Joe Johnson, sulle sue spalle c'è il futuro degli Hawks.
America Centrale. Primo 1500. Siamo all'alba della colonizzazione del Nuovo Mondo, appena scoperto da Cristoforo Colombo e consegnato, dono prezioso e fonte di immensa ricchezza, nelle avide mani dei sovrani di Castiglia e di Aragona, che da poco hanno riunificato la corona di Spagna, trasformandola in poco tempo nella grande potenza di quel periodo.
Nel Golfo del Messico alcune caravelle solcano le acque, impegnate in una delle prime spedizioni di conquista nel continente Americano per conto della Corona, e approdano finalmente su una spiaggia il cui entroterra si presenta verde e rigoglioso, ma completamente ignoto, foriero di grandi ricchezze, forse, ma anche di rischi, compreso quello più grande, quello della vita.
I marinai, pochi di loro di carriera ed esperti, la gran parte raccattati in prigione o in qualche osteria dopo l'orario di chiusura da parte di una ronda di pochi scrupoli, che hanno iniziato a ricevere urla e frustate prima ancora di rendersi conto di dove erano finiti, sanno bene che i pericoli si annidano dietro ogni albero e ce ne sono tanti all'orizzonte di alberi, una foresta intera, appena oltre la linea della spiaggia.
In porto, nella madrepatria, prima di salpare le ancore, hanno udito i racconti dei pochi che sono già stati nel Nuovo Mondo, con le spedizione di Colombo e degli altri "Conquistadores" che hanno preceduto la loro spedizione ; non si favoleggia soltanto di oro e gemme ma alcuni di questi racconti sono raccapriccianti, parlano di uccisioni, di torture e di belve mai viste, assetate di sangue, del loro sangue.
Sul ponte di comando, situato sul castello di poppa, Francisco Pizarro, il comandante della spedizione, osserva preoccupato la sua gente mentre svolge le proprie mansioni senza troppa solerzia, in verità , e i soldati che, ancora senza far nulla, non sembrano particolarmente desiderosi di intraprendere la nuova impresa : attraversare, esplorandolo, l'altipiano dello Yucatan e conquistarlo per il re e per la patria.
Riuscirà nell'impresa, già riuscita a Colombo e al suo acerrimo rivale Cortes? I suoi uomini lo seguiranno fino in fondo nella conquista di queste nuove terre, che lo renderanno immensamente ricco? (sempre così"tanti combattono e muoiono perché pochi ne abbiano gloria e ricchezze"è la perenne vicenda della nostra povera umanità ").
Le caravelle marciano grazie ai remi ed al vento (tra non molto tempo le prime macchine andranno a vapore e poi, nel corso della storia, utilizzeranno il petrolio e l'atomo), ma quale prezioso carburante muove l'uomo se non le motivazioni? E tra esse qual è la più potente ?
Queste le domande che Pizarro si poneva mentre il sole scendeva all'orizzonte oltre il sipario delle acque, facendo posto a una notte senza luna, l'ultima a bordo delle caravelle, ancorate al riparo della solo apparentemente accogliente insenatura.
L'ultima prima di gettarsi in pasto all'ignoto..
Il mattino dopo, dopo aver ordinato lo sbarco, Pizarro dà un altro ordine, un ordine sconvolgente per i suoi uomini, che lo consegnerà alla storia : quello di bruciare tutte le navi.
Lo sguardo fisso alle fiamme che divorano il loro passato, la loro casa di tutti quei mesi in mare, l'unica chiave per un felice ritorno nel loro paese in caso di fallimento, i marinai di Pizarro acquistano la consapevolezza che non avranno più modo di guardarsi indietro ; potranno e dovranno andare solo avanti, perché solo avanti ci sarà futuro per loro, quale che esso si riveli.
Se saranno prodi e fortunati potranno forse arricchirsi e costruire nuove navi, altrimenti saranno morti…o peggio.
La storia ricorda Pizarro e i suoi uomini come dei prodi, capaci di conquistare vastissime terre ed assicurare alle Loro Maestà Cattoliche infinite ricchezze e a Santa Madre Chiesa innumerevoli anime da convertire alla Cristianità (quasi mai spontaneamente, va detto).
Purtroppo essi hanno consegnato il proprio nome alla storia esplorando e conquistando, ma anche depredando, uccidendo e torturando uomini e anziani, donne e bambini, attuando uno dei primi genocidi della storia e gli ordini di Pizarro non sono sempre stati così saggi ed acuti, ma ciò riguarda un altro capitolo circa le miserie umane che non affronteremo qui.
