft ha iniziato a presentare ragazzi talentuosi ma molto acerbi, che hanno a malapena finito le scuole superiori, figurarsi se sono andati all'università ".
Il fatto di entrare nel mondo professionistico appena superati i 18 anni, direttamente dalla high school, senza completare con l'università quel percorso di formazione tecnica, fa si che in NBA compaiano giocatori di enormi prospettive ma francamente scarsi, privi cioè di questo o quel fondamentale e tatticamente impreparati ad affrontare di tutto, anche se ritenuti in grado di spaccare in una lega dove sul serio non si gioca più, neppure quasi nella finale dei playoffs.
Saltiamo a piè pari “Vinsanity Carter” e il cugino Tracy McGrady, che presentano alcuni aspetti da super stella (esplosività per Carter, capacità realizzativa per T-Mac), ma molti altri da giocatore normale e neppure bravissimo, e ci troviamo così ai giorni nostri.
Lebron James è uno di questi giocatori incompleti di cui si diceva poc'anzi e non a caso è miseramente naufragato nei mondiali FIBA, trascinandosi a fondo la squadra statunitense.
Carmelo Antony e Wade, che hanno invece almeno "assaggiato" un paio d'anni di università o la hanno completata, si sono trovati più a loro agio in una pallacanestro che ha quasi colmato il divario con quella professionistica e per certi versi ha saputo mantenersi più pura.
Ingiustamente sottovalutati perché non affiliati a un marchio importante, Shane Battier, che ai Mondiali ha comunque fatto il suo e soprattutto Tayshaun Prince, l'ala dei Pistons che negli ultimi due anni ha saputo migliorare nel tiro e nella realizzazione, essendo già buon passatore e difensore, oltre ad essere giocatore verticale per definizione.
Questi due hanno completato la propria formazione tecnica in quel di Durham, NC., dove ha sede la Duke University. Solo casualità ?
Resta da capire se siano le logiche del gioco ad aver diminuito le richieste tecniche ai giocatori (basta uno o due stelle e un gruppetto di mestieranti per squadra e si va avanti solo con isolamenti sul lato per le stelle e tiri senza ritmo con le difese che guardano anziché attaccarti) oppure sia l'effettiva povertà tecnica delle pretese stelle ad aver impoverito il gioco NBA .
Di certo però nell'ultimo periodo si è assistito ad un progressivo depauperamento tecnico del ruolo tra i giocatori statunitensi e la NBA ritiene oggi preferibile far venire dall'Europa prospetti forse meno talentuosi ma più completi e pronti tecnicamente anche se non fisicamente.
Invece il prototipo di giovane ala piccola USA appena sfornato dalla High School è un ragazzo dotato di tiro su scarico buono ma non eccellente (i migliori specialisti restano europei), che sa costruirsi un proprio tiro si e no (specie de questo tiro deve essere intelligente; coi tiri ignoranti si vince qualche partita ma se ne perdono tantissime"), che non difende pur essendo esplosivissimo, che cattura qualche rimbalzo e che squadra chiunque con uno sguardo cattivo, un po' "gangsta", cercando di ottenerne il "respect".
Che dire?
So' ragazzi"