Il ritorno dei campioni

Stagione da incorniciare per Tony Parker…

Una reazione da campioni del mondo. Solo così si può tentare di definire questa seconda metà  di gennaio per i San Antonio Spurs. Solo 15 giorni fa, dopo la seconda sfida dell'anno contro i Detroit Pistons e la conseguente seconda asfaltata subita da Wallace & co., molti avevano previsto un futuro nero per gli speroni argentati.

Da una parte i Pistons viaggiavano a ritmi forsennati e puntavano direttamente alle 70 vittorie stagionali (accogliendo giustamente gli onori e le glorie di critici ed opinionisti), dall'altra gli Spurs avevano messo in mostra tutti i loro reali difetti e di certo gli infortuni di Duncan (la maledetta fascite plantare) e Ginobili (quelle caviglie che troppo spesso si girano) non avevano aiutato la truppa di Gregg Popovich. Eppure, dopo quel 12 gennaio, qualcosa deve essere cambiato a San Antonio.

Gli Spurs, infatti, si sono trasformati in una corazzata quasi invincibile, quella che ad inizio stagione tutti avevano pronosticato: dieci partite disputate e nove vittorie ottenute, mentre l'unica sconfitta è arrivata in casa contro i Denver Nuggets di Carmelo Anthony.

Record al 2 febbraio 2006: 36W-10L
Record di gennaio: 13W-3L
Risultati:
14 gennaio: San Antonio Spurs - Memphis Grizzlies = 80-79
16 gennaio: Memphis Grizzlies - San Antonio Spurs = 83-93
18 gennaio: San Antonio Spurs - Milwaukee Bucks = 95-92
20 gennaio: Miami Heat - San Antonio Spurs = 94-101
22 gennaio: San Antonio Spurs - Denver Nuggets = 85-89
24 gennaio: San Antonio Spurs - Charlotte Bobcats = 104-76
25 gennaio: New Orleans Hornets - San Antonio Spurs = 68-84
28 gennaio: San Antonio Spurs - Minnesto Timberwolves = 102-88
30 gennaio: Utah Jazz - San Antonio Spurs = 70-79
1 febbraio: Portland Trail Blazers - San Antonio Spurs = 82-86

Ma cosa è cambiato realmente in questi ultimi quindici giorni? Di certo non gli infortuni che, neanche in questo periodo d'oro hanno lasciato in pace gli uomini in nero argento. La fascite di Duncan ad esempio non sembra essere passata definitivamente, ma la qualità  e la forza del caraibico sono comunque più forti di un seppur fastidioso dolore al piede.

D'altra parte il resto della squadra, grazie ad una rinnovata coesione difensiva (nessuno è riuscito a segnare più di 95 punti agli Spurs e anzi solo Bucks e Heat hanno superato gli 89 punti), ha ritrovato affiatamento e convinzione (anche in attacco) che, soprattutto nelle sfide con Detroit, avevano decisamente latitato.

Importante è stato anche il doppio rientro di Ginobili. Un rientro però con caratteristiche differenti. Nella prima occasione, il 14 gennaio, giorno della prima sfida contro i Memhpis Grizzlies, Ginobili tornava nel quintetto titolare dopo che, per qualche partita, era sempre partito dal pino. Galvanizzato dalla rinnovata fiducia concessagli, l'argentino non perdeva tempo e metteva a referto 20 punti (7/14 da campo e 3/3 ai liberi) e il passaggio decisivo per Duncan a 7''2 dalla sirena (un alley-oop fantastico che scavalcava Gasol e che Duncan appoggiava nel cesto) che sanciva la vittoria nero-argentata. Ovviamente Ginobili MVP della partita.

Il secondo rientro avveniva invece il 28 gennaio. La medaglia d'oro delle ultime Olimpiadi tornava in campo dopo il brutto infortunio rimediato 8 giorni prima sul campo dei Miami Heat, quando una sua classica penetrazione aveva provocato l'ennesima distorsione alla caviglia. Il ritorno dell'argentino è stato ancora una volta provvidenziale in quanto ha concesso una rotazione più ampia nel back-court e ha garantito a Nick Van Exel, Michael Finley e Brent Barry di recuperare le molte energie spese nel periodo in cui il Gino era ai box.

