Steve Francis è un giocatore spesso problematico…
Florida
Da sempre terra d'esilio per quei cubani che non la pensano come l'anziano Fidel Castro e paradiso balneare per quei fortunati che preferiscono il caldo South East quando nel Maine il paesaggio natalizio è ovattato dalla neve caduta in abbondanza.
Miami
Dove il “progetto Heat” ha preso una piega a dir poco inquietante, da che a Shaq e soci, capitanati dal nocchiero di Schenectady, al secolo Pat Riley, sembra non andarne una per il verso giusto. Non c'è amalgama, non ci sono precise gerarchie, Shaq e Wade a parte, non c'è gioco e neppure una difesa affidabile, bene prezioso per coloro che desiderano puntare in alto. Anzi, al top. O disfare tutto per prendere "The Diesel” sarà stata solo una promessa mancata ai tifosi di Miami.
Vincere!
Sembra un imperativo da queste parti, un proclama un tantino "vintage", che richiama epoche trascorse, guerre, armistizi, e via dicendo, e che se riferito alle Fiamme della Florida causa invece la comparsa di un inevitabile sorrisino sulla bocca dei molti che avevano intravisto nel maxiscambio che portava Odom e soci a raccogliere le briciole della tavola di Kobe Bryant, la scelta di vincere subito o mai più, rifondando la squadra su basi di attualità più che futuristiche.
Così non deve aver pensato Pat Riley.
Pat, who? Si bravi, ci avete preso: Mister Showtime, quello che dopo aver allenato (e come !!!) Magic Johnson ai Lakers ed aver coniato vocaboli come "Back to Back", "Threepeat" o "Showtime" appunto, era tornato a est per allenare i Knicks (probabilmente i migliori e più cattivi di sempre) e dopo aver ceduto il comando al fido Jeff Van Gundy, aveva portato il suo scalpo lucido per la gelatina a riscaldarsi al sole di Miami, facendo a tempo perso il GM fino a quando gli eventi hanno reso evidente (a lui di sicuro…) la necessità di tornare in panchina. Il resto è cronaca odierna.
"Se Sparta piange, Atene non ride".
E come potrebbe ridere Atene-Orlando, anzi neppure sorridere, delle tribolazioni dei cugini meridionali, dal momento che neppure i più potenti motori di ricerca in Internet sono in grado di "linkare" i Magic al sostantivo "vittoria"?
Nel quartier generale della banda Disney, si parla ormai di vittoria solo durante qualche trip a base di lisergici, visto che di stagioni vincenti (e non sto parlando di faticosi accessi ai playoffs con buonuscita quasi immediata), non se ne hanno più dai tempi in cui Penny Hardaway era integro e "The Diesel" era giovane, assetato di vittorie e non si era ancora dileguato alla volta di LA, cioè, vediamo" insomma roba da "c'era una volta".
Da allora annate più o meno mediocri, salvate solo dalla presenza di qualche stella, dal passato luminoso ma perdente (giusto per restare in tema") come ad esempio Dominique Wilkins, quello che dopo un assaggio di basket ellenico, giunse a Bologna, quella della grande F e dell'aquila, e riuscì a farsi scippare uno scudetto già vinto dalla Virus Bologna di Danilovic, che lo umiliò tirandogli in faccia con fallo la bomba per il sorpasso "at the clutch" .
Anche Pat Ewing, della cui equivoca fama di "posterizzato cronico” abbiamo già detto in altra sede (ma per chi si collegasse solo in questo momento suggeriamo la visione di un qualsiasi video NBA in cui vi siano schiacciate o stoppate….; nella parte di colui che viene cestisticamente abusato non vi sarà difficile riconoscere più spesso di quanto costituisca casualità l'ineffabile centro da Georgetown), contribuì al raggiungimento dei playoffs da parte di Orlando, ma sempre con record vicini al 50%, poco di più o di meno a chiusura di stagioni senza infamia e senza lode.
Millennium Bug
E così giungiamo al nuovo millennio, con il suo bravo bruco ma anche con gli arrivi a Orlando di Grant Hill da Detroit e Tracy McGrady da Toronto, mentre il comando delle operazioni viene affidato a John Weisbrod, l'uomo dell'hockey per capirci. Ed un nuovo capitolo vittorioso sembra aprirsi per i Magic.
Due stelle all'altezza dei migliori e una squadra comunque giovane e promettente al loro fianco.
Roba da far girare la testa se pensate alla pochezza della Eastern Conferenze in quel periodo, con Chicago in rifondazione, Boston e New York in coma stabile, Detroit che non era ancora la corazzata di oggi e solo i Pacers di Larry Bird e Miller e i Sixers di Larry Brown e Iverson a recitare da protagonisti.
Disneyworld
Anche se vi siamo vicini, la realtà si rivela ben presto meno "magica" della fantasia che regna giustamente nel più famoso parco per divertimenti del mondo.
