La favola avrà  il lieto fine?

Chris Paul guida gli Hornets secondo i dettami del suo coach Byron Scott meglio di tanti veterani

Può una squadra che cede il suo miglior lungo per un esterno da poco più di dieci punti di media, che perde per squalifica il centro di riserva, che scopre nella designata guardia tiratrice del futuro un altro bamboccio della "X-Generation" con un grosso ego ed una pessima etica lavorativa ed infine che viene cacciata dalla città  natale per mano dell'uragano Katrina essere ancora in corsa, ad aprile, per i Playoffs della Western Conference?

La risposta è sì, se questa squadra sono gli Hornets. Visto l'elenco di cui sopra, la franchigia avrebbe avuto tutte le scuse per una stagione mediocre o, come molti analyst prevedevano non a torto, per diventare in scioltezza il peggiore team della Lega. Invece si sono trasformati in una perfetta storia americana, fino ad arrivare a rappresentare un perfetto spot pubblicitario per l'NBA: superare tutte le avversità , vincere grazie al gioco di squadra senza privilegiare questo o quell'attore, ed il tutto con il monte salari più piccolo della Lega.

Gran parte del merito di questa piccola-grande favola sportiva va attribuito al coach, Byron Scott. Dopo il suo allentamento forse un po' troppo avventato dai New Jersey Nets, visto che comunque aveva portato ad una Finale NBA le sempre vituperate Retine contro tutti i pronostici (un po' come sta facendo adesso), questa per Scott è una sorta di consacrazione ed una rivincita verso i detrattori, tanto che l'ipotesi di un premio come "Coach of the Year" non è da scartare in maniera aprioristica. L'allenatore ha portato quello che sapevamo. Per prima cosa, lo spirito di squadra, riuscendo a raggiungere un'invidiabile chimica tra i vari giocatori, ovviamente con alla base il "Princeton Offense" che aveva reso celebri quei Nets.

Tra i players, per quanto gli Hornets giochino di squadra, sono tre quelli che hanno fatto davvero la differenza, tanto da essere in corsa per i premi, rispettivamente, di Rookie dell'anno, di giocatore più progredito e di miglior sesto uomo: Paul, West e Claxton.

Chris Paul ha sorpreso un po' tutti. Certo, sembrerà  un po' strano sorprendersi per uno scelto con il numero quattro assoluto all'ultimo draft, ma il modo in cui ha guidato la squadra in cabina da regia, meglio di tanti più conclamati veterani, ha dell'incredibile. Il premio di miglior esordiente sarà  verosimilmente suo a mani basse, cosa che si era già  intuita dopo il primo mese e mezzo di gare ufficiali. Ad oggi, forse, se si potesse tornare al giugno scorso, si giocherebbe la prima chiamata con Andrew Bogut, ma i dubbi permangono solo perché l'australiano è un lungo.

Gli unici "se" e "ma" avanzati sull'ex-Wake Forest riguardano la tenuta fisica, dal momento che la sua struttura è molto simile a quella di Allen Iverson: tenere botta per più di 80 partite più Playoffs con tutte quelle botte è cosa inspiegabile già  per AI, quindi resta da vedere come farà  ed in che modo Paul si porterà  dietro tutti gli acciacchi di una logorante stagione ad alto livello, tanto più che già  quest'anno gli acciacchi si sono fatti sentire a più riprese.

David West invece è stato il classico fulmine a ciel sereno. Nelle precedenti due stagioni, le prime da professionista, non ha mostrato granchè, anche se a dire il vero gli infortuni hanno svolto un ruolo purtroppo determinante. Promosso titolare per la carenza di lunghi del roster, è esploso. Con il doppio di minuti a sua disposizione rispetto al passato, ha triplicato la produzione di punti (diventando il più prolifico dei suoi) e raddoppiato il numero di rimbalzi. Trovare in effetti un altro atleta più migliorato è impresa ardua.

