Per Kobe, e per tutti noi, una partita da raccontare ai nipoti…
Si, lo so, non e' passata neanche una settimana dall'ultima volta che ho scritto.
Probabilmente faticate a digerire un “Kicco's world” al mese, visto che io stesso utilizzo da sempre questa cadenza da busta paga.
Ma, la notte scorsa, e' successo qualcosa che e' difficile ignorare, visto che mai, da che sono vivo, un signore con la canottiera aveva segnato 81 punti nella lega che tanto volentieri seguiamo.
Ed e' certo che, se fosse stato qualcun'altro (Lebron, Duncan, TMC, Nowitzki, fate voi un nome) avremmo tutti gridato al miracolo senza troppi distinguo.
Il “problema” e' che a compiere questa cosa che ha del titanico e' stato il personaggio piu' controverso ed affascinante di questa lega.
Uno che, tra l'altro, vanta legami mai rinnegati con il nostro paese, al punto che si professa pure tifoso milanista (e ve l'avevo detto che era controverso… ).
Uno che in 28 anni ha visto la cima e visto il fondo, pur senza mai essere stato povero, e' stato angelo e diavolo, ha una schiera di ammiratori grande tanto quella dei suoi detrattori. Uno che divide, insomma.
Lo ammetto, se Shaq e Kobe fossero come Coppi e Bartali, io starei con quello grosso. Senza tanti ragionamenti, solo per una questione di pelle, non saprei neanche come motivarla.
Anzi si, almeno credo: considero Shaq la “cosa” che gioca a basket piu' inverosimile che abbia mai visto, e per una volta non soffro della sindrome che porta i piu' a tifare contro Golia.
Kobe invece rappresenta un meraviglioso esempio di “gia' visto” nel senso che giocatori di quel tipo se ne sono gia' visti (diciamo almeno uno, che qualcosa avrebbe anche vinto, in riva ad un lago ventoso).
Il destino li ha portati a remare per anni nello stesso posto, con i risultati e la fine che conosciamo.
Da li' in poi una lunga sequela di messaggi contradditori, un episodio tra il grottesco ed il drammatico che lo ha segnato sotto parecchi punti di vista, un'immagine andata rapidamente a donne di dubbia moralita', ed una lenta risalita tra mille dubbi e sospetti.
Poi arriva stanotte, arrivano i Raptors e si prendono anche un comodo vantaggio, prima che il numero 8 entri in una zona nella quale avro' visto entrare 5-6 personaggi, non piu' di 10-15 volte, ma mai con questi risultati.
Ora, la fortuna ed una parabola mi hanno consentito di vedere la gara, ed in questo momento dovrebbe ultimarsi un dvd che terro' nella personale videoteca come un film di culto.
Stamattina invece, ho girellato per i forum per vedere le reazioni, e quello che ho letto mi ha sorpreso. Accanto ai peana, agli osanna, alle iperboli per questa mostruosita' statistica, c'erano anche, e non poche, voci che rimarcavano le componenti negative, il non essere al servizio della squadra, la parte solista della prestazione nella sua accezione piu' negativa.
Fermo restando che tutte le opinioni hanno eguale diritto di cittadinanza, permettetemi un “mah”.
Intanto stiamo parlando di una singola partita, che i Lakers stavano perdendo, e pure di brutto. Di una gara che senza l'esplosione di Kobe si sarebbe commentata come la non prima delusione in gialloviola. In poche parole, di una gara che e' stata vera almeno fino a 5-6 minuti dalla fine, quando poi tutti i compagni hanno cominciato a tirare giu il rimbalzo, consegnare la palla a Bryant ed accendere la videocamera.
Gia' i compagni: che palle deve essere giocare con uno che piglia 46 tiri dal campo sugli 88 finali!
Permettete: la pallosita' e' grande se il nostro ne mette 10 su 35, ma se ne infila 20 su 30 (perche' alla fine le percentuali si sono annacquate, ma ad un certo punto sfidavano anche la logica) io non vedo l'ora di mettermi nelle sue mani perche' nessuno su questa terra, ieri mattina, vedeva il canestro grande come lo vedeva lui, e per una sera anche l'ego di un Lamar si chiude in un angolo per partecipare ad un happening collettivo.
