Carmelo sempre più leader

Con questo tiro Carmelo Anthony ha vinto la recente gara contro i T-Wolves.

Da quando Carmelo Anthony è arrivato nella Nba ha spesso combattuto per far riconoscere il suo status di stella dal grande futuro e potenziale, finendo purtroppo per lui perennemente paragonato a quel LeBron James che lo ha preceduto di due posizioni nel draft del 2003, gli ha soffiato il titolo di rookie dell'anno nella stagione da matricole e che per primo, tra i due, ha avuto l'onore di vestire una maglia All-Star (e di diventarne l'Mvp).

Dando a Melo ciò che è di Melo si scopre che tra i due, sempre all'interno della pubblicizzata rivalità  montata con la superstar dei Cavs, è proprio Anthony ad aver giocato per primo una partita di playoffs ed è praticamente certo che l'evento si ripeterà  anche in questa stagione, che sarà  invece la prima dove il presunto rivale (i due vanno molto d'accordo) metterà  le sue statistiche a referto nella casella "postseason".

In quasi tre anni di Nba Anthony dev'essersi abituato ormai a queste sottigliezze di poco conto, di certo non aveva abituato noi ad una tale dimostrazione di sopravvenuta maturità  agonistica ed umana, producendo un campionato come quello in corso che non molti gli avevano attribuito ad inizio anno, forse memori della sua volontà  non eccelsa in fase di sacrificio o forse convinti che la sua infantilità  non gli avrebbe permesso così presto di rendersi conto che la Nba non è Syracuse e più nessuno dà  nulla per scontato, neanche se sei uno di quei giocatori che vengono al piano di sopra una volta ogni tanto ed hai immenso talento da mettere a disposizione sera dopo sera.

Se poi a questo aggiungiamo alcuni problemini di immagine ovviamente mal digeriti da Stern e soci, come i dvd girati a Baltimore, casa sua, dov'è accompagnato da "gangstas" a lui vicini, come le risse in difesa della sua fiamma, La La Vasquez, come la presenza di marijuana appartenente ad un amico nel suo zainetto all'aeroporto, come la figuraccia collezionata (insieme agli altri) alle Olimpiadi del 2004, nonché il piccolo passo indietro fatto l'anno passato rispetto alla sua stagione da rookie con il lieve peggioramento di quasi ogni componente statistica, era comprensibile che la sua reputazione nell'ambiente fosse un po' scesa, tanto da aumentargli il peso delle aspettative che addetti, fans e franchigia gli hanno messo addosso fin da subito, proclamandolo salvatore della patria in un momento storico dove i Nuggets avevano innegabilmente beneficiato de suo impatto dopo un decennio non esattamente da annali del basket.

Aggiungiamoci pure ciò che vogliamo a questo minestrone, ma la storiella sembra finire qui, perché 'Melo si è messo in testa di fare le cose per bene e quello che sta facendo quest'anno per la franchigia che gli ha consegnato le chiavi del presente e del futuro in mano non può essere considerato di secondo piano.

Dopo un'ottima stagione da rookie chiusa a 21 punti, 6 rimbalzi e 3 assist di media, l'anno passato Anthony è calato riprendendosi solamente dopo l'arrivo di George Karl, un allenatore finalmente degno di tale nome che ha ottenuto da subito il rispetto del giocatore ed a giudicare dai risultati lo ha invogliato a premere il bottone del sacrificio, aiutandolo ad apportare al suo gioco nonché al suo carattere talvolta presuntuoso dei consistenti miglioramenti.

I risultati del lavoro che 'Melo e Karl hanno svolto assieme sono lì in evidenza: i Nuggets sono attualmente primi nella Northwestern Division a 30-26 nel momento in cui scriviamo, con 3 gare e mezza di vantaggio su Utah che ha tra l'altro un record perdente, fatto che potrebbe garantire la partecipazione ai playoffs di Denver con un discreto margine di sicurezza, ed in questo contesto Anthony si presenta come il leader di squadra per medie realizzative con 26 punti a partita, ben 6 in più rispetto al 2004/2005, e con una serie di prestazioni che ne hanno consacrato le indubbie doti di risolutore di partite e di giocatore-franchigia delle quali si erano trovate abbondanti tracce nei suoi primi due anni da professionista ma che per un motivo o per l'altro erano sempre passate sotto il radar, ingiustamente nascoste da un altrettanto ingiusto paragone continuo con LeBron.

