Non più Paper Clips

L'incredible stagione di Brand l'ha condotto giustamente all' All Star Game

Dalla parte sbagliata, sempre e comunque. Se ti chiami Clippers, “velieri”, in una città  come Los Angeles, famosa per molte cose ma non certo per la sua produzione navale, forse hai sbagliato qualcosa. E non serve a nulla recriminare che quelli che c'erano già  in città  si chiamino “lacustri”.

Soprattutto se questi, a dispetto del nome poco rappresentativo della zona, sono una tra le franchigie più vincenti della storia della Lega, e possono vantare titoli, finali, hall of famers, e in generale un certo “appeal” leggermente maggiore rispetto ai cugini poveri.

Ecco, i cugini poveri. Diciamo che fin dalla loro apparizione nella California, i Los Angeles Clippers hanno sempre vissuto una sorta di complesso di inferiorità  nei confronti dei Lakers. Più seguiti, più amati, più accattivanti, più vincenti, L.A. da sempre identifica il proprio status cittadino con i colori gialloviola.

D'altronde, se da un lato il primo tifoso vip della squadra è Jack Nicholson (vincitore di Oscar, nominato più volte alla prestigiosa statuetta, protagonista di film memorabili quali Shining o Qualcuno volò sul nido del cuculo), e dall'altro Billy Crystal (famoso per lo più per essere stato… il presentatore della suddetta cerimonia degli Oscar, oltre che spettatore di una delle scene di culto del cinema anni '90, il finto orgasmo di Meg Ryan in Harry ti presento Sally), la città  dell'industria cinematografica per eccellenza, la città  di Hollywood e del Sunset Boulevard ha gioco facile a decidere da che parte stare.

Lakers dunque più telegenici, più bravi, più vincenti. Prima squadra di Los Angeles, da sempre.

Da sempre, forse, ma non per sempre. Già  un paio di volte i Clippers avevano insidiato il predominio dei lacustri nei primi anni '90, ma è dalla stagione scorsa che Los Angeles pare avere una nuova rappresentante nella elite della NBA. Se l'anno passato si è trattata di una mera corsa tra poveri (ossia una gara a chi, pur rimanendo fuori dai playoff, avrebbe avuto il miglior bilancio vittorie-sconfitte), quest'anno la competizione è ravvivata dalla compilazione di record buoni per partecipare alla post season. E nella corsa, i “cugini poveri” sono in testa, e alla grande.

Una coincidenza? Non sembra. Per una volta vorremmo sfatare il mito dei Clippers avari a cui non interessa vincere, ma solo avere il bilancio attivo a fine stagione. L'accusa storica che viene mossa al proprietario Donald Sterling è di essersi sempre lasciato sfuggire i talenti che aveva in casa per il rifiuto a proporre loro contratti adeguati.

Con una nota a margine, vorremmo ricapitolare quali sono questi campionissimi a cui il taccagno owner avrebbe negato i dollari che chiedevano: Andre Miller, Maurice Taylor, Derek Anderson, Lamar Odom, Darius Miles, Quentin Richardson, Michael Olowokandi… Diciamo che i primi 50 ogni epoca possono dormire sonni tranquilli: nessuno di questi minaccerà  il loro posto. La quasi totalità  dei personaggi sopra citati è stata in passato o è ancora oggi titolare di un contratto ritenuto dagli addetti ai lavori spropositato rispetto al valore reale del giocatore.

I cordoni della borsa sono stati invece recentemente allargati invece per due giocatori: uno è Corey Maggette, l'altro è Elton Brand.

I due ex Blue Devils di Duke hanno convinto il proprietario che finalmente era in presenza di un nucleo sul quale era giusto investire. Le altre mosse che hanno definito il roster di quest'anno sono state la scelta al Draft del 2003 di Chris Kaman, che si sta rivelando un buonissimo centro con tiro morbido dalla media, l'acquisizione di Cuttino Mobley, firmato per 5 anni a 42 milioni di dollari (coprendo il buco lasciato dalla partenza di Bobby Simmons, l'anno scorso giocatore più migliorato della Lega, che è andato a prendere più soldi – anche qui, tutti meritati? – a Milwaukee) e soprattutto lo scambio che ha mandato Marko Jaric fra i ghiacchi del Minnesota in cambio di Sam Cassell.

Mancava probabilmente questo alla squadra: un leader, un vincente, un giocatore che non avesse alcun problema a prendersi responsabilità  quando la palla scotta e bisogna essere freddi. Sam I Am non ha avuto problemi a calarsi nella parte, guidando quelli che tutti chiamano (chiamavano?) i “Paper Clips” (le “barchette di carta”, anzichè i velieri) ad un record di 30 W e 19 L, buono per il secondo posto nella Pacific alle spalle dei Suns e davanti ai cugini gialloviola, ma soprattutto buono per risultare il quarto record di tutta la Western Conference!

I motivi? Detto della presenza di Cassell, una garanzia nelle partite con finali punto a punto, non può non essere segnalata una stagione assolutamente straordinaria di quello che, se Joe Jellybean Bryant non avesse deciso di avere un erede (e allora comunque i Lakers sono sempre in mezzo, in un modo o nell'altro), a nostro avviso sarebbe l'MVP della Lega: Elton Brand. EB viaggia a oltre 25 punti, 10 rimbalzi e 2,5 stoppate a partita, con il 53% dal campo (nei primi 10 della NBA in tutte queste categorie) e una continuità  di rendimento impressionante. Ma quello che più di tutto sorprende nei Clippers di quest'anno è l'attitudine difensiva.

Se, come ci hanno insegnato a scuola, i numeri non mentono, vanno segnalate alcune statistiche: gli ex figli di un dio minore sono primi nella Lega per rimbalzi (43), rimbalzi difensivi, stoppate e percentuale di tiro concessa agli avversari. Se a questo aggiungete che quando vanno nell'altra metà  campo sono quarti nella percentuale di tiro (46,7%) e secondi nella percentuale ai liberi, capirete che capitalizzano al meglio sulle loro difese efficaci.

Certo, a ben vedere non si trovano grandissimi specialisti individuali difensivamente parlando, a parte Quinton Ross (Brand è tosto ma comunque un po' sottodimensionato, Cassell fa spesso lo sparring partner del suo diretto avversario, K-Man è anche lui molto fisico ma non un grande atleta, Mobley sa rubare palloni ma non è un grande difensore 1 contro 1), e allora bisogna riconoscere che quello che fa la differenze è la difesa di squadra, che nasce dall'applicazione di regole ben definite cui ognuno deve attenersi.

E lo conferma quello che in buona sostanza è da ritenere l'artefice di questa difesa, coach Mike Dunleavy: “E' vero, ci siamo strutturati in modo da assegnare a ciascuno compiti ben specifici. Quando è in campo, ognuno sa quello che deve fare, e se tutti fanno la loro parte riusciamo ad essere efficaci in difesa”.

Detto così sembra facile. Facile quasi come dire “Clippers ai playoff”. Solo che, nella parte biancorossoblù di Los Angeles, non ci riuscivano dal 1992.

Ora bisogna solo aspettare fino ad aprile.

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