Andrei Kirilenko: che si vinca o che si perda, nei Jazz tutto passa da lui
Si preannuncia un eccitante arrivo in volata per l'ultimo posto utile per i playoffs della Western Conference. Sacramento Kings, New Orlenas Hornets e Utah Jazz sono, infatti, ancora in corsa. Ad ottobre la squadra di Jerry Sloan non godeva di certo dei favori del pronostico, visto che squadre come Houston e Golden State parevano sul punto di fare finalmente la voce grossa, ma visto che l'appetito viene mangiando, a seguito dell'ottima partenza, alla fine viene da dire che ci si poteva aspettare qualcosa in più dai mormoni.
Le cose, però, non sono andate tutte per il verso giusto, sia per la sfortuna sotto forma di infortuni (Boozer, Kililenko, Giricek, ma anche tanti giocatori di secondo piano), sia per scelte poco oculate della dirigenza, che affondano invece le radici più in là nel tempo. Che le aspettative dell'ambiente erano andate al di là delle semplici speranze si è capito in modo inequivocabile ad inizio marzo, quando pare che, a seguito di un vantaggio di 20 punti dilapidato contro gli Orlando Magic, l'owner Larry Miller abbia messo in discussione il posto di lavoro di Sloan, coach a Salt Lake City da 18 anni. Il proprietario ha poi smentito, ma l'indizio di un certo nervosismo resta.
Cerchiamo di analizzare cosa è andato storto.
Il dopo Stockton-Malone (e Jeff Hornacek, non dimentichiamocelo) si era aperto all'insegna della ricerca della prima pietra angolare su cui ricostruire. Trovata nel russo Andrei Kirilenko, il giocatore che ogni coach vorrebbe allenare visto quello che dà su ambedue le metà campo, si è trattato di costruire un degno supporting cast, oltre a trovare un'altra stella o presunta tale che spalleggiasse più di altri comprimari il biondo europeo.
Il primo passo è stato portare a Salt Lake City Carlos Boozer. Sorvolando sul pasticcio estivo precedente alla firma in quello che ormai è stato soprannominato il "Boozergate", i dubbi sull'ex-Cleveland sul fatto se sia o meno una stella come il suo salario indicherebbe, non sono purtroppo stati fugati, visto che in due anni ha saltato parecchie partite. Dopo un inizio d'anno che definire tribolato è un eufemismo, è rientrato da una ventina di gare e dovrebbe essere uno dei principali upset che potrebbero dare lo sprint in più alla volata dei Jazz, anche se la forma non può ovviamente essere delle migliori.
L'altro principale arrivo tramite il mercato dei free agent fu Mehmet Okur. In questa stagione doveva essere il centro titolare, ma l'infortunio di Boozer ha fatto slittare il turco dalla posizione naturale (comunque atipica, visto il considerevole tiro da fuori) a quella di ala grande. Okur però si è adattato benissimo alla situazione e, nonostante paghi in difesa l'atleticità e la velocità delle altre power forward, è diventato dall'altra parte del campo il miglior realizzatore dei suoi, così come il miglior rimbalzista.
Arriviamo poi al draft e qui le note iniziano a diventare molto meno liete. La politica impostata dai Jazz, ossia la linea giovane, dal momento che è il solo Matt Harping a sfiorare quota 30 anni se escludiamo il "vecchio" Ostertag, doveva necessariamente passare attraverso il draft. Ebbene, tra i più recenti picks il solo Deron Williams è ancora nello Stato dei mormoni. Kris Humpries, Kirk Snyder, Sasha Pavlovic sono altrove, così come il più grande rimpianto, ossia Maurice Williams, che in neanche due anni a Milwaukee si è trasformato in uno dei più seri candidati al titolo di miglior sesto uomo di questa stagione. Ma non scordiamoci neppure la chiamata di Raul Lopez, che in NBA fino ad ora non ci ha ancora giocato.
Quello che i detrattori, non a torto, imputano alla dirigenza come principali pecche nella gestione degli ultimi draft è aver fatto passare giocatori come Leandro Barbosa, Boris Diaw e Zaza Pachulia nel 2003 per selezionare Pavlovic al primo giro, e Nenad Kristic e Dan Gazuric al secondo giro per Ryan Humphrey; o, ancora, Al Jefferson, JR Smith, Kevin Martin e Anderson Varejao nel 2004 quando invece furono chiamati Humphries e Snyder. Il tutto per tacere di Samuel Dalembert, Trenton Hassell e Bobby Simmons nel 2001, quando la chiamata di Utah fu Lopez.
E' pur vero che del senno di poi ne sono piene le fosse, come recita un noto detto popolare, così come è vero che il draft non è (quasi) mai una scienza esatta, però è abbastanza significativa l'assenza attuale in squadra di tutte queste chiamate eccetto una, Deron Williams.
