Lebron e lo spirito irlandese

L'impressionante muscolatura di Lebron James: per fare strada serve però anche forza d'animo

La prima cosa che ti colpisce di Akron quando ci arrivi è il piattume; quel tipico piattume dell'America rurale, difficile da concepire ragionando con i canoni italiani. Un paesone non rende l'idea, una distesa di case attorno ad un campo da baseball, che sembra quello dove giocava Michael Jordan ai tempi di Space Jam, a un museo d'arte moderna, al quale si sta aggiungendo una nuova ala, e a una "downtown" improvvisata con qualche grattacielo a rompere la monotonia generale. Sarà  quindi vero che, come assicura il sindaco Don Pusquelic, con una riga nei capelli più scolpita di quella di Alec Baldwin in "Caccia a ottobre rosso", continua la rinascita della città  iniziata a metà  anni '90.

Viene però da chiedersi cosa fosse Akron prima, e più facile capire come Lebron James occupasse la stragrande maggioranza del suo tempo con la palla a spicchi in mano. Per lo meno in questi giorni viene in soccorso il King's James Shooting Star Classic, il torneo che vede impegnate fino alla fine del mese formazioni scolastiche di tutto lo stato.

I playoff Nba sono ben altra cosa rispetto ad Akron; se le case della città  sono tutte della stessa altezza, il morale di una squadra di post season cambia giorno dopo giorno. Se fosse l'altimetria di una tappa del giro d'Italia troveremmo picchi da tre cime di Lavaredo e discese altrettanto ripide e repentine.

Lebron James se n'è accorto dopo gara2; Cleveland ha perso 89-84, dopo aver vinto nettamente gara1. Il prescelto ha bagnato il suo esordio nelle partite che contano di più con la tripla doppia che è la sintesi più essenziale del suo gioco a 360 gradi. Ma lo sport è solo attualità : James in gara2 ha passato il pallone in maniera eccessiva, specie nelle fasi conclusive della gara.

Questa è la critica: un passaggio di troppo a Varejao che perde il pallone e suggella la vittoria degli Wizards, il fattore campo ribaltato, un tifoso di prima fila che, osannante due giorni prima, urla "Lebron, che diavolo fai?". Come sempre in questi casi la spiegazione c'è ed molto semplice.
Il merito è di Brendan Haywood, che nel primo quarto ha risposto con un fallo deciso, un pesante abbraccio, all'ennesima penetrazione del prescelto.
Il "nuovo 23" ha realizzato i liberi ma poi non ha segnato nei successivi 14 minuti e, la critica dice, non ha più avuto la stessa aggressività .

"Si è trattato solo di una giocata - ha detto in spogliatoio il centro degli Wizards - che da sola non può cambiare l'esito di una partita. Quante ce ne sono in una partita?" La storia ci dice che un'azione può cambiare eccome l'esito di una serie, dal tiro di Derek Fisher nel San Antonio - Los Angeles del 2004 in giù. "James è un giocatore diverso dai suoi pariruolo - ha continuato l'ex North Carolina, che porta con sé la fama di un giocatore un po' soft - quindi se fai fallo devi farlo deciso." Regola valida, specie nei playoffs, per tutti e codificata ai tempi di Kevin Mc Hale.

"So bene che la pallacanestro dei playoffs è questa - ha spiegato James - molto più fisica di quella della regular season; mi hanno marcato bene, lavorando per non farmi ricevere la palla, spendendo anche qualche fallo." Per la verità  26 punti, 10 rimbalzi e 2 assist significherebbero una partita sufficiente per almeno tre quarti dei giocatori della Nba. Le palle perse, 10 record negativo in una partita di playoffs, sono in effetti tante.

Il lavoro degli Wizards ce lo racconta il coach, Eddie Jordan: "Quel che puoi fare con James è sfidarlo al tiro in sospensione perché diventi meno creativo per i compagni. Inoltre è necessario fargli sentire il fisico ogni volta che si muove nell'area." I body ceck degli esterni con quei muscoli nemmeno li sente; quelli dei lunghi lo possono condizionare un po' di più. In questo senso il fallo di Haywood fa parte del pacchetto.