Non è chiaro quale evento o elemento abbia determinato l'arenarsi della nave, se un GM inesperto e poco incline a lasciarsi ben consigliare, una stella capricciosa che, avendo capito l'antifona, ha giocato per quasi due anni allo scopo di farsi cedere a una franchigia con maggiori ambizioni, i guai fisici di Hill, che in tre anni ha saltato ben più partite di quante abbia potuto giocarne".; è un po' come cercare di capire se sia venuto prima l'uovo o la gallina, certo è che Weisbrod è riuscito in 14 mesi a non combinarne una giusta, anzi una si e precisamente l'atto delle proprie dimissioni per tornare all'hockey (chissà , dopotutto forse poteva rimanerci").
Rifondare, dunque.
Lasciar andare T-Mac a rincorrere le sue ambizioni per avere indietro qualche gregario e Stevie Francis, si proprio lui, quello che credeva di essere l'uomo franchigia dei Rockets, i quali non corrispondono l'attaccamento al giocatore, che spediscono in Florida più rapidamente di quanto riesca a capacitarsi tanto che sta ancora cercando di capirne i motivi"
Steve “The Franchise” Francis
Un campione. E una ottima persona, anche. Atleta generoso ma anche possessivo, desideroso di essere sempre e comunque il condottiero del proprio esercito senza avere il cinismo e la freddezza per condurlo alla vittoria (questo devono aver pensato in Texas al momento di scambiarlo".solo che ora con T-Mac sono in fondo alla loro division e non si sa quanto bene abbiano fatto i loro conti"), alterna grandi partite a gare solo modeste, completando il quadro con periodiche perdite del proprio autocontrollo, che gli hanno causato e gli stanno causando più di un guaio"
Il vecchio Grant
Insieme a "The Franchise", troviamo proprio lui, Grant Hill, stella di prima grandezza da Duke, campione di certo sfortunato, alla soglia delle 34 primavere con l'ennesima riabilitazione alle spalle, che finora ha prodotto statistiche che in media non sono poi male (16,8 punti - 4,5 rimbalzi e quasi 3 assist in circa 34 minuti) ma che sono il frutto di sole 11 partite giocate su 38, indice di un utilizzo frammentato dai mille piccoli acciacchi che il giocatore ormai logoro accusa.
La nouvelle vague
Per fortuna ci sono forze fresche e rispondono al nome di Jameer Nelson e Dwight Howard e della speranza croata Mario Kasun.
Mentre i primi due recitano già da protagonisti (con 13,8 e 14,8 punti per gara rispettivamente) e si pronostica per loro un avvenire da campioni, il centro slavo di 216 cm sta cominciando ora a capire come funziona oltreoceano e rappresenta appunto un investimento futuro più che una certezza per il presente.
Impossibile non citare poi la guardia Deshawn Stevenson e l'ala turca Hidayet Turkoglu, che assieme a Keyon Dooling, Tony Battie, inossidabile Pat Garrity e Travis Diener, guardia bianca che a Marquette faceva coppia con Wade, costituiscono il blocco dei giocatori su cui il coach Brian Hill fa affidamento, in una rotazione allargata a una decina di elementi, anche se molto spesso, causa infortuni o squalifiche, il numero dei rotanti scende di qualche unità .
Orlando: squadra giovane
Immatura, incredibile per certe ottime performances, ma anche per certi eccessi.
Impossibile da pronosticare il futuro che è riservato a questa squadra.
Per come è il destino è già scritto ed è quello degli ultimi anni di tribolazione, anche se è appena riuscita a piazzare una striscia positiva di 4 vittorie senza Grant Hill.
Orlando potrebbe dover perdere proprio Hill nel prossimo futuro, troppo anziano e acciaccato per recitare ancora ai suoi livelli. Potrebbe voler perdere Francis, la cui testa sembra andare a una velocità diversa da quella del gioco, sempre eccessiva come il cuore di questo ragazzo, enorme, che volendo fare un paragone, solo Iverson può tener botta (anche per la testa però, aggiungeranno i più maligni tra voi"aggiudicato !).
Stevie, Allen I
Campioni che non possono restare antipatici, quantunque non si possa tacerne i limiti caratteriali.
Ragazzi che hanno conosciuto la piega amara della vita, gente per cui una bevanda non è mai thè freddo ma sempre guacamole e una partita non è mai soltanto una partita ma un confronto, una sfida estrema con l'avversario che spesso è dentro di loro e non davanti.
Genio e sregolatezza, incapacità di controllarsi e difficoltà nel lasciarsi gestire. Non vinceranno spesso, proprio perché il loro modo di essere non li rende appetibili per quelle corazzate nate per vincere e che vincono quasi sempre.
Quasi sempre.
Fino a che non compare all'orizzonte uno come loro, uno con lo stesso cuore, lo stesso istinto, ma un superiore equilibrio ; uno che ha imparato a gestire le proprie energie e le proprie emozioni canalizzandole in maniera positiva.
E allora è tutt'altra musica, specie se trova accanto a sé dei compagni in gamba coi quali riesce a interagire, a collaborare, a migliorare e insieme raggiungere il traguardo della vittoria, nel basket e nella vita.