Kobe… uguale MVP?

Kobe si merita davvero il premio di MVP in questa stagione?

Vi sembrerà  strano ma, il giorno che ho acceso il computer ed ho letto che Kobe Bryant ne aveva piazzati 81, non ero sorpreso.

Beh, ad essere sinceri mi aspettavo un settantello da un momento all'altro, ma addirittura 81 no: il mio non stupore di fronte a tale incredibile prestazione è l'emblema della grandezza sul parquet del numero 8.

A freddo, piano piano, ho realizzato compiutamente cos'era successo in quel dello Staples e, da quella partita con Toronto, ho provato almeno una decina di volte, giocando alla playstation, a piazzarne 81: in pratica, prendo e tiro, sempre, con Kobe, e possibilmente in fretta (per avere più tiri a disposizione).

Il problema è che il gioco, essendo un software, non concepisce la possibilità  di metterne così tanti: ad un certo punto, anche tirando con spazio, il Kobe virtuale non la mette praticamente mai. In pratica, il computer mi dice: più di così, non è possibile o, almeno, non è realistico.

Il fatto è che il mio omino virtuale non si stanca, al contrario di quello che avviene (o almeno dovrebbe avvenire) a quello in carne e ossa.

In verità , da quando Kobe si è "lasciato" con Shaq, ogni sera ha cercato una serata così: anzi, forse proprio il fatto che, giocando con Shaq, tale incredibile risultato gli sarebbe stato praticamente reso impossibile (no dico ve l'immaginate la faccia di Shaq al 46esimo tiro di Kobe? E gli sguardi ai compagni che quella palla continuano a darla all'8 e non a lui?) è stato la causa della separazione.

Queste però sono congetture e, soprattutto, riguardano il passato: oggi Kobe è il giocatore individualmente più dominante del pianeta, e questo è quanto. E quella partita con Toronto non è solo storia: è leggenda.

Siamo ormai a metà  stagione nella NBA e, ragionando da un punto di vista individuale, la grande domanda che ogni appassionato di basket americano si fa è: sarà  dunque MVP, l'unico essere umano ad oggi capace di cotanta onnipotenza?

E' curioso notare come la risposta NON sia affatto scontata.
Ma come, si domanda il profano che misura il mondo del basket sulla pura capacità  di spazzare via gli avversari nell'andare a canestro: questo qua fa robe così e non sarebbe il miglior giocatore?
Ne fa 34 a sera e il premio di MVP qualcuno lo vorrebbe dare ad un Duncan che ne fa più di 10 di meno, tra l'altro nemmeno particolarmente esaltanti da vedere?
Come dire che il miglior giocatore del mondo di calcio non è Ronaldinho ma, che so, Viera: ma scherziamo?

Ebbene, ammetto che in più di un'occasione ho pensato lo stesso. E anche adesso non disdegno tale ragionamento: in fondo anche Iverson, quando ha vinto l'MVP, non la dava via mai e poi mai, mi dico. Il guaio è che Iverson aveva compagni che erano assolutamente concordi con tale visione del basket, Kobe non sempre.

Non che il discorso sia nuovo, lo ammetto: quello che però mi sembra giusto sottolineare è che, lo scorso anno, il Kobe "faccio tutto io" era molto giustificabile, vista la situazione in cui si trovava. In pratica, il "Mamba" si era beccato il 99% della colpa della separazione dal compagno di dinastia: ora, mi sembra chiaro che Kobe era d'accordissimo con tale divorzio, ma se Shaq ha deciso di andarsene per non essere l'opzione 2 della squadra, ha dimostrato a sua volta un ego esageratamente rigonfio, soprattutto in considerazione del fatto che il secondo violino oggi lo fa, senza tante storie, a Dwayne Wade.

Peraltro "The Diesel" non è nuovo al cambiare aria a seconda delle sue lune: a Orlando lo sanno bene… La "colpa" della fine della gloriosa era Kobe&Shaq (o Shaq&Kobe"), se colpa si può chiamare, mi sembra quindi da distribuire in parti più proporzionate e meno faziose, non basandosi solo sulla simpatia degli attori (qui non c'è gara").

Se all'essere stato preso di mira per la rottura con O'Neal, e Phil Jackson, aggiungiamo il calo di immagine (eufemismo") a cui il ragazzo di Philadelphia (che da piccolo tirava a canestro a 2 chilomentri da casa mia, in quel di Reggio Emilia) è andato incontro dopo il fattaccio del Colorado, lo scambio poco avveduto che il suo nuovo GM gli ha combinato, portandogli in cambio Odom e spiccioli per il centro più dominante del pianeta, la sorprendente stagione degli Heat del rivale, arrivati ad un passo dalla finale, e soprattutto il deserto tecnico lasciato da un Tomjanovic versione NBA '80 (isolation per la Star e scarichi su aiuti e raddoppi, e fine dell'attacco), capite che la situazione si era fatta complicata.

