Nowitzki e Nash sono la storia recente di Dallas che è alla sua prima finale di sempre
Dirk Nowitzki era un bambino di dieci anni di Wurzburg quando Pat Riley sulla panchina dei Los Angeles Lakers infranse il sogno dei Dallas Mavericks di Dick Motta, Mark Aguirre, Roy Tarpley e Rolando Blackman. Curiosamente la franchigia della città più in vista del Texas e il coach col gel erano arrivati nella Nba nello stesso anno. Dallas non era mai andata così vicina alle finali Nba; e non ci si sarebbe più avvicinata per anni.
La rinascita di Wurzburg, che da città di produttori di vino adagiata sulle rive del Meno, si è riciclata in sede Universitaria, volano dell'alta tecnologia germanica, ricalca in parte la parabola di rinascita dei Mavs; per tutti i terribili anni '90 si è parlato di Dallas Ma-wreck, cioè il sinonimo del disastro. Un giorno Keith Grant, che della squadra era il magazziniere capo, si ritrovò general manager. Gli anni si susseguivano quasi tutti uguali, come nella versione cestistica del giorno della marmotta.
Anche il passaggio di Jason Kidd, rookie da California non cambiò il destino di una squadra che tredici anni fa evitò di siglare il peggior record di sempre nella Nba vicendo le ultime due gare.
Nel 1999 Avery Johnson siglò, con un tiro dall'angolo sinistro al Madison Square Garden, il primo titolo della storia dei San Antonio Spurs; quell'anno Dirk Nowitzky aveva mosso i primi passi nella lega, proveniente dalla seconda lega tedesca, dando l'impressione di essere un Andrea Bargnani scarso. La svolta definitiva della franchigia è arrivata quando dalle mani del figlio scemo di Ross Perot, quello che buttava soldi nelle campagne presidenziali americane, passò in quelle del "descamisado" Mark Cuban.
Dallas Mavericks - Miami Heat è una finale che sa di novità : entrambe le squadre ci giungono per la prima volta, non succedeva dal '71 quando in finale andarono Baltimore e Milwakee. Entrambe partivano in lizza ma non proprio in pole position nella considerazione degli addetti ai lavori. Entrambe, per arrivarci, nel corso dei playoffs hanno dovuto battere le loro nemesi storiche: San Antonio Spurs e Detroit Pistons.
"Quando arrivai a Dallas - ha detto Dirk Nowitzki ai giornalisti - nessuno ci considerava. Poi è arrivato Mark Cuban e le cose hanno cominciato a migliorare stagione dopo stagione con Steve (Nash) e Mike (Finley). E' stata una grande corsa che non è ancora giunta al suo arrivo."
Più o meno le cose che ha detto, con altri nomi e altri fatti Pat Riley: "L'arrivo di Shaq - ha detto l'ex architetto dello Show Time - è stato il punto di svolta. Avere già in casa Wade è stato importante, poi abbiamo cominciato a mettere assieme i giocatori di complemento." Riley ha 61 anni, nel rutilante ritmo dei playoffs è passato sotto silenzio il fatto che il coach ha da poco perso la madre; la moglie dice che nessuna stagione è stata dura come questa. Il suo entourage continua a ripetere che mai e poi mai Pat sarebbe tornato in panchina senza il ripensamento di Van Gundy e poi aggiunge che non ha mai lavorato quanto quest'anno, isolandosi dal resto del mondo.
Incroci pericolosi Chi conosce bene Miami la squadra di oggi è diventata quello che è anche grazie alla sconfitta patita in regular season a Dallas: era il 9 di febbraio e finì 112-76. "Quella sera in spogliatoio - spiega oggi Alonzo Mourning, alla sua prima finale Nba - ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che non potevamo andare avanti così. Quella sera il gruppo è diventato più forte." "Abbiamo parlato tutti - conferma Wade - e trovato il modo di proseguire con unità di intenti.
Quella sera Riley parlò pubblicamente di "umiliazione in diretta nazionale"; quella squadra non vinceva mai una partita con un'avversaria di livello. In realtà aveva già cominciato il suo lavoro psicologico. Che non è come quello di Phil Jackson ma ha portato Shaq a dire "Pat è il miglior coach che io abbia mai avuto". Tutto quello che dice O'Neal va preso con le molle; non il rispetto del pivot per l'allenatore che ha minacciato di metterlo in lista infortunati se non avesse perso i 10 chili di troppo che lo rallentavano.
La seconda sveglia per quelli della Florida è arrivata in un week end a Chicago al primo turno dei playoffs: la squadra perse due partite, Wade e Payton battibeccarono in diretta nazionale. "Quelle partite - spiega James Posey - ci hanno fatto capire che sul nostro cammino non ci sarebbero state serate facili." Da quel momento la vittoria 92-78 in gara5, il passaggio del turno e le successive affermazioni contro New Jersey e Detroit. Non correndo mai un reale rischio di eliminazione.