Speedy Claxton è stato perfetto nel ruolo di cambio di Paul, con addirittura un paio di gare vicino a quota 30 punti. Claxton rappresenta alla perfezione l'indole dei restanti giocatori al servizio di Scott, in cui tutti conoscono il proprio ruolo all'interno dell'ingranaggio, in quella che di là  dall'oceano chiamano "Team First Mentality".

Anche nelle migliori storie, però, esiste la pecora nera. In questo caso, il suo nome è JR Smith. Alla seconda stagione nella Lega, proprio quando si aspettavano le conferme di quanto di buono aveva fatto vedere agli esordi, l'ex-liceale si è inviso coach Scott iniziando a mugugnare per il minutaggio ed per il poco spazio che trova nel gioco della squadra. Nella speranza di essere smentiti a breve, perché altrimenti saremmo di fronte all'ennesimo caso di talento sprecato, facciamo notare che le rimostranze di Smith sono assolutamente fuori luogo in una squadra che in così breve tempo ha trovato una chimica che molti big teams invidiano. Un punto ulteriore a suo sfavore è l'etica lavorativa del ragazzo che definire "rivedibile" non rende forse appieno l'idea.

Ultimo ma non ultimo va menzionato PJ Brown, il capitano. Stoico se non addirittura commovente nel giocare fuori ruolo, lui, ala forte da sempre abituato ad avere dei big man a fianco e trasferito in posizione di centro a scornarsi con gente più grossa di lui. Il lavoro sporco è sempre piaciuto a PJ, tanto duro sui parquet di mezza America quanto da tutti indicato come cittadino modello al di fuori. Le sue cifre sono in calo perchè i 36 anni iniziano a pesare, ma quello che butta in campo spesso e volentieri non va a finire sul tabellino delle statistiche.

Il punto più alto della stagione dei Calabroni è arrivato dopo l'All-Star Game, quando, il 12 febbraio, si sono arrampicati fino a sei gare oltre il 50% di vittorie (29-23), situazione eplicata anche il 26 dello stesso mese (31-25). Da lì, purtroppo, una striscia di otto sconfitte consecutive ha fatto inevitabilmente precipitare la situazione, e proprio nei giorni in cui scriviamo un'altra striscia perdente arrivata a quota tre è ancora aperta (il che fanno 11 debacle nelle ultime 12 partite disputate). Il calendario da qui alla fine, tra l'altro non è molto favorevole: molti gli scontri diretti, parecchi in trasferta, proprio quando la stanchezza inizia a farsi sentire. Vedremo se la favola avrà  il lieto fine.

Comunque vada, viste le premesse, sarà  un successo, tanto per abusare di un vecchio ed ormai logoro modo di dire all'italiana. Playoffs o meno, in estate sarà  l'ora di gettare ulteriori basi per il futuro. Si ripartirà  ovviamente dal trio di cui narravamo all'inizio, passando attraverso la conferma di Claxton, il quale ha il contratto in scadenza. Tra gli altri, pure quelli di Desmon Mason, Aaron Williams, Rasual Butler e PJ Brown sono contratti che finiranno a luglio. New Orleans avrà  così circa 18 milioni di dollari per decidere il da farsi.

Brown verrà  probabilmente rifirmato a cifre ragionevoli ma, vista l'età , si dovrà  prendere un lungo dalle stesse caratteristiche, rimbalzista e difensore, da affiancare a West. Gente alla Nenè o alla Nazr Mohammed, tanto per citare due dei prossimi free agent che potrebbero fare comodo. I ruoli di guardia tiratrice e ala piccola sono altrettanto in discussione. La combinazione perfetta sarebbe un esterno con 20 punti nelle mani, con l'altro buon difensore per arginare i Kobe Bryant di turno. Detto che quest'anno sono stati in quattro principalmente a coprire questi due ruoli (Kirk Snyder e Mason i titolari, Smith e Rasual Butler i primi cambi), e due sono, come visto, in scadenza, occorrono scelte oculate ma decise.