Adesso voi vi chiederete perché, cosa c'entra la conquista spagnola delle Americhe con Joe Johnson? Niente, vi rispondo, se non per quella originale strategia motivazionale di ordinare l'incendio delle navi.
Cero lui non ha ovviamente ordinato a nessuno di bruciare alcunché, però ha deciso ad un certo punto della propria carriera che preferiva ricominciare daccapo, tagliando i ponti col passato, lasciando una franchigia storica e di tutto rispetto come i Suns, un sistema di gioco brillante, che esaltava le sue caratteristiche di giocatore perimetrale, dei compagni del calibro di Nash, Marion e Stoudamire e soprattutto una squadra destinata ben presto a far bene, se non benissimo (leggi Anello).
Cosa non comunissima tra i giocatori NBA di oggidì, Johnson ha desiderato prendere sulle proprie spalle i destini di una franchigia storica da gran tempo in declino, diventandone l'anima e il giocatore più rappresentativo, il trascinatore, colui che aiuta i giovani compagni a crescere e che prende tutti i tiri importanti.
La storia recente ci racconta di giocatori incapaci di trascinare alla vittoria le loro franchigie che tentano di salire sul carro di franchigie in quel momento riconosciute più forti, per vincere assieme a loro con compagni più forti.
E' il caso di giocatori come Barkley, che lasciata Philadelphia, tentò invano di vincere con una delle più forti squadre che i Suns abbiano mai avuto, quella di Chambers e "ThunderDan" Majerle per intenderci, e successivamente a Houston, che però vinse solo quando lui non era più presente in squadra (solo un caso?)
Oppure di Gary Payton, “il Guanto” che, lasciata al suo destino Seattle, tentò la via dell'anello coi Lakers della coppia ormai scoppiata Kobe-Shaq : altro insuccesso, vissuto peraltro assieme all'altro mercenario Karl Malone, giunto ai medesimi Lakers per la medesima ragione dopo una vita a Utah. Casualmente un altro buco nell'acqua… .
Ora Payton ci riprova assieme a Shaq, Wade, Walker, Mourning e Williams a Miami…chissà … .
Tra questi elementi potremmo annoverare anche i "cuginetti capricciosi", al secolo Vinsanity Carter e T-Mac, che dopo aver esasperato con le loro bizze e i loro scioperi di gioco parecchia gente a Toronto e Orlando, sono andati a far fortuna nelle Meadowlands del New Jersey il primo, e tra i Razzi di Houston il secondo.
Stessa pasta dei precedenti, spettacolari ma perdenti fisiologici, per vocazione più che per coincidenze sfavorevoli.
Poi ci sono alcuni giocatori, pochissimi in verità , che invece, vincenti di razza, vengono chiamati, e sottolineo chiamati, da franchigie che vogliono vincere e sentono che manca loro ancora qualcosa per riuscirci ; giocatori come Robert Horry, che dopo i trionfi a Houston e Los Angeles, lo scorso anno ha lasciato la sua impronta indelebile sull'annata degli Spurs, decidendo gara 5 di finale coi Pistons, chiave di volta dell'intera serie.
E poi ci sono quelli come Kobe Bryant, che vogliono, anzi pretendono il centro del palcoscenico, comunque e dovunque, sostenuti da un ego di notevoli dimensioni, dall'ambizione portare da soli la propria squadra al successo, costringendola a dipendere in tutto e per tutto dalle proprie giocate, nel bene e nel male.
Dotato di capacità davvero fuori dal comune, basta guardare le cifre che sta producendo quest'anno, con un numero di partite in cui ha realizzato più di 40 punti che ha toccato la doppia cifra ormai da gran tempo.
Fuori dal comune è pure la sua etica lavorativa, che ricorda i primi anni ottanta e una città affacciata sull'Atlantico, la cui franchigia fu restituita alle perdute glorie da un giocatore dallo spirito indomito, dal talento infinito e da un'etica lavorativa appunto proverbiale : Larry Bird ovviamente ; a differenza del biondo e baffuto Celtic però, Kobe non è e probabilmente mai diverrà capace di migliorare col suo gioco i suoi compagni di squadra e questo rimane il suo limite, come il suo egoismo, anche questo fuori dal comune, per restare in tema.
Non sempre però un solo uomo, per quanto forte e determinato, per quanto disposto a soffrire e lavorare per trascinare in alto la propria squadra, riesce nel proprio intento. Non per questo abbandona la propria squadra in difficoltà per trovare altrove la gloria, ma sceglie di condividerne il destino lavorando ogni giorno perchè il futuro lo riservi migliore
Gente di cuore, vere bandiere, uomini franchigia per eccellenza.
