Le dichiarazioni di Miller lasciano un'ombra pesante sulla reale convinzione della squadra
Natale a casa per una squadra che, per qualche anno, la nascita del bambin Gesù era stata abituata a festeggiarla sul campo: nel 2002, addirittura allo Staples Center per sconfiggere l'odiata corazzata dei Lakers che furono. Molto più tranquillo quest'anno, sul divano delle loro case a seguire il duello fra Shaq e Kobe.
Natale magro per una squadra che, proprio sotto le feste ha scoperto di dover rinunciare a Bonzi Wells per almeno un mese, con Predrag Stojakovich che gioca poco e con impatto anche minore; il serbo è rientrato nella sconfitta di nottata, 105-92, contro i Portland Trailblazers. L'organizzazione, i giocatori, la comunità dei tifosi, aspettavano questa serie di sei partite su sette alla "Gas Station" per invertire la tendenza e riavvicinarsi al 50%. Per ora sono arrivate solo due sconfitte.
"Ci serve una bella striscia di 5 vittorie - ha detto, non casualmente, Corliss Williamson due sconfitte fa, quando il bilancio era 10-15 - per trovare fiducia e continuità . E' ora di cambiare passo: non 3 vittorie e 3 sconfitte. Potremmo far notare che in dicembre siamo fermi a 3-9; ma questo è un argomento polemico. Più noiose, perché le solite, le cause dell'ennesima sconfitta: poca consistenza difensiva, non grande attitudine allo sforzo e totale inefficacia nelle fasi decisive del secondo tempo. "Dopo il primo quarto - ha spiegato coach Adelman - abbiamo giocato proprio una brutta gara. C'è poco da fare quando sul campo non si combatte." Succede quindi che Zach Randolph possa dominare il quarto periodo; l'unico a mostrare un po' d'anima è stato Ronnie Price, il rookie da Utah Valley State.
Peja Stojakovich, s'è detto, è rientrato contro Portland, dopo aver curato i suoi problemi alla schiena; l'ex Partizan ha segnato 19 punti, realizzando quattro dei primi cinque tiri tentati in un primo quarto da 30-25 per i padroni di casa.
Del giocatore s'è parlato moltissimo negli ultimi giorni. E non per qualcosa di positivo: quando Artest ha chiesto d'esser ceduto, "Radio Mercato" ha ripreso a diffondere la storiella dei due salari compatibili, una minestra un po' troppo riscaldata per far venire ancora l'acquolina in bocca. "Cerco di giocare - ha spiegato recentemente Peja - senza farmi condizionare dalle voci: sono un giocatore professionista, so che oggi sono a Sacramento e domani potrei essere da un'altra parte. Questo non deve determinare il mio atteggimento sul campo."
Come cambiano gli scenari: nell'estate 2004 fu proprio il discepolo di Vlade Divac, offeso per la "cessione" del suo mentore, e per le dichiarazioni di Chris Webber, a chiedere di andarsene. All'epoca Petrie e Reynolds furono irremovibili. Da allora, Webber è stato ceduto, Stojakovich ha sostanzialmente "bucato" l'ennesimo playoffs. "Peja - ha ripetutto negli ultimi giorni Petrie - è una parte importante della squadra che abbiamo costruito." L'occasione per queste parole è venuta da alcune voci su un possibile, e non nuovo, interessamento dei Nuggets.
Il rendimento del giocatore peraltro è li da vedere: 12 punti nel primo quarto contro Portland e, da lì, il nulla. Poco per quella che doveva essere la prima pietra della ricostruzione. Lo spartiacque di questa'annata sembra essere l'infortunio, ora superato, al mignolo della mano destra, quella che tira: prima il serbo, pur con percentuali fluttuanti, era sui 21.5 punti a gara. Nelle ultime gare siamo scesi a 12.5 con il 35% al tiro ed occasionali "escursioni" al 30%. "Sto facendo fatica - ammette il giocatore - la mano non c'entra. Non posso far altro che lavorare per cercare di migliorare."
Sacramento rimane una squadra che ha bisogno di lui anche perché quando l'ala non c'è o gioca male le alternative sono poche. Lo si diceva parlando del contributo della panchina: Adelman può far giocare da ala piccola Kenny Thomas o Corliss Williamson. L'alternativa sarebbe Francisco Garcia; un azzardo se si considera che, vista l'assenza di Wells, in quintetto troviamo già Kevin Martin. Chiaro che Thomas e "Big Nasty" nel ruolo si adattano, specie in difesa. Anche se proprio Williamson con Adelman fece per un anno l'ala piccola titolare, nella stagione chiusa con l'eliminazione 3-2 al primo turno di playoffs contro i Los Angeles Lakers.
D'altronde snocciolare numeri generici su punti, assist o rimbalzi, ma questo vale per tutti non solo per Stojakovich, può esser fuorviante: una cosa è la prima parte della gara, di solito intepretata con calma olimpica nella Nba. Altra musica sono le fasi calde e decisive: lo si è visto troppo spesso dall'inizio della stagione per non essere una prova preoccupante.
Sta di fatto che le prossime partite sanno già tanto di ultima chiamata sul treno dei playoffs. Boston, Philadelphia, Los Angeles Clippers: avversari da battere. Questa squadra non ha mostrato doti di spirito tali da ribaltare una situazione fortemente negativa. Ecco perché l'occasione va sfruttata adesso che è ancora abbordabile.
"Non so - ha risposto Brad Miller a chi gli chiedeva cosa serve a questi Kings per cambiare registro - se lo sapessi ve lo direi. Scrivetelo domani sui giornali e noi lo leggeremo." Se questo è lo sconcerto che regna in squadra, la stagione è già finita.