Butler difficilmente sarà  rifirmato, visto che non garantisce abbastanza punti tanto da far dimenticare le sue enormi pecche difensive. Mason ha deluso e non poco, soprattutto se si ricorda che è arrivato per Jamal Magliore. Due dei quattro esterni sopra menzionati, se non addirittura tre, non dovrebbero comunque più far parte del team il prossimo ottobre.

Il caso più spinoso potrebbe però essere rappresentato da Smith: puntare sul suo talento, nella speranza che Scott gli entri sottopelle instillandogli un po' di "Team Spirit" o magari cederlo agli Spurs in una sign-and-trade per Mohammed (visto che il coaching staff degli Speroni pare che straveda per JR, ma è più verosimile arrivi un Brent Barry in cambio)?

I dubbi sulla possibile o meno riconferma stazionano anche sulla testa di Williams. Scott l'ha fortemente voluto essendo un suo "afiocinados" dai tempi dei Nets, ma quest'anno non ha risposto alle aspettative. Non ci si aspettava di certo la luna, ma avrebbe dovuto essere, offensivamente, quello più pronto per la "Princeton offense". In teoria si va verso la riconferma: vedremo.

Non va dimenticato comunque in draft, a cui gli Hornets si presenteranno con due picks da primo giro. Priorità , quello che, si auspica, non arriverà  dai free agent e viceversa. Verosimilmente, si andrà  alla ricerca di un lungo difensore da affiancare in panchina a Marc Jackson, nell'ipotesi che West possa giocare consistenti minuti pure in posizione di small forward.

Il principale problema a cui il General Manager Jeff Bower si troverà  davanti sarà  quello di prendere delle decisioni sui free agent e sul mercato senza sacrificare l'intesa che questo gruppo ha trovato in così poco tempo. Un trade-off tra rinnovamento e chimica di squadra, insomma. Un effetto collaterale e perverso di stare troppo al di sotto del salary cap?

Da ultimo i dubbi sulla prossima ubicazione degli Hornets. Recentemente, nel programma di rinascita di New Orleans, la franchigia è tornata a giocare nella città  natale. Ovviamente è stato fatto registrare il tutto esaurito, cosa che non succedeva mai in condizioni normali, ma ciò è anche da spiegarsi nella voglia di ricominciare dei cittadini della Big Easy e dal grande sforzo pubblicitario che molti divi o ex-presidenti hanno fatto per far ripartire la città  dopo la catastrofe dell'uragano.

Senza entrare nel merito, è giusto far notare che da quando gli Hornets (di cui la partenza da New Orleans, visto lo scarso interesse in condizioni normali, giù si vociferava) sono ad Oklahoma City, registrano l'ottava posizione NBA per affluenza media, con 18577 spettatori a serata. Saranno anche numeri inficiati dalla novità  di una franchigia professionistica in città  (ripetiamo, non vogliamo entrare nel merito di discorsi che diventano inevitabilmente extra basket), ma il nuovo pubblico del Ford Center è entrato prepotentemente ai primi posti della classifica dei più rumorosi della Lega, tanto che il nuovo soprannome della metropoli sta diventando "Loud City". Un cordata di imprenditori locali sta cercando di strappare gli Hornets a New Orleans, ma a quanto pare non sarà  facile se è vero che l'NBA ha già  assegnato l'All-Star Game del 2008 a New Orleans.

Vedremo dove si fermeranno gli interessi economici e inizieranno quelli sentimentali, sperando che l'ipocrisia, che spesso fa capolino in caso di tragedie di questa portata, venga riposta per una volta nel cassetto (perché ora pare un po' tardi compensare con una franchigia la scarsa importanza data negli ultimi anni alla gestione delle dighe che avrebbero dovuto proteggere la città , ndr). Sarebbe un vero peccato che il nuovo giocattolo di Scott si rompesse dopo un inizio così sorprendente.

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