E' arduo pensare di costruire un team basandosi su un giocatore come Zach Randolph…
Un "libellus" non è altro che una raccolta, in prosa o in versi, spesso in chiave ironica e più sovente forzosamente clandestina, delle nefandezze, dei pettegolezzi e le amenità che riguardano una persona o un gruppo di persone, spesso potenti e famose, delle quali si vuol rendere edotto il popolino a scopo di smitizzarne la figura, intaccarne il prestigio e financo provocarne la caduta.
L'origine di questa usanza si perde nella notte dei tempi, ma quel che è certo che già nella democratica Atene, spesso anche sotto forma di opera teatrale buffa, se ne dicevano di belle contro il potente di turno e siccome si trattava di persone civilissime, avevano creato un sistema per cui quando ne avevano avuto abbastanza di qualcuno, mettevano una piccola pietra in un vaso detto ostrakon e se le pietre erano tante la persona in questione veniva invitata a lasciare la città stato.
I romani, impegnati come erano tra una guerra e l'altra, in fatto di cultura e usanze si assorbivano comodamente la cultura greca, così come oggi le nostre abitudini e il nostro linguaggio sono impregnate da americanità di ogni genere ; così comparvero i veri e propri libelli, soprattutto in epoca imperiale, creando gustosi ed imperdibili gossip riguardo bizzarrie ed amorini di gladiatori, corridori di bighe, attori e celebrità dell'epoca, il tutto in chiave fortemente ironica.
Questa usanza si è conservata attraverso le epoche storiche, così se nel medioevo si era troppo impegnati a sopravvivere e durante il rinascimento a rinascere, con l'avvento dell'evo moderno e delle lotte per l'indipendenza dei vari popoli, non ultimo quello italiano, sono comparsi libelli che criticavano apertamente, pur se nella clandestinità i potenti e i loro sicofanti, spesso intingendo la penna nel veleno, sarcastici e ironici ; ne abbiamo esempio nel Lombardo Veneto in mano agli austriaci e soprattutto a Roma, con Pasquino, epigrammatico misterioso ed eroe dell'irredentismo romano contro il papato.
Al giorno d'oggi il libello ha perso quella funzione patriottica e rivoluzionaria e si è adattato a colpire mode e stranezze nei vari campi di cimento dell'umanità , sport e spettacolo su tutti.
E così anche il mondo dorato del basket NBA, più precisamente il suo backstage, assurto in forte ritardo alle cronache rosa-gialle-nere-purchè-se-ne-parli, non si fa certo mancare la propria aliquota di storielle e luoghi comuni, concernenti razza, status sociale, usi e costumi e per finire le diverse capacità nel gioco stesso di tutti i protagonisti.
Caliamoci dunque nei meandri del pettegolezzo, roccaforte del gossip allo stato puro, dove il sussurro e il cicaleccio la fanno da padroni e la scena è dominata dai Portland "Jail" Blazers.
Le vicende di cotanti gentiluomini, giunte al disonore delle cronache a causa di una pioggia di denunce per eventi che con il gioco hanno poco o nulla a che spartire, hanno già fatto irrimediabilmente imbiancare lo scalpo di coloro che erano abituati ad associare i Trail Blazers, vero nome della franchigia dell'Oregon, alla squadra finalista nel 1991-92, quando Drexler e soci avevano dato del filo da torcere ai Bulls di Jordan.
Storie vere, storie di uno spogliatoio spaccato, anzi frammentato da interessi individuali o forse più giustamente dal disinteresse generale dei giocatori per le sorti della squadra.
Pochi quelli che pensano solo a giocare, tra i quali di certo l'ultimo Scottie Pippen, più anziano ma non meno grande di sempre, il principe del Baltico, al secolo Arvidas Sabonis, ormai sul viale del declino dopo aver conosciuto stagioni memorabili e il giovane centro Joel Pryzbilla, bianco dalla faccia pulita che deve trovarsi in quello spogliatoio come un naufrago ferito in un tratto di mare popolato di squali affamati.