Certo che se la stagione e' tutta cosi' allora diventa difficile, ma soprattutto quando l'8 quei tiri non li mette……
Altro particolare: Kobe come Jordan. E qui so di toccare parecchi nervi scoperti. Vi dico la mia: per qualita' individuali, Kobe e' come Jordan, non ha niente di meno. La cattiveria agonistica, la capacita' di mettere il tiro nel “clutch”, l'applicazione anche in difesa, la sete di competizione, sono tutte robe che 18 anni fa stavano dentro un 23 piuttosto che dentro un 8.
Chiedo ai vecchietti di fare un salto indietro.
Nel 1987, dopo un anno da rookie, uno costellato da un infortunio ad un piede ma impreziosito dal “God disguised as Micheal Jordan” dei 63 al Garden, MJ si presenta ai nastri di partenza con i serbatoi pieni: nella serata dell'opener, al Garden, ne mette 50, e va avanti cosi' per tutto l'anno.
Alla fine ne mette 37 di media, salvo farsi rischiantare dai Celts al primo turno.
In quella stagione, con dei Bulls che erano ENORMEMENTE piu' scarsi dei Lakers d'oggidi', un Jordan mostruoso non si vide neppure consegnato il premio di MVP stagionale, che ando' a Magic.
Per molti, quella fu la miglior stagione ogni epoca di un giocatore non nominato MVP. Come vedete, cari antagonisti di Kobe, parecchi anni fa ci fu un precedente illustre.
La grande differenza di Kobe, nei confronti di MJ, e' che la carriera del 23 ha avuto un percorso lineare: l'esordio, le esplosioni individuali da giovane con la frustrazione di predicare nel deserto e le critiche dovute ad un ovvio egoismo, la crescita della squadra, le sconfitte vicino al traguardo, poi e solo poi i trionfi in serie. Questi ultimi, tra l'altro, sono arrivati quando l'aura del personaggio era talmente grande che nessuno si sarebbe mai sognato di dividere il suo proscenio con chicchessia.
Kobe invece ha avuto una carriera strana: l'esordio e lo stabilizzarsi a superstar sono stati repentini, ma sono stati condivisi con una star talmente strabordante e nel pieno della maturita' che la gente si e' scervellata nell'inutile esercizio di capire chi fosse piu' importante alla causa.
Il problema e' che Bryant e' cascato nel tranello di cercare di rispondere anche lui a questa sterile domanda, e tanto ha fatto per avere le chiavi della macchina, ma oggi si ritrova a 28 anni nello stesso tratto di strada di Jordan quando ne aveva 24-25, solo con 8 anni di carriera di piu' sulle spalle.
Ora, non so se il futuro gli riservera' il supporting cast che serve per vincere un titolo, ma dovra' ricordarsi di giocare le partite come le faceva il suo predecessore illustre, che nel primo quarto dava 5-6 palloni a Cartwright o a Wennington, che lo ringraziavano con difesa e rimbalzi, salvo poi mettersi in proprio quando serviva.
Torno alla notte di domenica: 81 punti non credo si possano discutere, sono una prestazione semplicemente da ammirare, che danno l'idea della grandezza di un giocatore. Sono come un record mondiale di un centometrista, che una sera ha trovato la pista, le condizioni meteo, il clima giusto per la grande impresa.
Non ha vinto nessuna medaglia d'oro, pero' restano una gemma in una carriera straordinaria, di un giocatore che, piaccia o no, resta speciale.
Ah, dimenticavo. La notte scorsa c'erano le finali di Conference NFL, che designano le squadre che vanno al Superbowl. Una roba che monopolizza i rotocalchi sportivi USA per parecchio tempo.
Ebbene, Kobe li ha costretti a reimpaginare. Un po' come se Giorgio Rocca aprisse Controcampo.
A proposito: domani la Fiamma Olimpica si ferma a Bolzano. Andro' a darci un'occhiata, vediamo se c'e' ancora emozione in questo carrozzone. A presto.