Razzi in avaria

Buona la seconda parte di stagione di Yao, ma non è bastata

"Houston, abbiamo un problema…"
La voce di Jim Lowell, capo pilota della missione Apollo 13, destinata a tornare sulla Luna a distanza di qualche anno dalla passeggiata di Neil Armstrong e Buz Aldrin, risuona preoccupata nell'interfono del centro di controllo missione, giù a Houston, nel Texas, che ospita da sempre il quartiere generale dell'Agenzia Spaziale americana, la NASA.

Una esplosione, causata da una serpentina difettosa, ha provocato una ingente perdita di ossigeno e di energia, non più sufficienti a garantire tanto il successo della missione quanto il felice ritorno a terra dell'equipaggio.

La superstizione non è solo un retaggio italiano o irlandese ed anche gli americani hanno i loro luoghi comuni al riguardo ; così il varo della missione numero 13 delle sonde Apollo era stata salutato da un misto di diffidenza e timore.

Quando uno dei membri dell'equipaggio era stato sostituito a causa del rischio di contrarre durante il volo una malattia esantematica, molti nella NASA avevano visto in ciò una conferma dei sinistri auspici.

Adesso però a Houston regna un mesto silenzio.
La missione può dirsi fallita, perché mai le risorse a bordo basterebbero ad allunare e poi far ritorno sulla Terra. La Luna è quindi perduta e la seconda passeggiata in bassa gravità  sull'altipiano di cenere dovrà  aspettare ancora.

L'obiettivo cambia e diviene recuperare la squadra in balia dello spazio profondo ed anche questo fine pare ad un primo esame irrealizzabile.
La preoccupazione è alle stelle e le circostanze lasciano presagire un nuovo disastro spaziale dopo quello di Apollo 1, conclusosi con la perdita della sonda e dell'equipaggio in una tragica esplosione, disastro che potrebbe forse sancire la sconfitta degli Stati Uniti nella corsa allo spazio con l'URSS.

La più grande ricchezza dell'uomo è forse la sua spiritualità , ma di sicuro la capacità  di adattarsi, di trovare soluzioni funzionali ed efficaci anche nelle situazioni più complesse, non figura agli ultimi posti della speciale classifica delle ricchezze umane.

Così il sangue freddo e la resistenza dell'equipaggio di Lowell, assieme alla genialità  degli scienziati sulla Terra, compiono il miracolo e, pur perdendo la Luna, l'equipaggio torna sano e salvo, con un boome nella popolarità  (e nei più importanti finanziamenti statali)della NASA, che negli anni verrà  proiettata dalla dimensione delle sonde Apollo a quella più futuristica degli Shuttle.

Però stavolta è diverso.
Molti anni dopo quell'episodio, è Houston ad avere un problema, non la sonda…un problema enorme. E non si parla di Houston intendendo la NASA, anche se si tratta sempre di Razzi, bensì della franchigia NBA texana, che ha sede in città .

Anche in questo caso si è certi di aver preparato tutto nel migliore dei modi, per consentire ai Rockets di dire la loro nei playoffs 2006.

Il roster è stato rinforzato dall'arrivo di Stromile Swift, dinamica ala forte che dovrebbe assicurare sottocanestro quel dinamismo che ben si sposerebbe con la potenza della grande muraglia cinese, al secolo Yao Ming, con Juwan Howard come collante tra il reparto esterni e quello dei centri.

T-Mac dovrebbe fare la differenza tra gli esterni ed essere la principale fonte di gioco e di punti, ben imbeccato da Rafer Alston, il baller meglio conosciuto nei playgrounds come "Skip-to-my-Lou".

David Wesley, Keith Bogans, Dikembe Mutombo, Jon Barry e perfino il rookie Luther Head assicurano un importante contributo dalla panchina alla squadra di Jeff Van Gundy, esperto nocchiero, rotto alle battaglie playoff fin da quando aveva ereditato la versione più vincente dei Knicks (eccetto quella del titolo nel 1975) dal suo mentore Pat Riley.

Le partite di preseason sembrano confermare tutte le aspettative più ottimistiche. La squadra gira e le vittorie si susseguono, così i Rockets chiudono questa fase con un bilancio positivo di 6 vittorie e 2 sconfitte.

Ma fin dall'inizio della stagione regolare le cose vanno per storto ; pronti, via, e siamo già  4-11 con una striscia perdente di 6 gare e soprattutto una squadra che non sa giocare assieme, troppo dipendente dalle iniziative di McGrady e delle prestazioni di Ming.

In dicembre il bilancio è quasi in pareggio, (6-7) ma inizia la falcidia di infortuni che segnerà  la stagione dei Razzi. Yao e T-Mac fanno dentro-fuori ripetutamente, ogni volta rientrando mai del tutto guariti.

