Jay!

Jay costretto sulla sedia a rotelle nei suoi giorni più drammatici

La storia ci ha più volte buttato in faccia circostanze che parevano essere indirizzate nel migliore dei modi, trasformarsi in una frazione di secondo nel peggiore degli incubi. A tal riguardo potrebbe raccontarvi una storia un certo Jason Williams. Sebbene anche lui di cose da raccontare ne avrebbe parecchie, non stiamo parlando del playmaker campione Nba con i Miami Heat, ma di una promessa di calibro persin superiore, che per evitare la continua omonimia con il celebre emulo di Pete Maravich, un bel mattino è passato dall'anagrafe e ha deciso di chiamarsi semplicemente Jay, per somma pace di tutti i giornalisti quotidianamente alle prese con la palla a spicchi.

Jay è cresciuto alla corte di coach K, a Durham, vincendo un titolo Ncaa da protagonista assoluto, tanto da essere nominato "AP college player of the year" nel 2002, oltre a due nomine nel primo quintetto All America. Titoli e marchio di qualità  Duke Blue Devils che gli erano valse la seconda scelta assoluta ad opera dei Chicago Bulls, che speravano di aver trovato in lui il tassello mancante per costruire una squadra di vertice già  imperniata sulla coppia di lunghi Chandler-Curry.

La stagione da rookie non è mai stata semplice. Jay ha fatto moltissima fatica a prendere dei riferimenti nella triangolo proposta dall'allora coach dei Bulls, Bill Cartwright. Quasi 10 punti, 3 rimbalzi e 5 assist in 26 minuti di impiego. Cifre di per sé neanche disastrose, insufficienti per uno entrato nella Nba con certe aspettative. Tradito dalla pressione, andò in crisi e si vide soffiare il posto dal redivivo Jamal Crawford.

I Bulls, forse peccando di precoce catastrofismo, decisero presto di metterlo sul mercato. Era in ballo, con ottime chance di essere condotta in porto, una trade con i Denver Nuggets, per la scelta n.3, che si sarebbe presto tramutata in Carmelo Anthony nel successivo draft.

La ragione per cui Melo oggi indossa la maglia dei Nuggets, al di là  del fatto che Kiki Vandeweghe forse avrebbe ceduto la scelta soltanto se alla 3 fosse rimasto Milicic anziché l'ex Syracuse, è dovuta principalmente ad un tragico segno del destino.

Il 19 giugno 2003, a pochissimi giorni da quello che ha probabilità  di essere ricordato come uno dei migliori draft di sempre, Jay Williams ha avuto un tremendo incidente motociclistico. Era sempre stato uno che amava correre. Provetto biker, non fosse stato così dotato per il basket, probabilmente oggi lo vedremmo impazzare nel circuito del motocross, specialità  in cui ha vinto moltissime gare giovanili in giro per gli Stati Uniti. Una passione viscerale, che gli è costata carissima, sotto tutti i punti di vista.

La diagnosi, spietata, parlava subito frattura dell'osso pelvico, lesioni gravi ai legamenti del ginocchio e serio danneggiamento del tendine rotuleo, con conseguente parziale perdita di sensibilità  all'arto. In sostanza, per chiunque, il miracolo sarebbe stato riuscire a salvare l'arto, che ha rischiato di essergli amputato nel corso dei numerosi interventi chirurgici cui è stato sottoposto nei giorni successivi all'incidente. Figuriamoci tornare in Nba, sarebbe già  stata un'impresa tornare a camminare come una persona normale. Attorno all'episodio venne celato sempre un gran riserbo, ma gli addetti ai lavori riuscirono subito a capire che la sua carriera quel giorno era rimasta sull'asfalto, insieme ai segni della frenata.

