Rasheed Wallace sembra un altro rispetto a quello dell'anno scorso: caviglia o qualcosa di diverso?
James Posey che vola sulla prima fila per recuperare un pallone, Antoine Walker che costringe Rasheed Wallace a spendere il terzo fallo nel primo tempo e lo indica con le dita verso la panchina di Detroit. Shaquille O'Neal che, come ai tempi belli, stoppa un tiro di Richard Hamilton e vola a segnare dall'altra parte in lay up.
Tre istantanee dell'energia che Miami sta mettendo nella serie; la squadra di Pat Riley è ad una partita dalla finale. Dodici mesi fa era grosso modo nella stessa situazione: Detroit aveva ottenuto una vittoria in più. La differenza fondamentale viene dalla condizioni fisiche di Wade, assolutamente dominante, e dello stesso Shaq.
"La gente non capisce - ha dichiarato Antoine Walker in sala stampa - che questa è una squadra diversa da quella dello scorso anno. Stiamo lottando per ottenere quello che vogliamo. E non smetteremo di farlo." Se vogliamo una prova di questa aggressività possiamo notare che gli Heat hanno tirato 47 tiri liberi contro i 22 degli avversari. Nonostante il 5 su 15 di O'Neal è sempre un bel vantaggio.
"Rientrati negli spogliatoi - ha spiegato Pat Riley - ho pensato a come avevamo giocato e al fatto che eravamo sopra di soli 6 punti (44-38 ndr). Non ho passato 5 minuti molto piacevoli." Il momento peggiore è arrivato ad inizio ripresa quando Detroit è sembrata trovare la sua coesione, il suo tipico stile di gioco, uguale nella struttura ma dalle mille opzioni offensive; complice il periodo di riposo senza tiri di Wade, i Pistons hanno messo la testa avanti.
Ma l'aggressività di Miami è tornata nel quarto periodo con i tiri di Wade, gli assist per Posey e Payton; e la partita è tornata a scorrere sui binari auspicati da Pat Riley. "Sul campo Wade fa tante cose - gli ha reso omaggio James Posey - ed è sempre in movimento. Per questo motivo è così difficile fermarlo."
Detroit proprio non ci riesce: 31 punti con 8 su 11 dal campo e 15 su 19 dalla lunetta sono una follia non sostenibile a questo livello di competizione. "Sta giocando molto bene - ha riconosciuto Billups - e i suoi compagni stanno seguendo alla perfezione la strada indicata da lui e da Shaq."
La voce del giocatore, un misto di fastidio e di rabbia, dice molto dell'attuale stato d'animo dei vice campioni del mondo. La vigilia di gara4 è stata travagliata. Spifferi di spogliatoio, ma nemmeno tanto spifferi, ci dicono che la situazione tra i veterani della squadra e il coach Flip Saunders non sarebbe più idilliaca.
Tutta la libertà offensiva che nel corso della regular season era piaciuta al quintetto base, ora pare essere diventata una sorta di anarchia al quale il gruppo, abituato alle regole di Larry Brown, fa fatica a dare un seguito sul campo.
La polemica è scoppiata forte dopo l'allenamento di domenica pomeriggio e alcuni apprezzamenti di Saunders alla difesa dei suoi giocatori. "Oggi abbiamo provato cose offensive - ha risposto ai giornalisti Ben Wallace, dopo una lunga pausa e una serie di sguardi - ed una squadra in partita porta quello che ha provato in allenamento." Saunders, qualche minuto prima aveva criticato l'approccio dei suoi: "A mio parere la difesa non è grigia. - aveva detto - Può essere bianca o nera: o difendi o non difendi."
Wallace, che sentendosi chiamato in causa per un'affermazione di questo tipo, ha già sulla lista nera il nome di Rick Carslile, non deve aver gradito. "Noi siamo una squadra prevalentemente difensiva - ha rincarato la dose l'ex Orlando dopo gara4 - la nostra forza non è mai stata l'attacco, semmai costringere gli altri a giocare come vogliamo noi."
A microfoni spenti, lo stesso Ben avrebbe paragonato le differenze fra l'approccio difensivo di quest'anno e quello dell'anno scorso, alla differenza che c'è fra il giorno e la notte.
A parole gli altri giocatori predicano unità fra i membri della squadra e il generale: "Non ho nessun problema con Flip", ha assicurato Prince. Nella realtà dei fatti è curioso che queste cose vengano sempre fuori per bocca dei giocatori con l'avvicinarsi della sconfitta.
Che poi non è per nulla sicura se guardiamo ai numeri e al passato di Detroit: nel 2002 i Pistons di Rick Carslile rimontarono vincendo tre partite di fila contro gli Orlando Magic. L'anno successivo, quello del titolo, New Jersey arrivò sul 3-2 prima di perdere la sesta partita in casa e la settima ad Auburn Hills. L'anno scorso proprio gli Heat fecero un'esperienza simile. Solo San Antonio riuscì in qualche modo a venire a capo di una gara7 molto complicata.
Quelle edizioni dei Pistons sembravano avere ben altra consistenza. Forse i giocatori stanno già cercando un capro espiatorio a "Big Ben" è stato l'unico ad avere il coraggio di dare voce al pensiero dello spgliatoio; forse la mania di controllo su qualunque cosa di Larry Brown non era così insensata. Lo capiremo da come la squadra reagirà per l'ennesima volta sull'orlo del baratro.
In fondo allo spogliatoio degli Heat, dopo gara4, il più soddisfatto sembrava Udonis Haslem: c'era anche l'anno scorso, ha faticato nelle prime 3 partite della serie, è stato l'unico ad andare in doppia cifra fra i suoi (16), al di là del duo atomico. "Siamo passati attraverso tanti alti e bassi in questa stagione - ha detto - ma non smetteremo di combattere."
Il morale di Miami è il primo problema dei Pistons. Dopo vengono le faide interne.