E la tendenza sembra essere confermata anche stavolta, perché neanche quello che si sta rivelando come il suo migliore anno in carriera è riuscito a fargli ottenere la prima convocazione all'All-Stars Game, dove non avrebbe certo sfigurato e per il quale ha dimostrato ampiamente di essere meritevole di considerazione.

Non ho scelta se non di prendere atto dell'esclusione e guardare avanti. Continuerò a fare ciò che sto facendo ora in campo, aiuterò la mia squadra a vincere più partite possibili. Alla fine dei conti l'All Stars Game è un grande traguardo di metà  stagione, è bellissimo poter giocare quella partita, ma far vincere i Nuggets è più importante. Andare avanti nei playoffs, ecco cos'è importante.

Ad ogni modo, dopo un mese di novembre di ottimo livello anche se un po' oscurato dall'altissimo livello di prestazioni fornite dal Marcus Camby versione pre-infortunio, Carmelo ha vissuto una crescita costante, mese dopo mese, fino ad arrivare ai giorni attuali dove sta dando il meglio di sé nell'intento di dimostrare che chi lo ha escluso dal palcoscenico più alto del panorama Nba ha sbagliato di netto.

Ed a confermare quanto appena affermato, ecco un 2006 ancor più soddisfacente della porzione di 2005 appartenente a questo campionato dove già  il 27 dicembre aveva registrato il suo career high di punti con 45, e dove aveva condotto i suoi Nuggets ad un parziale di 11-2 nei primi 25 giorni dell'anno con picchi assolutamente esaltanti rappresentati da 43 punti ed 11 rimbalzi con tanto di tiro della vittoria contro i Suns, rispettivamente 38 e 39 punti infilati a Bucks e Bulls in partite consecutive coincise con altrettante vittorie, tre partite consecutive oltre i trenta punti tra il 4 e l'8 febbraio, 24 punti e 10 assists in occasione dell'importante successo contro i Mavericks ed infine 30 punti, 8 rimbalzi ed il tiro decisivo contro i rivali divisionali di Minnesota, annichiliti lo scorso venerdì per 102-101 con una sua tripla, non certo la sua specialità .

E' stato il tiro più importante che ho segnato in carriera, non dovevo fare altro che tirare. La partita è stata molto divertente da giocare, sentivo l'adrenalina salire verso il termine.

Anthony, dopo che i Wolves avevano segnato due canestri consecutivi dopo palla rubata, è stato chiamato quale esecutore del tiro decisivo e non ha mancato l'occasione di risolvere la gara a favore dei suoi. Con un difensore del calibro di Trenton Hassell addosso, Carmelo ha fintato il tiro facendo saltare il suo diretto avversario che ha preferito non fargli fallo, e quindi ha scoccato il tiro che da oltre l'arco ha portato avanti i Nuggets di un punto con 3.4 secondi da giocare provocando l'ira di coach Casey, che si sentiva la partita quasi in pugno e che si è trovato invece a sfogare la rabbia sul tavolo del segnapunti.

I segni del miglioramento sono dimostrati anche dalle sue percentuali da due, migliorate rispetto alle due stagioni precedenti: il 46% abbondante con cui sta tirando dal campo è segno costante della capacità  di penetrazione a canestro, dove Anthony è abile a procurarsi diversi liberi (ne esegue quasi due a partita in più rispetto all'anno scorso) mettendo a segno contemporaneamente l'entrata con tiri talvolta in controtempo, caratteristica che lo pone in sesta posizione assoluta per tiri liberi tentati in stagione.