Gli ingredienti per un Marburyano "All Alone" insomma c'erano tutti, viste anche le ormai stranote tendenze di Bryant all'eroismo.

Tutto queste valutazioni però, da quest'anno non valgono più.
Oddio, la squadra è ancora scarsetta (a parte Odom, che peraltro è più efficace se ha molto la palla in mano"difficile con Kobe) e quindi non si può chiedere più di tanto in termini di vittorie a Lakers d'oggidì. Però si può chiedere di più a Kobe in termini di maturità .
E qui casca l'asino.

Mettiamo subito in chiaro che Bryant sta facendo una stagione INCREDIBILE: davvero Jordanesca.
Quello che stupisce è come, mentre continua a migliorare in tutti gli aspetti tecnici del gioco (una vera bestia famelica del gioco), non riesca ad eliminare atteggiamenti del tutto controproducenti dal punto di vista caratteriale.

Per avere un riscontro, basta tornare alla sconfitta in overtime contro Sacramento leggermente antecedente all'ottantunello. Per chi non l'avesse vista, possiamo così riassumerla: i Lakers avevano praticamente vinto (grazie a Bryant"), che ne aveva messi circa 45 nei soli regolamentari, poi una palla persa di Odom ed una tripla di Brad Miller avevano rimesso tutto in parità  a pochi secondi dalla fine. Quindi, tutto era apparecchiato per il big shot finale di Kobe.

Lamarvelous però, forse per rimediare all'errore precedente, tirava l'ultimo pallone invece di passarlo a chi di dovere, sbagliando. Il numero 8, che già  durante la partita aveva dato in semi escandescenza almeno altre 5 volte per non aver ricevuto palla in post (il problema era che volevano tirarne una anche i compagni"), decideva allora di voler punire il ribelle compagno tirando SOLO lui nell'overtime.

In pratica Bryant tirava da 3 da otto metri, marcato e a volte anche raddoppiato, ogni pallone, comportandosi da bambino capriccioso. I Lakers perdevano e fine della storia.

Quello che più impressionava era il timore dei compagni che nel supplementare, appena toccata la palla (da rimessa, rimbalzo etc), subito la passavano al proprio capitano, ben prima del centrocampo. Nessuna si azzardava a prendere un'iniziativa offensiva, aiutando così una difesa, quella dei Kings, che notoriamente non è eccezionale (ma uno contro cinque se la cavano anche loro").

Ora, se c'è una partita manifesto per il partito No-Kobe-for MVP, è quella.
Questo soprattutto perché le altre star candidate (Lebron, Tim e Kevin in prima battuta, direi), hanno, dal punto di vista dell'atteggiamento verso i compagni, un'altra marcia rispetto al leader gialloviola, visto l'altruismo che nessuno può ad oggi contestare alle star di Cleveland, San Antonio e Minnesota.

Però" però Kobe oggi è il più forte, non ha mai vinto un titolo di MVP (che merita almeno una volta in carriera, visto il suo incredibile valore) ed è nel pieno dei suoi anni, mentre Tim ha già  vinto due volte, Garnett una (e fatica con i suoi Timberwolves) e Lebron è il futuro.
Quindi?

La sensazione è che possa essere il suo anno, ma la strada è ancora lunga. Certo che quegli 81 punti hanno dato una bella spinta alla sua candidatura.

Forse però la vera marcia in più di Bryant al riconoscimento come miglior giocatore, oltre alla sua inarrivabilità  tecnica, è la sua "fame" in campo. Come già  per i vari Jordan e Malone qualche anno fa, Bryant merita il titolo di miglior giocatore anche per la sua incredibile passione per il gioco. I suoi continui miglioramenti, frutto di un lavoro serio svolto in allenamento e anche d'estate (non come molti suoi colleghi che si presentano con la pancetta ala training camp") e la sua voglia di lottare ogni sera, sono uno dei motivi principali della sua grandezza.

L'NBA ha bisogno, visto l'andazzo da "volemose bene" che spesso caratterizza la stagione regolare, di grandi stelle che giochino col cuore ogni sera, come sono lui, Wade, Garnett, Duncan, Iverson e pochi altri, perché la regular season non sia solo un lungo preambolo al vero show, i play-off.

Per questo mi sembrerebbe tutto sommato giusto dire grazie, magari con un bel premio di MVP, ad uno di quei giocatori che, nel bene e nel male, ma soprattutto nel bene, rendono interessante l'NBA anche sul piano della competizione e non solo dello spettacolo puro (dove pure eccelle): questo per sette-otto mesi l'anno, non solo per gli ultimi due.

P.S.: opinione personale, glielo danno, ma se non migliorerà  certi atteggiamenti, difficilmente potrà  mai fare un bis, vista la concorrenza"

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