Luke Ridnour, playmaker bianco tutto fosforo e sostanza…
Come diventare il più grande assistman e il più prolifico ladro di palloni della storia della pallacanestro professionistica americana lo sa solo lui, il ragazzo bianco venuto dalla lontana e sperduta Spokane, nello stato di Washington, nell'estremo nord ovest degli States. Sto ovviamente parlando di John Houston Stockton, leggendario playmaker degli Utah Jazz anni '90, leader ogni epoca di assistenze e palle recuperate.
Il giovanotto di cui sopra, come tanti altri campioni, tiene durante l'estate un camp in cui insegna ai giovani talenti i segreti del mestiere, insomma cerca di erudire i playmakers della nuova generazione, come Deron Williams, l'uomo visto dai Jazz come possibile erede del "loro" Strockton.
Tra i pupi, alle lezioni per due estati di fila, c'era tale Luke Ridnour, 14a scelta assoluta al Draft 2003, quello di Melo, Wade e Lebron per interderci, voluto dai Seattle Sonics per diventarne la mente che arma il braccio di Ray Allen.
Ridnour è il classico ragazzo bianco del nord-ovest, schivo, riservato, che incarna il tenore e l'atteggiamento gentile della gente del nord pacifico, con in testa solo il basket, che sviluppa fin da piccolo un feeling particolare col pallone, tanto da portarlo a lezione e persino al cinema, che va in giro palleggiando di destro e sinistro per migliorare il trattamento della spicchia di cui sopra.
Il ragazzo, nativo di Blaine, stato di Washington, ha studiato a Oregon State, la stessa università di Brent Barry, ed era compagno di squadra di Fred Jones, ora ai Pacers, e di Luke Jackson, ora ai Cavs, suo gemello cestistico, per la facilità con cui si trovavano, quasi telepaticamente.
Ridnour ha un'intelligenza cestistica fuori dalla norma, per la facilità con cui passa la palla, trova l'uomo libero e la velocità con cui esegue, sia per sé che per gli altri. Già ora è uno dei primi cinque ball-handler della lega, è totalmente ambidestro, tira benissimo dalla media e soprattutto da tre, inoltre conosce il gioco come pochi altri, sembra sapere in anticipo cosa farà la difesa e quindi agire di conseguenza.
È il vero playmaker, ne incarna l'essenza. Il grossissimo problema è che questo sarebbe stato un assoluto fenomeno negli anni '60 e '70, quelli di Pistol Pete Maravich, suo idolo dichiarato, altro che Stockton, perché fisicamente non è al livello dei supermen di oggi.
Pur essendo rapido e molto abile nel giocare, perde con chiunque sul piano fisico, contro di lui c'è sempre un missmatch. Non ha alcuna chance contro i Marbury, gli Iverson o i Bibby di questa lega; per questo motivo i Sonics passano sempre a zona con lui in campo e cercano di imitare quello che i Suns fanno per proteggere Nash, non tanto dissimile da Ridnour: alto ritmo, tiri nei primi secondi dell'azione e libertà di improvvisare al playmaker.
Molte sono le somiglianze con Steve Nash, non solo fisicamente ma anche cestisticamente per il trattamento di palla, il tiro da fuori e la visione periferica del gioco. È ovvio che il canadese ha più esperienza, più cattiveria, ha in mano una squadra di cui è il leader indiscusso mentre Ridnour è il play della squadra di Ray Allen, semplicemente.
In questa stagione, molto difficile per i Sonics, viaggia comunque a quasi sette assist e a quasi due recuperi di media, conditi ai quasi dodici punti ad allacciata di scarpe. Da notare come le sue cifre siano migliorate costantemente: rispetto alla sua annata da rookie siamo passati da 2.4 a 6.8 assists, da 5.5 a 11.7 punti e da 0.75 a 1.70 recuperi: grandioso! Tanto per gradire, tira i liberi con oltre l'80%, 88 per la precisione anche se fa più fatica col tiro dalla lunga, 27%, contro il 38% dell'anno passato.
In questa stagione ha però totalizzato i suoi record carriera: 30 punti nella vittoria al terzo OT a Phoenix col canestro alla sirena di Allen e ben 14 assistenze nella vittoria dei Sonics al Madison. Oltretutto, per non farsi mancare niente, è stato inserito nel listone di Colangelo per Team USA.
Molti hanno storto il naso ma credo che le ultime figuracce abbiano dimostrato che non bastano solo le superstar per vincere l'oro ma servono più giocatori concreti, semplici e con la testa nel gioco. Luke è uno di questi. Stockton e Nash insegnano"