Warriors belli, ma vincenti?

Jason Richardson porterà  finalmente i Playoff nella Baia?

Golden State, lo Stato Dorato, forse perché il clima della Bay Area è quanto di più godibile in tutte le stagioni, così come il panorama, che pur in un contesto completamente diverso, richiama paesaggi mediterranei ; o forse perché nel secolo scorso fu teatro di una corsa all'oro, di minore entità  rispetto a quella di poco precedente svoltasi nel Klondyke (alla quale si riferisce sempre il disneyano "zio Paperone"), ma che richiamò comunque orde di avventurieri che, a seconda delle alterne fortune, si stabilirono in queste regioni da ricchi possidenti o da poveri lavoranti.

La Bay Area è proprio lì, aperta al mare dalla Golden Gate, in cui lembi di terra tra lagune interne, a nord della faglia di Sant'Andrea, sono uniti da imponenti ponti sospesi nel cielo.

Due sono i centri urbani più importanti della California del Nord, San Francisco e Oakland, praticamente una sola città , a sud di Sacramento e a nord di Los Angeles, separate dal Bay Bridge, che divide la vera e propria baia di San Francisco dalla San Pablo Bay, a nord del ponte, famosa per un'isoletta ormai divenuta museo, a lungo prigione inespugnabile e sinonimo di luogo da cui non è possibile evadere : Alcatraz.

Una costa caratterizzata da spiagge bellissime, playground all'aperto, vita notturna e un entroterra che, se pensate al fatto che il posto più rinomato è la Death Valley, la Valle della Morte, capite al volo perché tutta la vita in questa regione si svolga sulla costa" . anche se i panorami mozzafiato per coloro che non soffrono di vertigini abbondano più degli spettatori nello stadio dove si svolge il Super Bowl (quest'anno hanno vinto gli Steelers, a proposito, interrompendo il regno dei Patriots… ma ci rifaremo presto).

San Francisco, famosa, anzi famosissima nel mondo per quel suo pittoresco alternarsi di salite e discese, con i tram stile anni venti che percorrono pigri e maestosi il centro della carreggiata, scorrendo sui loro binari a livello stradale e coi suoi quartieri, ispanico, italiano, cinese, immortalata in tantissime pellicole d'oltreoceano.

San Francisco, mondana, caratterizzata da una vita notturna di livello extralusso, dove non si bada tanto all'orientamento sessuale del partner, basta che ci si diverta, al contrario di altre regioni degli USA, e del mondo, dove a particolari come questo fanno un tantino più caso.

Oakland, al di là  del Bay Bridge, come detto, assai meno famosa, assai meno pittoresca ma non meno grande di San Francisco.

E se siete cittadini di Frisco, amate il basket e desiderate gustarne di sopraffino, diciamo NBA, non potete far altro che attraversare il ponte e recarvi proprio a Oakland, precisamente a "The Arena", dove le bellissime e simpaticissime hostess degli Warriors vi faranno accomodare al posto che avrete acquistato preventivamente, lasciandoci parecchi bigliettoni nella transazione.

Storicamente il basket professionistico è giunto nella California settentrionale nel 1962, direttamente da Philadelphia, la città  dell'amore fraterno, dove la franchigia era stata fondata appena dopo la guerra e portava lo stesso nome di adesso, Warriors.

Però, dopo la trasmigrazione ad ovest, disputava le gare a Frisco, dove è rimasta fino al 1970.
Poi il definitivo trasferimento al di là  del solito ponte in quel di Oakland, e l'assunzione della denominazione attuale di Golden State Warriors, per significare appartenenza a tutto lo stato della California e raccogliere così più fans.

Record vincenti fino al 1978. Era la squadra di Jamaal Wilkes, Rick Barry, Phil Smith e del primo Robert Parish ; poi un lungo periodo senza grandissimi campioni, senza strategie senza gloria e con tante sconfitte, così tante da assicurare agli Warriors record perdenti come se piovesse, con rare eccezioni di stagioni concluse intorno al 50% di vittorie.

Un declino interrotto solo dal periodo aureo, nella prima metà  degli anni 90, quello del "Run TMC" ; che grandi giocatori quei tre, Mullin, Hardaway e Mitch Ritchmond"e poi c'era anche Sarunas Marciulionis, il tiratore lituano, e Mario Elie, reso famoso dai due anelli vinti a Houston. A supervisionare tutto questo ben di Dio era stato chiamato Don Nelson, ottimo coach e superbo sviluppatore di talenti.

Peccato non ci fosse anche una presenza in vernice degna di nota, visto che Alton Lister non era esattamente un fattore, se no si sarebbe potuto parlare senza esagerare di anello, visto il talento accumulato nelle posizioni esterne, tenendo anche conto dell'arrivo di Latrell Sprewell, draftato nel 1992 e Chris Webber.