Allen Iverson è uno di questi ; Iverson che continua a far da chioccia ai vari Iguodala e Korver e che quest'anno guida una squadra a stento sopra il 50% di vittorie.
E Paul Pierce ovviamente, che sta producendo una delle annate più positive in termini di cifre della sua carriera (27 punti, quasi 7 rimbalzi e quasi 5 assist), proprio nell'anno in cui Boston è abbondantemente sotto il 50% e quasi ogni giorno si parla di uno scambio che lo coinvolge e lo spedisce nelle direzioni più disparate.
Ma lui, che pure avrebbe tutto da guadagnare da uno scambio che lo porti lontano dalle pene bostoniane, verso una franchigia più vincente, ha fatto sapere di sentirsi un vero Celtic e di voler concludere la propria carriera in biancoverde" . Ogni commento è superfluo non credete?
Joe Johnson, guardia ala di 201 cm, proveniente dall'Università di Arkansas a Little Rock, dove peraltro è nato nel 1981, appartiene per diversi aspetti ad entrambe queste due ultime categorie ; come Kobe ha deciso di voler essere un uomo franchigia e non la spalla di un altro primo violino, però come DoubleP ha deciso di non costringere la propria squadra a recitare da comparsa ai propri show balistici e guida un gruppo giovane, che al momento non può assicurargli vittorie, ma sul cui futuro sente di dover scommettere.
A differenza di questi due campioni però, Johnson ha fatto di tutto per approdare ad Atlanta, intesa come franchigia in ricostruzione prima che come città , ricca di giovani di talento (Childress, Smith, Salim Stoudamire, Pachulia, Williams) dei quali poter diventare leader, assieme ad Al Harrington.
Di tutto dicevamo : ha rinunciato alla gloria di un possibile anello che quest'anno Phoenix potrebbe pure vincere, ma soprattutto si è tagliato parecchi ponti alle proprie spalle, perché la sua "fuga" non era preventivata e quindi neppure gradita dal front office dei Suns. Ha pure rinunciato, una volta deciso di venir via dall'Arizona, a un ingaggio presso un'altra franchigia dal presente e futuro certo e fors'anche glorioso.
Ora Johnson è solo con la sua scelta, alle prese con una squadra che, al di là della leadership, per ora null'altro ha potuto assicurargli ; ma tanto basta ; il giocatore, draftato nel 2001 da Boston (che quindi inserisce anche il suo nome nella lista delle stelle che ha lasciato improvvidamente partire negli ultimi anni, lista che vede nomi come quelli di Billups, Bowen e Ben Wallace…scusate se è poco !), si è subito rimboccato le maniche e si è messo al lavoro.
Ha cercato di adattare il proprio gioco alle necessità della squadra, ha preso qualche rimbalzo in meno ma ha servito quasi il doppio degli assist rispetto a Phoenix (6,7 contro 3,5) ed ha preso maggiori responsabilità offensive (20,3 rispetto ai 17,1 della stagione precedente), senza essere necessariamente sempre il miglior realizzatore, cedendo tranquillamente questo titolo al compagno di volta in volta "in zona magica".
Insomma, ha preso per mano il gruppo ed ha ovviamente perso qualche palla in più, però il suo esempio pare servito a motivare gli Hawks, che al di là dei risultati, sempre importanti, sono sembrati a tutti una squadra spettacolare, giovane e di buone prospettive, se è vero che, concludendo nelle ultime posizioni, Atlanta potrà di nuovo dire la propria nella Lotteria del Draft e pescare qualche altra potenziale stellina da aggiungere a quelle già presenti ed operative.
La squadra infatti, benché il record sia fortemente negativo, come del resto preventivato, 20 sole vittorie a fronte di 43 sconfitte, non è stata quasi mai asfaltata come accadeva negli anni precedenti ed ha dimostrato di potersela giocare praticamente con tutti, ottenendo vittorie prestigiose contro Indiana, San Antonio, Denver, Cleveland, New Jersey, LA Lakers e Detroit, e semmai perdendo tutta una serie di gare da vincere contro dirette contendenti, il che la dice lunga sull'inesperienza e l'immaturità di questo gruppo, come anche sulla sua potenzialità .
Il tempo però è come sempre galantuomo e probabilmente renderà giustizia anche a quest'uomo che, come recita il titolo della celebre canzone di Ray Charles, può dire di avere la Georgia (intesa come Stato e non come donna) nella propria mente, in particolare quella franchigia NBA che gioca nella capitale di questo Stato del Sud degli States.