Tim Duncan ha giocato al meglio nella serie contro Dallas, ma non è bastato…
I San Antonio Spurs escono a testa alta, con onore. Hanno lottato, corso, sudato, ma alla fine i Dallas Mavericks si sono dimostrati più forti. Giusto così e quanti avevano parlato di asterischi, arbitri, e favoritismi hanno dovuto abbassare la voce.
Il basket infatti è uno sport in cui di solito tende a vincere il più forte, la squadra che attacca meglio e soprattutto chi è in grado di trovare tanta continuità in difesa.
Quella degli Spurs è stata, ancora una volta, una stagione da protagonisti: titolo della Nortwest division, miglior record (63-19) nel sempre più competitivo "west" e progressi notevoli in alcune individualità che erano chiamate ad ulteriori conferme (vedi Tony Parker e Manu Ginobili). Perché allora i nero-argento sono usciti dalla corsa al quarto titolo negli ultimi sette anni?
Tre, secondo me, le principali motivazioni.
La prima, forse la più evidente, è lo sciagurato sistema di assegnazione delle teste di serie nella post-season. Dallas e San Antonio hanno dominato la stagione, hanno perennemente duellato, superandosi di continuo in un'altalenante corsa che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di spettatori, americani e non.
Eppure, alla fine, solo perché appartenenti alla stessa divisione, l'una si è ritrovata con lo "spot" numero uno, mentre l'altra ha dovuto accontentarsi del quattro. La fregatura era dunque servita: in una semifinale, Dallas e San Antonio si preparavano ad uno scontro a dir poco complicato, mentre dall'altra parte del tabellone Phoenix (trionfante nella Pacific division) vedeva liberarsi davanti a sé un'autostrada con un'unica direzione.
Poco cambia che, in seguito, i soli dell'Arizona abbiano affrontato due impegnative gare7, prima contro i Lakers e poi contro i Clippers. Ciò che non ha funzionato è un sistema che, secondo quanto afferma il commissioner David Stern, già nella prossima stagione verrà mutato. Meno male.
La seconda motivazione è che forse, per una stagione intera, la buona stella ha abbandonato casa Popovich. La parola che per dieci mesi ha rimbombato nella mente dell'ex sergente della CIA è stata "infortuni". Una tortura modello militare (sulla sponda sbagliata però), che ha cambiato strategie, ha stravolto programmi e previsioni e alla fine ha causato danni, quanto e forse più, di una carestia in piena regola; prima Ginobili, con le sue caviglie d'argilla, poi Duncan tormentato di continuo e senza pause dalla maledetta fascite plantare e a seguire tutto il resto della truppa (Nesterovic, Horry, Barry, Van Exel) che, per tutto l'anno ha fatto la spola tra parquet ed infermeria. D'altronde, bisogna anche dire, gli infortuni fanno parte del gioco e, come si dice a Roma: "A chi tocca nun s'ingrugna".
E poi la terza motivazione, quella tecnica, che probabilmente meglio delle altre può darci delle risposte sulla prematura dipartita sportiva degli Spurs. È ancora il tempo di coach Popovich? Sinceramente sono rimasto deluso dalle sue scelte, dalle sue sostituzioni sempre più punitive e sempre meno decisive.
Perché oscurare Nazr Mohammed e Rasho Nesterovic nella semifinale contro Dallas?
Perché limitare la rotazione a pochissimi uomini che alla fine sono arrivati con il fiato corto? Davvero Beno Udrih non avrebbe fatto meglio di Nick Van Exel? Ho i miei dubbi.
Certo questo tipo discorso potrebbe sembrare, ad una prima occhiata, troppo semplicistico. In realtà non è così.
Mi spiego: molti ritengono che se Ginobili non avesse commesso fallo su Nowiztki in quell'ultima azione di gara7, molto probabilmente staremmo parlando di Popovich genio, di Spurs imbattibili e di dinastia ancora aperta. Dunque è davvero lecito criticare coach Pop?
Secondo me si, perché senza quella discutibile espulsione di Terry in gara5, non staremmo certo parlando di una gara7 decisa all'overtime.
La verità è che, secondo me, i titolari hanno sofferto l'elevata permanenza in campo e la scarsa rotazione sul pino ha avuto un'incidenza decisiva ai fini della serie. Ecco perché è lecito muovere delle critiche a Popovich e anche chiedere, alla dirigenza, un cambio.
Dunque un addio di Popovich, oggi veramente nell'aria, significherebbe la fine di un ciclo? Per favore, non scherziamo. Gli Spurs l'hanno prossimo saranno ancora competitivi: hanno il miglior giocatore della lega (Duncan) e forse questo ancora vuol dire qualcosa. Certo bisogna svecchiare un po' la truppa: sotto le plance c'è necessità di rinnovamento, affiancando a Duncan qualcuno di veramente affidabile (Horry non può fare sempre il miracolo).
Scambiare Nesterovic e Mohammed (ma attenzione perché Nazr è free agent) per ottenere gente più adatta (soprattutto in difesa e in attacco sugli scarichi di Ginobili e Parker) non sarebbe una brutta idea (Magloire, Swift e Gerald Wallace e Biedrins fanno proprio schifo???). Nel backcourt Van Exel si ritirerà , Barry andrà via (il rimpianto per JR Smith e Macijauskas già presi a febbraio e poi non arrivati per una mera questione burocratica è grande) Finley rimarrà e Udrih avrà più spazio. Finalmente, perché di talento ne ha da vendere.
Infine non me la sento di condannare R.C. Buford. Dopo tante mosse azzeccate, anche a lui ha detto un po' di sfiga. La verità è che, ancora oggi, la politica della dirigenza è di ringiovanire (vedi "l'affaire Barry-JJ Smith e Macijauskas) e se, per una volta, sul piano sportivo non si sono ottenuti risultati equivalenti al piano economico di certo non possiamo mettere alla gogna Buford. Parola d'ordine dunque è "ringiovanire" e "rinnovare", ma con criterio!
Stay Tuned!