Da segnalare anche che in quei primi anni 90 i Warriors avevano draftato e poi scambiato giocatori del calibro di Penny Hardaway…non so se mi spiego…

Poi un nuovo declino, a partire dalla seconda metà  degli anni 90, che non si è più esaurito.
Hanno vestito la casacca dei Warriors giocatori come Tom Gugliotta, il libanese Rony Seikaly, poi famoso a Miami, Manute Bol, colui che aveva preso moglie in cambio di due leoni e una volta conosciuto il tiro da tre punti, non c'è stato più verso di avvicinare i suoi 230 cm a canestro.

Poi Donyell Marshall, Jon Barry, Mark Price, Bimbo Coles, Clarence Weatherspoon e tanti altri, più o meno famosi, mentre i records precipitavano anno dopo anno, nonostante sedessero sul pino buoni allenatori come Rick Adelman e PJ Carlesimo.

Proprio sotto di lui nel 1998 la peggior squadra che gli Warriors abbiano avuto, con il peggior record, l9-63, in cui l'unico guizzo fu quando in allenamento, al culmine di un alterco, Sprewell, completamente fuori di sé, mise le mani al collo del barbuto coach, scherzetto che gli costò un anno di squalifica e l'ignominia dell'intera nazione.

L'anno successivo John Starks non riuscì a portare in alto Golden State e fu lasciato andare ; curiosa la storia di questo campione che, vedendosi sbattere la porta dalla NBA, passò un periodo oscuro prima di stupire tutti al training camp dei Knicks e guadagnarsi il contratto con la squadra a cui, specie nelle finali di conference contro i Bulls di Jordan, avrebbe dato tutto sé stesso, pur senza riuscire a sbarrare la strada al secondo threepeat di Chicago.

Molti giocatori e molti allenatori si sono alternati nella conduzione dei Warriors fino ad oggi, ma è solo con Chris Mullin nella veste di GM che si è tentato di davvero di creare un gruppo in grado di far bene, accumulando sufficiente talento, bilanciando la squadra, garantendole ricambio con buoni giovani e scegliendo per guidarla una vera e propria superstar, Baron Davis, forse uno dei più inarrestabili giocatori del globo, quando sta bene".

Inutile dire che proprio le condizioni fisiche di Davis sono alla base del record di 23 vinte e 28 perse, che è alquanto inatteso visto il gioco che la squadra di coach Mike Montgomery produce e le sue potenzialità .

Le ultime partite lo hanno visto in panchina, con la caviglia distorta fasciata a cercare di sostenere lo sforzo dei suoi compagni, assieme a Troy Murphy, anch'egli infortunato alla caviglia.

Purtroppo il gioco risente troppo dei 18 punti e mezzo con 9 assist di media che il Barone assicura e se a questa mancanza si aggiunge anche quella del solido contributo assicurato da Murphy (quasi 16 punti e 10 rimbalzi a partita) e la momentanea defaillance del giovane Andris Biedrins, si capisce che gli Warriors facciano fatica a far quadrare i conti, tanto più che nessuno dei centri è in grado di assicurare quella presenza in area fatta di punti, rimbalzi e intimidazione di cui la squadra avrebbe tanto bisogno.

Fermo restando che ci troviamo sulla costa ovest e la cultura della difesa asfissiante qui non ha mai trovato tanti adepti.

Fatte queste doverose considerazioni e considerando anche che lo staff di coach Montgomery (che comprende Mario Elie e Keith Smart, autore nel 1987 del tiro 'at the buzzer' che regalo a coach Knight il suo terzo e ultimo titolo NCAA sulla panchina degli Hoosiers di IU) deve fare i conti con l'involuzione di Mike Dunleavy jr., incapace di produrre più di 10,8 punti 3 assist e quasi 5 rimbalzi a partita, cifre che, viste le sue potenzialità  di point forward, lasciano alquanto a desiderare, pone un interrogativo di fondo molto importante :

Possono gli Warriors compattare le fila e riprendere la marcia come riuscì loro lo scorso anno dopo l'arrivo del Barone, concludendo con un record vincente ed il raggiungimento dei playoffs?

Probabilmente si; il ritardo dalle squadre che li precedono non è gravissimo : solo tre vittorie li separano dall'ottavo posto utile, occupato al momento dai Lakers, sui quali però non è opportuno far la corsa, quanto invece su franchigie come Oklahoma City e Memphis attualmente a 28 vittorie.

Il punto resta comunque la capacità  dei Warriors di recuperare gli infortunati, riprendere la marcia e ricominciare a produrre vittorie, visto che un gioco frizzante e redditizio lo producono già  ; certo che se poi gli infortuni di Baron Davis dovessero cronicizzarsi è probabile che la tredicesima stagione consecutiva in negativo e senza playoffs potrebbe purtroppo concretizzarsi e per la rinascita occorrerebbe dare appuntamento al 2007 se va bene o ad un futuro più remoto se si decide di rifondare la squadra.

Non è difficile intuire che questo è forse il momento più delicato della stagione, forse delle ultime stagioni, perché mai come adesso Golden State è incerta se rimanere un adolescente, a volte esuberante, a volte timido e insicuro oppure divenire uomo ; se restare un brutto anatroccolo o divenire un bel cigno, capace di librarsi elegantemente al di sopra dei limiti che hanno imprigionato questa simpatica realtà  californiana per troppo, troppo tempo ormai.

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