Qui si apre un capitolo abbastanza spinoso. Che Sloan non sia un amante dei giovani, pare un assunto abbastanza comprovato, e forse anche certi errori al draft possono anche essere spiegati con ciò. Da qui, però, a relegare in panchina la scelta numero tre assoluta del 2005, ce ne passa, visto soprattutto che gli altri playmaker del roster (Keith McLeod, Milt Palacio) non sono certo dei fulmini di guerra.
Williams ha pagato particolarmente il salto di categoria dal college, è vero, soprattutto dal rookie wall che coincide con l'All-Star Game di metà stagione in poi, però non è forse stato un bel modo di mostrare fiducia a quello che più di altri dovrebbe incastrarsi nel meccanismo dei futuri Jazz targati AK47. Williams resta, dati alla mano, tra i migliori cinque rookie di questa infornata, terzo tra le guarde dietro al sorprendente Chris Paul ed a Raymond Felton. Ci si aspettava di più, questo non si può negare, ma per adesso poteva pure andare bene così, visto che è per lo meno prematuro parlare di nuovi Stockton-Malone per l'ex Illinois e per Kirilenko. Purtroppo, però, il paragone, finchè esisterà la franchigia, resterà una spada di Damocle per chiunque vestirà questi colori.
Convinti che prima o poi Williams verrà fuori, un parere diffuso tra gli addetti ai lavori è la mancanza nel roster di una guardia tiratrice. Raja Bell pareva adattissimo al ruolo, soprattutto accanto ad un giocatore con le caratteristiche di Kirilenko, ma convogliando a nozze con i Suns ha aperto un buco che Gordan Giricek non ha saputo colmare. Quello che ai Jazz serviva era sì una guardia con punti nelle mani, ma anche e soprattutto un difensore esterno, cosa che Bell è molto di più se confrontato a Giricek. L'idea è quella che Utah non può permettersi più di una mezz'ora del croato in campo in fase difensiva.
Altro punto cruciale è la presunta fragilità di Kirilenko. Sfortuna o meno, nelle ultime due stagioni il russo non di rado si è seduto in borghese dietro la panchina dei compagni. Essendo ovviamente la star della squadra, il bilancio del team quando lui non è in campo è impietoso, ma le cifre dicono che lo è pure troppo. Quando è in campo rispetto a quando siede sul pino per rifiatare, il saldo punti è superiore ai 10 e solo perché mossi da amor proprio non indichiamo il record vittorie/sconfitte di quando è in lista inattiva.
Altre statistiche di solito meno note ma allo stesso tempo piuttosto importanti (tipo quando tira con più del 50% dal campo, o quando distribuisce almeno cinque assists, o ancora quando blocca più di tre tiri) indicano come non si può prescindere dal russo. Ripetiamo, questo già si sapeva, ma è proprio qui che la squadra deve migliorare per restare competitiva in assenza del russo, così da non gettare alle ortiche quello che guadagna quando invece è presente. Emblematico il caso di Indiana, la quale è riuscita in passato e ci riesce tutt'ora a gestire le assenze di Ron Artest e Jermaine O'Neal prima, ed O'Neal poi.
Il supporting cast, dunque, va necessariamente migliorato per ottenere quel salto di qualità che permetterebbe non solo di arrivare tra le franchigie presenti alla post season nel breve, ma anche per garantire una certa continuità di risultati. A tal proposito, in estate diventeranno free agent sette giocatori, quattro di seconda fascia ma tre importanti in quanto a salario: Matt Harping, Greg Ostertag e Jarron Collins. Il primo ha già fatto sapere che si guarderà in giro, visto che non è detto che arrivi un'offerta degli attuali datori di lavoro. Nell'ottica di un ulteriore ringiovanimento dei ranghi, pure Ostertag verrà lasciato libero. Si avranno così cinque milioni di dollari circa sotto il cap da poter investire in un altro free agent o in un'eventuale sign-and-trade.
Kirilenko, l'esplosione di Deron Williams, la conferma ad alti livelli di Boozer e Okur, una guardia all'altezza ed una panchina più competitiva sono dunque i punti salienti del futuro dei Jazz, al di là dei playoffs o meno da centrare in queste ultime gare di stagione.
Per concludere, visto che come detto è impossibile parlare di Jazz senza che il pensiero vada sempre a "quei due", va sicuramente ricordato che il 23 marzo è stata inaugurata una statua di fronte al Delta Center intitolata a Karl Malone, a cui ovviamente è seguita la cerimonia di ritiro del suo mitico numero 32. Il titolo del Salt Lake Tribune vale più di mille parole, visto anche il bel gioco di parole: "Malone takes post in history". Ci piace immagine che il Postino, con questa statua, vigilerà per sempre sugli spettatori che entreranno per seguire i suoi figliocci che vestiranno la canotta che lo ha reso celebre.