La sfida di Lebron dev'essere imparare a gestire questa situazione nuova per lui, sapendo che il tempo di apprendimento concessogli sarà  molto breve. "Questa è la principale differenza fra playoffs e stagione regolare - spiega Reggie Miller - ogni tua mossa viene studiata per trovare la giusta contraria. Essere efficaci in post season divide i grandi giocatori dai campioni assoluti." L'ex Indiana parla in virtù della sua fama di "mister maggio" e dei suoi 21 punti di media all'esordio nei playoffs contro i Detroit Pistons campioni al termine del campionato del 1990.

"Molti grandi campioni - dice Larry Brown - hanno dovuto imparare come giocare nei playoffs. Mi viene in mente Isaiah Thomas (chissà  perché lui ndr). Ma James è diverso dagli altri, è già  pronto per la sfida che deve affrontare. E poi ha la fortuna di avere al fianco un giocatore come Eric Snow." Nostalgia per l'unico giocatore realmente di complemento ad Allen Iverson a parte, James ha parlato con l'ex Sixers prima dell'inizio dei playoffs; lo ha fatto anche con Damon Jones.

"Mi hanno detto di stare tranquillo - ha spiegato il "nuovo 23" - ma è una cosa che so già . All'High School mi trovai a giocare le finali dello stato: ricordo che ero eccitato, magari un po' nervoso, ma niente affatto impaurito." Con tutto il rispetto non proprio la stessa cosa. Quasi tutti i giocatori, anche i più grandi hanno dovuto fare esperienza, passare per anni di frustrazioni: Jordan non ha vinto subito, Pippen è passato per le sue emicranie, O'Neal è andato alla scuola di Olajuwon.
Kobe Bryant, per parlare di un contemporaneo, è passato dai 4 airball contro Utah e dai fischi del Forum nel 1999. L'unica eccezione in questo senso, in era più o meno moderna, è Magic Johnson.

In qualche modo anche James avrà  bisogno di apprendistato. La sua interpretazione farà  la differenza. "I nostri tifosi sono andati in delirio quando abbiamo raggiunto i playoffs", ha dichiarato James prima di gara1. L'aspettativa della città  è giustificata dal fatto che i playoffs mancavano, nelle maggiori discipline professionistiche, dall'apparizione dei Browns della NFL nel 2002.

L'aspettativa dell'America intera invece è quella di un paese che si sente orfano di passioni cestistiche vere e proprie; l'America che si è appassionata alle relazioni pericolose fra O'Neal e Bryant, guarda con noia a San Antonio e Detroit. Poi c'è l'altra parte del paese che vagherà  orfana di Michael Jordan fino a quando un altro giocatore non segnerà  di nuovo 4 punti decisivi negli ultimi 37 secondi di una finale e che vede nel prodotto di Akron l'ennesima speranza, la più concreta, forse l'ultima.

C'è una categoria statistica in cui James abbassa la media generale: il 98% dei liceali andati a St. Vincent - St. Mary si laurea brillantemente. Lebron all'università  non c'è nemmeno andato, magari tra qualche anno prenderà  una di quelle lauree "biologia della matita" coniate da O'Neal. Il proposito ultimo di quella scuola è quello di educare a comandare e servire il prossimo insegnando i dettami della religione cattolica e tramandando lo spirito combattivo irlandese.

Quest'ultimo servirà  a James, che è stato il quarto giocatore della storia della lega, dopo Robertson, West e Jordan a segnare almeno 31 punti di media con 7 rimbalzi e 6 assist, ma ora ha preso un'altra strada; una strada più lunga e difficile, quella della consacrazione al massimo livello.
Gara1 era una delle tre cime di Lavaredo, gara2 la base dell'ascesa. La storia ricomincia da Washington, in gara3.

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