Dirk Nowitzki, protagonista di una stagione che vedrà Dallas alla prima finale NBA.
Il numero magico è il ventisei. Ventisei come gli anni di vita dei Dallas Mavericks, franchigia che, per usare un eufemismo, non è sempre stata abituata a combattere per il titolo, per il miglior record della Lega, o abituata a veder giocare tra le sue fila giocatori eccelsi. Questa è la prima volta, appunto in 26 anni di storia, che Dallas si qualifica per una finale NBA e si ritroverà a sfidare un'altra squadra che mai è arrivata in fondo, i Miami Heat. E' la prima volta dal 1978 che si ha una finale nella quale entrambe le squadre sono al loro debutto segno, forse, di una ventata di rinnovamento che sta arrivando nella Lega.
I Mavs sono in finale meritatamente, al termine di una stagione condotta molto bene e dei playoffs dove gli uomini di coach Avery Johnson hanno giocato alla grande e dimostrato di essere una squadra vera. Anche nell'ultima serie, quella della finale della Western Conference contro i Suns, in molti sono tentati di dire che Dallas è stata anche aiutata dalle difficoltà e dai mille problemi di infortuni che anno dovuto sopportare gli avversari. Nulla di più vero, ma così vanno i playoffs NBA, a volte tolgono e a volte danno, e questo nulla toglie al grande risultato dei Mavs, che hanno conquistato la finale molto più per meriti propri che per le difficoltà altrui.
Ora nella città del Texas sono tutti esaltati dal grande risultato raggiunto, con il successo della squadra che assume un sapore ancora più dolce se confrontato con tutti i momenti bui e a volte comici della franchigia, che ha fatto una bella fatica ad uscire dai bassifondi della NBA ed è arrivata alla vera svolta quando fu acquistata da Mark Cuban, proprietario certo spendaccione, vulcanico e a volte discutibile, ma che ha saputo portare la sua squadra ai vertici. Alla fine di gara 6, sembrava un bambino per quanto era felice: "E' il giorno più bello della mia vita", continuava a ripetere a tutti.
Ma in realtà il tempo per festeggiare è poco, perché i Mavs devono subito immergersi nel clima della finale NBA, una finale, come già detto, molto più che inedita e difficile da pronosticare ad inizio stagione, nonostante i forti investimenti fatti negli ultimi anni dalle due franchigie, come dice lo stesso Avery Johnson: "All'inizio della stagione, nessuno si aspettava Miami e Dallas in finale. Se ve lo aspettavate, allora avreste potuto fare un sacco di soldi".
Anche gara 6 ha, in un certo senso, seguito l'andamento della serie, con i Suns che, dopo un primo tempo favoloso, guidati dal solito Diaw, si sono raffreddati con il passare dei minuti, trovando sempre meno soluzioni e meno risorse fisiche e mentali per contrastare gli avversari. I Suns si sono spenti con il passare dei minuti, mentre invece i Mavs salivano di colpi, primo fra tutti un Nowitzki un po' abulico nella prima metà di gara e trascinante, insieme a Terry, nel secondo tempo, dove i Mavs hanno definitivamente preso in mano la partita e al serie.
Secondo il coach di Dallas la ragione della svolta della gara è semplice: "La partita è girata quando ci siamo decisi a penetrare. Non siamo più una squadra che si basa solo sul tiro da fuori". Se l'affermazione di Johnson sarà confermata anche contro Miami lo vedremo fra pochi giorni, di sicuro ora, i Mavs hanno chiuso la serie contro i Suns, conquistandosi meritatamente l'accesso alla finale, dopo una serie di gare nella quale di sicuro non hanno avuto vita facile, ma al termine delle quali si sono dimostrati superiori agli avversari, riscattando in tutto e per tutto l'eliminazione, subita proprio una anno fa, da parte dei Suns.
In Arizona si è combattuti tra la delusione per una risultato sfumato proprio all'ultimo e la soddisfazione data dalla consapevolezza che questa squadra ha dato veramente tutto quello che poteva, senza lesinare sulle energie ed alla fine si è vista sconfitta da degli avversari più forti e con meno problemi.
Questi playoffs hanno dato la sicurezza che la squadra non è poi così lontana dal titolo, che l'organico, così com'è, ha sì bisogno di qualche ritocco, ma più che ritocchi sostanziali necessita di aggiunte a livello quantitativo visto che, a parte gli infortuni, la rotazione dei Suns è un po' scarsa, come pochi soon gli uomini dei quali coach D'Antoni di fida veramente. La cosa che dovrebbe confortare, ma forse anche preoccupare, di più i Suns è che la franchigia ha già la sua addizione fondamentale rispetto al roster della sua stagione e non deve andarla a cercare nel mercato estivo. Questa addizione è chiaramente Amare Stoudamire che potrebbe veramente far fare il salto decisivo alla sua squadra.
La testa di tutti è già chiaramente, il giorno dopo l'eliminazione, concentrata sul futuro e su quello che la squadra dovrà fare per salire l'ultimo gradino verso il titolo. Ma in generale c'è lo spazio anche per considerazioni positive e forse anche per un po' di rimpianti per l'ultima serie, dove comunque i Suns si sono dimostrati, alla lunga, non all'altezza a livello fisico degli avversar, come dimostrato dal calo registrato non solo in tutta la serie, ma anche all'interno delle singole partite, con i secondi tempi che non corrispondevano mai ai primi.
Lo stesso Nash sembra tranquillo sulle possibilità future della sua squadra, e spera di ritrovare tutti all'inizio del prossimo anno, sostenendo che non è necessario, per i Suns, sacrificare la qualità dei giocatori per ottenere più quantità .
La via per arrivare in alto è già tracciata, Phoenix deve solo procedere nel suo cammino, sperando che il prossimo anno la fortuna sia un po' più gentile nei suoi confronti.
Per quest'anno, però, chi va in finale per il titolo sono i Mavs. Appuntamento a giovedì notte.