Damon Stoudamire colleziona denunce per assunzione di stupefacenti e viene pizzicato con Rasheed Wallace su una macchina rubata (e come ti sbagli") che nel portabagagli contiene una scatola con diversi panetti di marijuana. Ammette candidamente di aver fumato poco prima quanto mancava (la metà giusta…) assieme all'amico Rasheed Wallace, nel periodo forse peggiore della sua carriera, da lui forse ritenuta compromessa visto che in campo si presenta spesso nervoso (più di un fallo tecnico comminatogli a gara"di media) e fuori sempre "fatto".
Bonzi Wells e Zach Randolph, sicuramente buoni giocatori, non sembrano riuscire a essere persone degne dentro e ai bordi del campo, convinte di poter dire e fare quel che passa loro per la testa, molto peggio di loro però si atteggiano Isiah Rider e Ruben Patterson i due "most wanted" da tutti i giornalisti del Oregon che, grazie a loro, scrivono pagine memorabili a fanno vendere i loro giornali raccontando le loro malefatte ; guardate che non stiamo parlando di pizza e fichi, ma di reati veri !
Rider, di cui si ricorda sul campo una stoppata ad altezze siderali contro (indovinate?) Pat Ewing lanciato a canestro, colleziona una serie impressionante di denunce per reati contro il patrimonio e la persona, in cui lo sputare ai giornalisti è lo zenit, il cloning di telefonini cellulari il nadir, passando per l'inseguimento ed il pestaggio selvaggio di una malcapitata fan, colpevole di avergli domandato" un autografo.
Patterson invece, noto ai più per il suo ammirevole, ma patetico quanto vano tentativo di trasformarsi nel Kobe-stopper (conclusosi con l'inevitabile cinquantello quale risposta del ragazzo di Philadelphia), oltre ad una serie interminabili di multe per varie intemperanze relative al basket, ha ricevuto un'accusa di stupro della bambinaia dei propri figli, per tacere dei maltrattamenti inferti alla propria coniuge, nella "migliore" tradizione NBA (Parish, Kidd")
Qintel Woods, giocatore nelle cui vene non scorre certo il sangue blu dei veri aristocratici del parquet, oltre alla normale amministrazione di cui si è detto a proposito dei compagni di squadra (risse, stupefacenti, alcool, etc), è stato anche accusato di possedere un'attività di lotte clandestine di cani ; accusa dalla quale lui si è difeso sostenendo che si tratta di un nobile sport, che lo eccita ben più delle partite di basket, nell'ambito delle quali vorrebbe potersi esprimere, per sentirsi davvero appagato, come le “fortunate” bestie (se lo dice lui, però non ci sentiamo di condividere) possono fare nei combattimenti che lui, da vero mecenate del settore, organizza ; roba da dar lavoro a un esercito di psichiatri, avvocati etc.
Adesso provate a immaginare cosa volesse dire essere un giornalista sportivo di Portland ed entrare in uno spogliatoio popolato da ceffi del genere, un vero antro infernale, per intervistare uno di questi elementi ; se vi presentaste accompagnati da scorta armata per espletare il vostro lavoro, nessuno potrebbe tacciarvi di esagerare i termini della situazione.
Non parliamo poi di allenare un siffatto"gruppo (si fa per dire eh…) ; nessuna meraviglia quindi che tra il 2003 e il 2005 il front office abbia tentato di smembrare questa associazione a delinquere, spedendo Wells a Memphis e Rasheed a Detroit, via Atlanta, mossa di cui, per inciso, il ragazzo dovrà essere grato ai Blazers per il resto dei suoi giorni, visto che gli ha permesso, di vincere un titolo, disputare una finale (e forse un'altra), e soprattutto rifarsi una verginità come giocatore; va bene, il suo rapporto con la marijuana non si può dire del tutto estinto, però quello con gli arbitri è sensibilmente migliorato, visto che Rasheed ha ormai imparato dall'omonimo Ben "lo sguardo che uccide" e si limita a quello quando è contrariato per qualche scelta arbitrale.
A sostituire Scottie Pippen nel ruolo di chioccia (o pacificatore, o vittima sacrificale, fate voi), i Blazers hanno chiamato da Atlanta Shareef Abdul Rahim, un grande talento ed un vero gentiluomo, ma non un ingenuo, che ha capito presto l'antifona, si è fatto due conti e quindi ha salutato educatamente tutti ed è volato a cercar fortuna nelle Meadowlands del New Jersey prima, e a Sacramento poi.