Quel rischio Dallas lo ha corso, dopo essere andata sul 3-1 contro San Antonio, ed essersi ritrovata a giocare gara7 in trasferta in quella che per molti è stata la vera finale della Western Conference. Qualcuno, senza fare nomi Jack Ramsay, ha parlato apertamente di un po' di fortuna nello "spareggione" di San Antonio; dimenticando della squalifica piuttosto discutibile che in gara6 aveva privato Mavs di una pedina fondamentale come Terry.
I Mavs di Don Nelson avrebbero mollato. Non quelli di Johnson: "Abbiamo costruito questa squadra - spiega il coach - per poter giocare in modi diversi." "Dal suo primo giorno da capo allenatore - spiega Rolando Blackman, attuale assistente insieme a Del Harris che si occupa della difesa - Avery non ha mai smesso di parlare della possibilità di vincere il titolo. Questo ha reso i ragazzi più duri e li ha messi in grado di arrivare a quel che vediamo oggi."
Certo, non basterebbe se Dirk Nowitzki non avesse giocato come il migliore dei playoffs, dimostrando d'essere cresciuto come difensore e come costruttore di gioco per i compagni. La sua marcatura è uno dei grandi punti di domanda per Riley che inizialmente dirotterà Haslem sulle sue piste. "Ha fatto un grande lavoro - dice del suo allenatore il tedesco che ha 25 punti di media nei due match ups contro Miami - dandoci mentalità difensiva: non saremmo qui senza di lui."
Attenti a quei due "Una delle nostre caratteristiche migliori - spiega Avery Johnson - è quella della flessibilità ; in campo posso mettere molti quintetti che mi danno cose diverse." Grazie alla flessibilità , dopo un primo tempo in gara6 in cui Diop era stato sistematicamente infilato in penetrazione da Diaw, Dallas ha rimontato senza centro.
Contro Miami bisognerà starci attenti. C'è Shaquille O'Neal, la nemesi storica nella "small ball" di Nelson. Il resto della flessibilità andrà a farsi benedire, considerando che Dallas dovrà fermare anche Wade; l'ex Marquette arriva alla sua prima finale tirando il 50% abbondante dal campo. Contro i Pistons, esclusa l'ultima gara giocata in condizioni fisiche problematiche, ha dominato in modo imbarazzante.
"Ho seguito quello che hanno fatto finora - ha detto ancora Nowitzki - come un normale tifoso di basket: Shaq e Wade sono stati fantastici ma anche gli altri hanno fatto il loro lavoro." Compreso quell'Antoine Walker che passò dal Texas per una stagione che si concluse con un'eliminazione al primo turno. Se per Shaq Johnson ha giocatori dal tonnellaggio comparabile, l'esperienza di Detroit insegna che Wade è difficilmente fermabile senza raddoppi o zone adattate.
Dal canto suo Dallas potrà lavorare sui difetti strutturali degli avversari: Terry e Harris sembrano abbondantemente troppo veloci sia per Jason Williams che per Gary Payton. Se Antoine Walker giocherà da ala piccola avrà il suo da fare contro Howard e Daniels. D'altronde per i Mavs sarà fondamentale trovare un secondo realizzatore stabile da affiancare a Nowitzki, oltre al sesto uomo, reduce da 13 punti fondamentali a Phoenix, Jerry Stackhouse.
Un pronostico Sempre che sia possibile farlo: secondo i book makers di Las Vegas è favorita Dallas, che in questi giorni è data 2-1. E' la stessa idea di Charles Barkley che di lavoro dà opinioni quindi sbaglia grosso modo il 50% delle sue preveggenze. Nessuno conosce l'atmosfera delle finali meglio di Pat Riley che ha vinto 4 titoli e ha perso 4 finali.
"Miami ha grande esperienza - ha detto David Dupree, giornalista di USA Today prima di scegliere Dallas in 6 gare - ma Johnson ha diversi giocatori da mandare contro Shaq e limitarlo."
La scelta di Dupree è la più logica, statistica e storia delle finali alla mano. Il formato, due in Texas tre in Florida e ritorno nello stato dei Bush, favorisce la squadra con il vantaggio del fattore campo. "Ci mancano ancora quattro vittorie per essere felici", ha ammonito O'Neal che è alla sua sesta finale Nba. "Shaq ha ragione - ha commentato Wade - quando dice che non abbiamo fatto ancora nulla: vogliamo vincere." Le gare chiave saranno la prima, come è ovvio, la prima a Miami. Dallas in teoria avrà a disposizione almeno una partita nelle prime quattro in cui O'Neal sarà meno efficace a livello fisico.
Tutto il resto sarà da scoprire. Il fascino di una finale tutta nuova tra una squadra infarcita di stelle che tutti davano troppo disfunzionale per arrivare fin qui e un'altra che gioca per lasciarsi definitivamente alle spalle i primi 26 anni di Nba.