Ma forse, l'aspetto che più di ogni altro ha cambiato le carte in tavola, è l'ulteriore progresso compiuto da Tony Parker. Al momento il francesino merita di essere definito una "All-Star". Non lo dicono solo i numeri (già  da soli basterebbero per qualificare la nuova investitura di TP) ma due prestazione che più di altre, rimarranno impresse nella mente: quella in trasferta a Memphis contro i Grizzlies di Pau Gasol e quella a Miami, sul campo di Shaq e Wade (andata in onda su Sky).

In queste due gare Parker è stato mostruoso. Nella prima ha messo a referto 28 punti (12/13 dal campo e 4/4 ai liberi), 4 rimbalzi e 4 assist, nella seconda ha realizzato 38 punti (13/18 dal campo e 10/13 ai liberi) condendo il tutto con 4 rimbalzi e 5 assist. Ma al di là  delle statistiche è la sensazione che dà  in campo che sorprende. TP è ormai diventato a tutti gli effetti un leader, un trascinatore che non rifiuta il tiro importante nei momenti caldi. Quando gli avversari tornano sotto è lui (molto spesso insieme a Duncan) a prendere per mano gli Spurs e a condurli alla vittoria.

Quando sono in pochi a segnare e la palla si fa più pesante Popovich gli dà  la sfera in mano, disegnandogli giochi decisivi. E Parker risponde a dovere. La maggior parte delle volte TP penetra, andando di lay-up; in altre occasioni opta per il più classico tear-drop, vero marchio di fabbrica: una sorta di lay-up a palombella che neanche con una scala riusciresti a stoppare; altre volte ancora sceglie il tiro in sospensione, ma questa è l'ultima scelta per Parker che tende ad usarla soprattutto dopo due pick'n'roll centrali e quando la marcatura non è troppo asfissiante.

Ma la caratteristica che Tony Parker ha forse migliorato di più è la continuità . Il franco-belga, infatti, è diventato costante nelle sue prestazioni, sia a livello statistico che d'intensità . Non si nasconde più dietro la partita, lasciando ad altri le responsabilità  più pressanti (come accadeva tante volte due anni fa), ma si mette personalmente in gioco: tira tanto e bene, senza mai forzare, mettendosi continuamente al servizio dei compagni sia in fase offensiva che difensiva. Oggi, chi dice che Tony Parker non è una All-Star NBA mente spudoratamente e i numeri, se ce ne fosse ulteriore bisogno, sono lì a testimoniarlo: 46 partite giocate, 19.3 punti, 3.8 rimbalzi e 5.7 assist di media.

Dunque il trio ancora una volta protagonista. E gli altri? Ovviamente ognuno ha avuto la propria serata di gloria. Basti pensare a Beno Udrih. Lo sloveno, la notte del 24 gennaio, riusciva a raggiungere il massimo in stagione: 17 punti (7/11 dal campo), 8 assist e 3 rimbalzi in 24 minuti di gioco contro i "poveri" e ormai quasi alla deriva Charlotte Bobcats. Altra serata "insolita" l'ha vissuta Nick Van Exel che contro i New Orleans Hornets (tenuti peraltro sotto quota 70 in una di quelle notti in cui capisci cosa significa difesa), uscendo dal pino, metteva a referto 13 punti (4/10 dal campo) e 4 rimbalzi in 19 minuti.

O perché non citare Michael Finley che contro i Milwaukee Bucks, in una gara punto a punto emozionante, uscendo dalla panchina metteva a referto 21 punti (6/12 dal campo e 5/5 ai liberi) in 27 minuti. Tutti piccoli esempi questi di come il collettivo sia stata un'altra delle armi vincenti nero-argento.

IL FUTURO
Sei partite dividono gli Spurs dall'All-Star Game. La prima è quella di questa notte (diretta SkySport 3 alle 4:30 del mattino) a Golden State. Poi si attraversano gli Stati Uniti per arrivare a Toronto e dunque si ritorna in America per affrontare i Nets del Giasone e Vincredible. Poi ci sarà  la sfida contro i nuovi Pacers di Peja Stojakovic e per chiudere in bellezza le due sfide contro Lebron James e Allen Iverson.

Un tour de force niente male per chi vuole arrivare alle 70 vittorie e avere dunque il fattore casalingo in un eventuale finale contro Detroit.

Stay tuned

2 febbraio: Golden State Warriors - San Antonio Spurs
8 febbraio: Toronto Raptors - San Antonio Spurs
10 febbraio: New Jersey Nets - San Antonio Spurs
12 febbraio: Indiana Pacers - San Antonio Spurs
13 febbraio: Cleveland Cavaliers - San Antonio Spurs
15 febbraio: Philadelphia 76ers - San Antonio Spurs

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