Dopo quattro mesi di ospedale, Jay, costretto sulla sedia a rotelle, ha iniziato la lunghissima convalescenza, rieducando l'arto martoriato, ma dal mondo del basket, il suo amore principale, sono solo delle mazzate tremende. Oltre alla possibilità  di non poter giocare, i Chicago Bulls, forti del fatto che dopo alcuni richiami il giocatore avesse continuato l'attività  motociclistica (espressamente vietata dal contratto, così come quella di tutti gli sport estremi, NdR), hanno rescisso il suo contratto, risparmiando oltre tre milioni di dollari.

Da predestinato al successo, Jay è verticalmente crollato, fino ad essere un giocatore finito. Un nome sì ancor celebre, persino ingombrante per le sue attuali condizioni, ma sostanzialmente inadatto ad essere un giocatore professionista, ossia la cosa per cui aveva lavorato tutta la vita.

A fronte di episodi tanto disgraziati, la storia ci ha anche buttato in faccia storie disperate che grazie ad una straordinaria forza di volontà  si sono tramutate in storie di situazioni di successo.

E così, Jay non si è mai perso definitivamente d'animo, ha ripreso ad allenarsi duramente, nonostante la gamba sinistra fosse visibilmente segnata da un evidente handicap motorio.

Il suo sogno era ed è quello di tornare in campo, nella Nba.

Negli ultimi mesi ha disputato diversi workout, almeno con la metà  delle franchigie. Particolarmente significativo il test effettuato con i Los Angeles Lakers, da tempo alla ricerca di un giocatore che possa sgravare Kobe da parte dei suoi compiti, anche difensivi, partendo nello spot di playmaker.

E' proprio Kevin Bradbury, il suo agente, a spiegare, se pur ovviamente in termini promozionali, l'operato del suo assistito: "Era uno dei giocatori più esplosivi che si fossero mai visti, adesso quel tipo di atleta non potrà  mai più esserlo". Una conferma spietata di quanto già  si sapeva, con una grande speranza, frutto di un durissimo lavoro per reinventarsi e potersi riproporre sul parquet: "Pur avendo perso la rapidità  e l'elevazione che ricordate di lui, ha comunque conservato una buona velocità  di piedi ed un buon movimento laterale e può ancora essere un giocatore Nba, se pur con altre caratteristiche rispetto a prima". Un particolare su cui Jay starebbe lavorando duro è il suo storico limite, il tiro da tre punti: "Sta facendo diverse sessioni ogni giorno per aumentare l'efficacia del suo raggio di tiro, perché sa benissimo che adesso il tiro è essenziale se vuole di nuovo competere nella Nba".

La sua situazione è stata presa particolarmente a cuore da Ed Stefanski, general manager dei Nets, che gli ha offerto un invito ufficiale per partecipare al training camp finale, quello che si disputerà  a partire dal mese di ottobre, adducendo alla stampa le seguenti motivazioni: "Averlo al camp consentirà  a noi di valutarlo con continuità  e consentirà  a Jay di mettersi in mostra di fronte a tutta la Nba. Non avevo mai incontrato un ragazzo così sincero, spinto da un desiderio così forte di tornare a giocare".

Parole che suonano più come un favore personale, una bella vetrina offerta ad un atleta popolare e locale, visto che ha i suoi natali a Plainfield, nello stato del New Jersey, che non come una effettiva volontà  di tesserarlo. A conferma di questa sensazione, i Nets infatti avranno già  un roster con 15 giocatori a contratto, il massimo consentito dalla Nba. Questo significa che inizialmente a Jay non potrà  in alcun modo essere consentito un contratto garantito, ma appunto un gettone per consentirgli di giocare alcune partite di preaseason e sperare di strappare un contratto, magari altrove.

I Nets tecnicamente non hanno tutta questa esigenza di un giocatore con le sue caratteristiche, in quanto il ruolo di vice Kidd, dopo la pesante partenza di Jacque Vaughn, dovrebbe essere del rookie Marcus Williams, nel quale i tifosi dei Nets hanno riposto grandissime aspettative.

Jay Williams non ha ancora accettato l'offerta, ma ha fatto sapere, tramite Bradbury, che ci sta seriamente pensando su. Forza Jay!

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