Le sue qualità  tecniche sono sempre quelle che hanno fatto di lui una star sia alla high school e sia nell'unico anno passato al college dove ha vinto tra l'altro il titolo nazionale con gli Orangemen: ottimo realizzatore, dotato di un invidiabile arsenale di movimenti offensivi, primo passo micidiale per il suo marcatore (non è velocissimo, ma non si riesce a contenerlo), potente nei movimenti in entrata dove, come analizzato poc'anzi, riesce a concludere a canestro subendo spesso il fallo con tiro libero aggiuntivo, grazie ad una struttura della parte superiore del corpo decisamente forte e migliorata sotto la cura di Steve Hess, il conditioning coach di Denver, che aveva notato qualche fianchetto di troppo addosso al giro vita del ragazzo e l'ha aiutato a ridurre la percentuale di grasso corporeo all'8% facendogli sollevare pesi, facendolo correre 5 giorni alla settimana e cambiandogli drasticamente la dieta grazie all'aggiunta di carboidrati e proteine.

George Karl gli è stato di grande aiuto nel convincerlo ad andare in penetrazione più spesso, senza accontentarsi troppo di quel jump shot in allontanamento così discontinuo e cercando di far selezionare meglio le sue conclusioni forzando meno ed usando a suo vantaggio il suo fisico potente e migliorato, come testimoniato chiaramente dalle migliori percentuali dal campo che gli hanno permesso sinora di segnare per 4 volte 40 o più punti e di superare i 30 in 15 diverse occasioni, grazie all'esecuzione di 3 tiri in più partita rispetto ad un anno fa e per di più di maggior qualità .

Ciò non toglie che ci sia ancora molto da lavorare su alcuni aspetti del suo gioco, come ad esempio il tiro da tre, che presenta delle percentuali ancora inaccettabili per il tipo di giocatore che abbiamo davanti, oppure quella difesa che spesso è stata il suo tallone d'Achille (curiosamente punto debole anche del compare LeBron). Nonostante i progressi fatti con Karl, 'Melo deve migliorare ancora la difesa sull'uomo, l'anno scorso ancor più carente, ma soprattutto deve sforzarsi di restare lucido e concentrato quando gli viene chiesto di marcare l'uomo senza palla, fatto che attualmente lo mette più in difficoltà  di tutti gli altri. A tempo debito, magari, arriverà  anche questo.

Ma se da una parte continuano ad escluderlo dalle grandi passerelle, dall'altra è arrivata la convocazione per il camp di Team Usa che si svolgerà  a luglio a Las Vegas, pur sempre una bella soddisfazione, per poter quindi partecipare ai Mondiali giapponesi di quest'anno ed alle Olimpiadi del 2008 in Cina, dove avrà  l'occasione di vendicare quell'orrida edizione vista 2 anni fa allenata da Larry Brown.

Per cominciare finalmente ad accorgersi di lui, almeno un passo è stato fatto.

La strada che lo porterà  sempre più in alto nella Nba lui l'ha già  cominciata, i segni di maturità  che ha mostrato sul campo, uniti ad una presa di coscienza del fatto che lui deve dimostrare di essere il leader di questi Nuggets ogni sera che scende in campo e non esserlo di diritto solo perché tanto pubblicizzato fuori dal campo, sono sempre più tangibili ed il suo linguaggio del corpo è stato molto positivo.

Forte come pochi, con l'arrivo della consapevolezza di sapersi prendere responsabilità  più grandi che in passato non può che diventare sempre più duro anche mentalmente ed una piccola ma non insignificante dimostrazione di ciò l'ha già  data sul parquet giocando sempre meno con il suo classico sorrisetto stampato e sempre più con uno sguardo determinato e concentrato.

Sarà  anche stato escluso dalla vetrina più grande del basket planetario, ma ciò che sta facendo quest'anno, a Denver, forse non lo hanno mai visto fare a nessuno.

Speriamo che l'anno prossimo non se lo dimentichino ancora: sarebbe davvero troppo.

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