Gennaio vede una nuova striscia perdente lunga sette gare e un bilancio negativo parziale di 5 vittorie e 11 sconfitte (15-29 totale) ; l'unico acuto è costituito dalle due vittorie in fila a Washington e Cleveland, oltre alla vittoria di misura a Chicago dopo due overtime a interrompere la serie perdente ma non la crisi, di uomini e di gioco, che allonana sempre di più Houston dai playoffs in cui avrebbe dovuto recitare da protagonista.

In piena emergenza, si cerca di trovare dei rimedi per centrare almeno l'obiettivo secondario, il raggiungimento dei playoffs nelle posizioni di coda, visto che ottenere un buon piazzamento nella griglia appare ormai impossibile.

Inizia quindi la rincorsa che parte benissimo con un mese di Febbraio finalmente positivo (8-3 il bilancio) e in marzo, dopo una serie di 4 vittorie consecutive, precedute da una sconfitta, Houston si trova 29-33 e la rincorsa sembra destinata al successo.

Ed è proprio qui che la storia dei Rockets 2006 prende una piega completamente diversa da quella dell'equipaggio di Apollo 13.

Mentre Houston (NASA) era riuscita a risolvere il problema della sonda e riportare a casa Lowell e compagni, gli Houston (Rockets) non riescono a risolvere il problema della propria stagione che va a rotoli : una serie di altre sei sconfitte chiude quasi del tutto la porta alla speranza-playoffs, ed ora come ora il record è di 32 vittorie e 43 sconfitte, quando la squadra che nella Western Conference occupa l'ottavo posto utile per accedere ai playoffs, cioè gli —-, ha —vittorie in più e alla conclusione della regular season mancano ormai sette partite.

Pertanto questa che si sta per concludere, pur con l'attenuante della malasorte (che però a questi livelli va messa in conto, almeno in una certa misura, e si deve essere organizzati ad affrontarla), rischia di divenire una delle stagioni più perdenti e deludenti della storia della franchigia, se si pensa che lo scorso anno, una squadra tutto sommato buona, ma incompleta e perfettibile, aveva saputo raggiungere i playoffs senza grandissime difficoltà  ed aveva espugnato per due volte Dallas conquistando un vantaggio campo che però non era basato a superare il turno.

Troppi giocatori hanno giocato poco (Ming 47 e McGrady 54 gare, pur assicurando punti e rimbalzi come se piovesse ; pochi sono comunque gli stacanovisti che superano le 65-70 gare giocate…) o male, rendendo al di sotto delle attese ; Swift ad esempio, che ha segnato mediamente neppure 9 punti e preso 4,5 rimbalzi, cifre decisamente inferiori a quelle che aveva a Memphis e ci si attendeva da lui anche a Houston.

Oppure il vecchio Dikembe Mutombo, chiamato a sostituire spesso il centro cinese infortunato, che ha risposto con 2,5 ridicoli punti di media e neppure 5 rimbalzi, segno che su di lui il tempo ha infierito forse più che su un coetaneo e collega di reparto come Mourning agli Heat.

Chiaramente hanno trovato spazio giocatori inizialmente in predicato di giocare poco, come Keith Bogans e Luther Head o Richie Frahm, che hanno assicurato poco meno (il primo) e poco più (il secondo) di 10 punti di media.

Wesley e Howard hanno fatto più o meno quello che ci si aspettava da loro, così come Alston (11,8 punti e 6,70 assist a partita), che però ha confermato di non essere un play in grado di trascinare una squadra, come per esempio Mike James, suo successore a Toronto, che ha saputo fare di necessità  virtù, trasformandosi in realizzatore dopo la partenza di Jalen Rose, oltre ad assicurare assist a mazzi per Bosh e Villanueva.

Come squadra, a dispetto del suo allenatore di stampo prettamente difensivista, pur non concedendo tantissimi punti agli avversari (92 di media nei 48 minuti), Houston non è però mai riuscita a fare della propria difesa un fattore vincente, una sicurezza insomma, subendo canestri in area nei momenti cruciali, benché questo dipenda anche dal fatto che i suoi lunghi, specialmente Ming, non sono intimidatori naturali.

Nella piena tradizione del suo allenatore invece, il gioco è sempre stato involuto e farraginoso, non consentendo alle stelle della squadra di brillare secondo le loro possibilità .

E' però ingeneroso addossare a Van Gundy tutte le responsabilità  del fallimento, perché quando si perde, lo si fa tutti assieme, e se è vero che "la vittoria ha cento padri, la sconfitta è orfana", quale fosco post stagione attende i Rockets? ci sarà  la discesa in corsa dal carro perdente? È quello che vedremo, anche se la speranza di fare i playoffs non è ancora defunta…

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