Foto di luna di miele fra Gavin Maloof e il suo nuovo giocatore nel giorno della prima in casa
Sono fiorite le storie più straordinarie attorno allo scambio che ha portato Ron Artest ai Sacramento Kings; non tutto il male viene per nuocere ed in questo caso i discorsi hanno distolto l'attenzione dal più tragico viaggio ad est degli ultimi anni con una sola vittoria e 5 confitte. L'attenzione della stampa per l'ex St John's è andata ben oltre il limite del morboso. Per riassumere: è vero che il giocatore s'è pitturato le scarpe di nero a pennarello prima della gara di Boston.
E' difficile che, arrivato a Sacramento da Toronto, ben più tardi della mezzanotte, abbia chiesto di andare in palestra ad allenarsi. Quasi per certo ad inizio dicembre non si presentò alla Conseco Field House vestito di viola solo per far capire alla dirigenza che avrebbe gradito un trasferimento nel North California.
Che il ragazzo sia controverso lo sapevamo già : "Ebbi modo di conoscerlo meglio - ha spiegato Brad Miller il cui destino sembra avere uno strano legame con quello di Artest, fra Chicago, Indianapolis e Sacramento - ai tempi dei Pacers, nel corso d'una serie contro New Jersey: passeggiando notai quanto Artest fosse disponibile e gentile con i tifosi che ci fermavano per un autografo, una parola. In quel momento mi convinsi che Artest è una buona persona." I problemi con questo giocatore vengono, però, un attimo prima e un attimo dopo il momento in cui si dimostra una buona persona.
"Come ho detto a Petrie al telefono - ha spiegato Donnie Walsh - i probelmi di Artest nascono dalla sfera emotiva che spesso porta Ron a cambiare idea in maniera repentina. Noi, ad un certo punto non ce l'abbiamo più fatta." Per questo i Pacers avevano affidato il giocatore ad un team di esperti e psicologi ben prima della rissa di Auburn Hills. "Quando - ha ribadito Larry Bird - dopo tutto quel che avevamo fatto, Ron ha chiesto di esser ceduto m'ha lasciato senza parole."
Il giocatore, nel corso della conferenza stampa di presentazione a Sacramento, ha ribadito l'ovvio: "Sono pronto a cambiare - ha spiegato l'ex Bulls - anche perché ho giocato 16 partite in un anno e mezzo. Voglio diventare importate per questa squadra e trascinarla ai playoffs."
Per andare ai playoffs la situazione deve cambiare radicalmente: un record di 24-14 d'ora in poi significherebbe finire con un 42-40 che non assicura nulla. Ed il calendario visto così non assicura nulla di buono.
La prima vittoria è arrivata, 98-91 contro Denver nell'esordio casalingo; il pubblico ha accolto il giocatore al meglio, riservando qualche cartello, comunque ingeneroso, a Peja Stojakovic. "Nel finale - ha spiegato Adelman - ci ha preso per mano creando per sé e i compagni." Artest, 19 punti per lui alla fine, ha anche rimproverato Bibby, colpevole di un tecnico nel quarto periodo con i Kings sopra di 5 punti. "Non capisco perché - ha spiegato un raggiante Gavin Maloof - le altre squadre abbiano avuto tutti questi dubbi: abbiamo fatto la cosa giusta prendendolo."
"La nuova aggressività dei Maloof Era il 10 gennaio quando, dopo la batosta casalinga subita proprio dagli Indiana Pacers, Geoff Petrie parlava della necessità di "valutare bene la situazione prima di qualsiasi mossa." In quei giorni però la squadra sembrava affondare. Su pressione dei proprietari, lo stesso Petrie delegò a Jerry Reynolds una chiamata a Larry Byrd per sapere di Ron Artest.
Non è il modo abituale di fare le cose ai Kings, dove i fratelli Maloof sono sempre stati tenuti sufficientemente lontani dalle decisioni prettamente cestistiche. I Maloof avevano sempre contribuito con le loro nozioni di marketing e business ma senza determinare direttamente le scelte tecniche.
La prove per chi sostiene la tesi del coinvolgimento del duo di Las Vegas non mancano in questa vicenda: "Joe e Gavin - ha spiegato Artest - sono giocatori d'azzardo (gamblers, stessa espressione usata dai proprietari ndr) e sono stati i più decisi nel cercarmi. Con le altre franchigie ci sono sempre stati troppi se."
Proprio l'incertezza delle ore in cui sembrava che Artest non ne volesse sapere, costellata di telefonate fra giocatore e proprietari è il fatto più interessante. Con Petrie a Sacramento e i fratelli Maloof che, a giochi fatti, si fanno intervistare "urbi et orbi" dal Madison Square Garden. Proprio in quelle ore Stojakovic aveva dichiarato a tutti il suo malcontento per il modo in cui la società aveva gestito la situazione. Per essere stato trattato come un pacco postale. Ben difficilmente sarebbe successo con Petrie, sempre attento alle relazioni, direttamente coinvolto.
Il tutto è rafforzato dalla considerazione che Ron Artest non è il tipo di giocatore che il general manager e Rich Adelman hanno voluto per sviluppare la loro visione del basket. E' evidente che l'arrivo dell'ala segna una rottura col recente passato e con la mentalità prettamente offensiva che ha creato anche quest'ultimo gruppo.
Non sappiamo quale sia la ragione che ha spinto i proprietari a mettere Petrie in una posizione scomoda. Né d'altronde li si può rimproverare per questo nuovo comportamento, come qualcuno ha fatto notate, alla Mark Cuban.
Un precedente c'è; si verifico quest'estate quando lo stesso Reynolds incontrò l'agente di Phil Jackson che non aveva ancora deciso per i Lakers. In quell'occasione Sacramento si ritirò con perdite e un po' sbertucciata. La stessa mancanza di diplomazia riservata a Stojakovic coinvolse Adelman, nemmeno avvertito da una telefonata. Petrie in quei giorni era in ospedale, per sottoporsi a una delicata operazione di angioplastica.
I fratelli Maloof potrebbero essersi fatti guidare da crescente sfiducia in una connection, dirigente e allenatore, che ha fatto grandi cose ma anche il suo tempo, semplice necessità d'esser maggiormente presenti per tacitare le voci sorte in città oppure dalla volontà di fare un'eccezione per arrivare ad un giocatore in grado di cambiare la franchigia.
Nel breve periodo non è così importante ma la questione potrebbe tornare di attualità fra qualche mese, specie se i Kings dovessero rimanere fuori dalla post season. C'è un allenatore con contratto in scadenza ed un dirigente che deve assumersi la responsabilità della scelta tecnica. Nessun dubbio sul fatto che Petrie e Adelman siano ancora legati a doppio filo. Per gli americano due più due fa sempre quattro.