In difesa del Team USA

L'ultimo Team USA era una squadra giovanissima, che può solo migliorare…

Ho deciso di scrivere questo articolo, "schierandomi" in difesa del Team USA per diverse ragioni. Un po' per rispondere al mio caro collega Leonardo, un po' per rispondere a tutti quelli (molti dei quali Americani) che hanno macellato la squadra a stelle e strisce dopo la sconfitta contro la Grecia. Ovviamente la mia è una opinione come tutte le altre che rispetto in egual modo.

Si è parlato di "debacle", di "fallimento", di "delusione", ma probabilmente soltanto l'ultima di queste tre definizioni è calzante. Dopo le figuracce nelle scorse olimpiadi e mondiali era da arroganti o illusi pensare che gli Stati Uniti erano favoritissimi. Anni fa c'era la mentalità  del "Oro o fallimento", ma ormai pensare che gli Stati Uniti debbano vincere l'oro in tutte le competizioni non solo non rispecchia la realtà , ma è una mancanza di rispetto nei confronti del nostro Basket (inteso come Europeo e Fiba). Dobbiamo smetterla di crederci inferiori, di quante altre dimostrazioni avremo bisogno per smetterla?

E non voglio certo dire che dovremmo cominciare a urlare ai quattro venti che il Basket Europeo è il migliore del mondo, o che la NBA ormai è decaduta o altre iperboli del genere. Semplicemente dobbiamo cominciare a pensare che noi siamo migliorati e che il Basket non è più prerogativa esclusiva degli Americani. Poi c'è anche da dire che insieme al nostro miglioramento c'è stato un peggioramento da parte loro. Come dice Leonardo, mancano fondamentali, lo "show business" premia di più le schiacciate che i passaggi precisi o un palleggio senza sbavature.

Nonostante tutto però, rimango convinto che i migliori talenti siano Americani e che la NBA sia ancora la miglior lega del mondo. Allora perché non credo che questo bronzo sia un fallimento?

Perché nella sconfitta si sono visti notevoli miglioramenti rispetto all'immediato passato.
Prima di tutto si è visto finalmente amor proprio e spirito di squadra, mi spiace ma io non sono di quelli che credono che i 12 che sono andati in Giappone se ne fregassero di vincere. Basta rivedersi qualche partita e si vede come LeBron e compagni ci tenessero, come fossero orgogliosi di rappresentare il loro paese. Finalmente hanno capito l'importanza di queste manifestazioni internazionali e questa è già  di per sé una vittoria da attribuire a Jerry Colangelo.

Sì, perché io non credo proprio che lui sia il grande sconfitto di tutta questa storia. Anzi io credo sia il vincitore.

Ha avuto il coraggio di proporre un impegno di tre anni a giocatori che prima nemmeno si impegnavano per due settimane.
Ha avuto il coraggio di lasciare a casa chiunque si mostrasse un attimo titubante di fronte alla proposta di "commitment", portando solo quelli che dimostravano vero interesse.

Il risultato del suo coraggio è che adesso c'è un roster di più di venti giocatori disposti a sudare la maglia ogni estate (basta leggere le dichiarazioni di Arenas quando è stato escluso per capire quanto ci tenesse a partecipare).

Parlare di chi non c'era in questi mondiali è un errore e pensare che con Garnett, Duncan e compagnia bella era tutta una passeggiata è, di nuovo, un illudersi inutilmente. I 12 che sono andati in Giappone erano 12 ottimi giocatori, con alcuni fuoriclasse (i tre capitani: Wade, Anthony e James) e qualche mestierante che fa sempre comodo (Hinrich, Battier…).

Pensare che andando con una squadra di All-Star si vinceva tutto vuol dire essere troppo nostalgici di quel Dream Team che nel '92 meravigliò il mondo. Ma quel mondo, di soli 14 anni fa, non era lo stesso mondo.

La finalista, la Croazia, era una squadra mediocre. Fisicamente inferiore al Dream Team, basti pensare che nei loro tiri liberi non mettevano nemmeno gente a rimbalzo perché non avevano speranze di prenderli, così li mettevano direttamente in difesa per evitare il contropiede.

Nel mondo di oggi invece c'è la Spagna che ha quattro giocatori in NBA e ne manderà  almeno un altro paio in futuro, c'è l'Argentina e ci sono svariate squadre che come atletismo ormai hanno poco di che vergognarsi e da invidiare agli americani.

Coach K dal canto suo, riconoscendo i suoi tanti errori, nemmeno può essere additato come il colpevole numero uno. Ha avuto il merito di creare un certo clima di "camaraderie" che è già  un grande merito quando devi gestire gente che prende decine di milioni di dollari. I suoi schemi offensivi erano piuttosto semplici, è vero, ma ha tempo per riflettere sui suoi errori e uno con il suo curriculum troverà  un modo di rimediare ad essi.

La conclusione è che per ristabilire il "vecchio ordine mondiale" non ci si mette tre settimane, chi ne era convinto sicuramente ne è rimasto deluso. Ma la realtà  è che era una vera e propria illusione pensare che dall'oggi al domani gli Stati Uniti sarebbero riusciti a risorgere dalla ceneri. Non sono risorti. Ma hanno fatto il primo passo verso la riconquista.

Non sarà  una strada facile e ci sono ancora molte cose che dovranno cambiare. Ma il primo passo è stato fatto e sappiamo tutti che anche il viaggio più lungo comincia con un semplice passo.

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