Nel quadro di questa operazione è giunto a Portland Darius Miles, ragazzo non esattamente equilibrato e posato, a cui probabilmente avrebbe maggiormente giovato un ambiente meno effervescente in quanto a disciplina (termine fumoso ed astratto in quel di Portland) ; assieme a lui una vera e propria compagnia di boy scouts, composta dai due talenti russi Sergey Monia (oggi in NBDL) e Viktor Kryapa (che contribuisce con circa 6 punti e 4 rimbalzi a partita) e dalla guardia Jarrett Jack, draftato da Georgia Tech, che sta trovando una ventina scarsa di minuti di media nei quali produce quasi sei punti e tre assist per gara ; presenti anche Martell Webster, liceale di belle speranze, anche lui spedito da poco in NBDL a fare esperienza, e il 7,3 piedi sudcoreano Ha Seung Jin, un ragazzo del 1985 sul quale si punta forte, specialmente in prospettiva, visto che per il momento è poco più di una esotica ma evanescente presenza.
E veniamo a Sebastian Telfair, stellina newyorkese giunta a Portland nel corso del draft 2004, e qui una nuova immersione nel mondo del gossip di cui sopra.
Il ragazzo, playmaker di 180 cm circa, baller di nascita e star dei tornei estivi al Rucker, per chi non lo sapesse la Mecca dei playground mericani, oltre alle proprie qualità tecniche, invero perfettibili, può però vantare la cuginanza con Stephon Marbury, attualmente playmaker dei Knicks (l'avverbio di tempo non è una ridondanza") e precedentemente stella di Georgia Tech, dove era conosciuto come "l'uomo che passa attraverso le gocce di pioggia" .
Oltre ad esibirsi nel torneo del Rucker a fianco del più celebre parente, “Bassy” ne condivide gli sponsors che, in fase pre Draft 2005, hanno lavorato a fondo e non soltanto alla luce del sole, pompando non poco il valore del virgulto, viziato anzi che no, di cui si racconta che, chiamato al cellulare da Marbury durante una lezione scolastica per comunicargli la propria assunzione ai Knicks, abbia immediatamente trasmesso la notizia a Snoop Dogg, rapper di fama e una vera istituzione dei ballas della Grande Mela, evidentemente intimo del clan Marbury, il tutto nella più completa noncuranza delle motivatissime proteste del professore.
Basti questo per inquadrare il personaggio tra coloro che hanno una visione lievemente egocentrica del mondo, non un grande acquisto per una franchigia che desidera ripulirsi e rinnovarsi, anche con l'ingaggio come allenatore di coach Nate McMillan, uomo di grandi capacità e nerbo, reduce da un'annata favolosa, anzi miracolosa a Seattle, a sostituire il fin troppo accomodante e quindi inadatto players'coach Maurice Cheecks, divenuto ormai ostaggio di questa masnada di barbari.
Finora, però, la squadra non sembra aver risentito positivamente della cura McMillan ; al di là del computo negativo tra vittorie sconfitte (14-26), caratterizzato da un andamento altalenante e peraltro prevedibile per una squadra in piena ricostruzione, è proprio l'integrità e l'identità del gruppo che desta preoccupazione.
Se è vero che molte delle teste calde sono ora lontane dall'Oregon, altre ve ne sono ancora per creare problemi continui, come per esempio la presa di posizione di Patterson contro il minutaggio riservatogli da coach McMillan, che non lo considera un titolare e che lui ha attaccato dapprima in spogliatoio e con modi non proprio urbani, e poi attraverso i media, lamentandosi di venir trattato alla stregua di un rookie e causando la propria sospensione.
Telfair inoltre non sembra intenzionato, imitando in questo il più famoso cuginetto, a preoccuparsi di altro che dei propri interessi e delle proprie statistiche, mentre Jack non pare inserito ancora a dovere nei meccanismi della squadra.
Inutile sottolineare che questo caos non favorisce di certo la maturazione dei giovani, la migliore speranza per Portand di tornare a dire la sua nei piani alti della NBA, cosa che se oggi è pura fantasia, potrebbe domani rimanere comunque una chimera se la situazione permanesse invariata.