Gli Heat si sono infranti contro i rinnovati Nets
Chi ci capisce qualcosa, è bravo. Stavolta ci ritroviamo a cercare di capire cosa è successo, e cosa tuttora succede, nella testa dei New Jersey Nets. Un minimo di imbarazzo dal canto nostro c'è. Qui ci sarebbe bisogno di uno psicologo di quelli bravi, ma se saprete accontentarvi, attraverso l'analisi dei dati che ci sono giunti, proveremo a tirare qualche somma, per stilare un bilancio dei primi due mesi di campionato di Jason Kidd e associati.
15 dicembre 2005
Questa data è fissata sul calendario dello spogliatoio della squadra, come il giorno in cui si è letteralmente toccato il fondo, andando a perdere contro i derelitti Charlotte Bobcats, dopo una partita che non ha visto un vantaggio, ed una prestazione tecnica che avrebbe prodotto il medesimo risultato persino il Legadue. Una sola parola: imbarazzante. La squadra non ha infatti messo in campo nemmeno la grinta per cercare un risultato positivo, e si ritrova a questo punto con un record di .429, nonostante le premesse fossero ben altre, dopo aver allestito il Big Three.
17 dicembre 2005
Nella partita successiva, contro Denver, ci si aspettava un'altra batosta. Come non detto, al termine di una lunga e difficilissima battaglia contro una delle più quotate franchigie dell'Ovest, i Nets tornano al successo, con una ricetta che non si vedeva da tempo. The Kidd's Way: mettere una base di sano Run and Gun, mischiare con una difesa asfissiante e condire il tutto con del genuino High Flyin'.
L'enigma
Cosa non ha funzionato all'inizio di questo campionato? E perché?
Dalle primissime partite, era parsa subito chiara una cosa. Il gioco dei Nets era un qualcosa di molto differente da quanto si fosse in precedenza abituati a vedere. Princeton o non Princeton che fosse.
Nessuno si sganciava per il contropiede, persino Richard Jefferson, che solitamente è il primo a correre dopo il tiro avversario, partecipava al taglia fuori. La fase offensiva era così gestita quasi integralmente a metà campo, con moltissime situazioni di isolamento per Vince Carter. Jason Kidd offensivamente toccava molti meno palloni del solito. Insomma, mancava l'intensità , in attacco e molto spesso anche in difesa, dove sui lunghi veniva sistematicamente svolto un lavoro pessimo.
Il risultato di tutto ciò è stato penoso.
Sono venuti persino alla luce dei sospetti, fortunatamente infondati, che volevano uno sciopero della squadra per far saltare Lawrence Frank.
In realtà , si è trattato di un maligno dettato dal precedente di Byron Scott, esonerato dopo che lo spogliatoio, in particolare Jason Kidd, non lo reggeva proprio più. C'è un particolare che i rumoristi hanno trascurato"
What if"
Tra la situazione di Byron Scott dopo le due finali e quella attuale che vede come virtuale imputato Lawrence Frank, corrono alcune sostanziali differenze. Byron Scott è sempre stato un head coach poco gradito dallo spogliatoio, per via di un carattere scontroso che l'ha portato ad avere degli attriti con Jason Kidd, leader indiscusso dello spogliatoio. Rod Thorn non se la sentì di licenziarlo dopo due finali Nba, così lascio procedere gli eventi, perdendo di fatto quello che la squadra riteneva essere il coach di riferimento: Eddie Jordan, volato a dirigere i Washington Wizards. Oltre al danno, la beffa. Tant'è che l'anno seguente, la squadra non effettuò mai un vero e proprio sciopero sul campo. Non vi furono cali di prestazioni. Ma Jason Kidd riuscì finalmente ad ottenere la testa di Byron Scott.
Si scelse ad interim Lawrence Frank. Un uomo fortunato, visto che si è trovato in pratica all'esordio assoluto su un pino Nba con tredici vittorie consecutive, frutto anche di un calendario in quel periodo piuttosto agevole. Da soluzione ad interim, Frank è così diventato il coach su cui Rod Thorn, con il benestare di Jason Kidd, ha deciso di proseguire il progetto. Si tratta quindi di un allenatore che ha l'appoggio dello spogliatoio, e per ora, nonostante i primi risultati negativi, non vi sono stati elementi in grado di far pensare ad eventuali ammutinamenti. Il fattore più difficile da conciliare se mai è stato un pubblico che dopo anni di disgrazie, negli ultimi tempi aveva fatto la bocca buona.
Are u ready to fly (again)?
Fatte queste debite premesse, il motivo dell'insuccesso dei Nets era solamente tecnico. Frank ha deciso di puntare su una versione dei Nets Carter-oriented, ossia orientata più sul gioco a metà campo che non sul gioco in contropiede. In questo modo, credeva che la grande duttilità di Kidd e Jefferson consentisse alla squadra di ottenere un maggior bilanciamento in fase offensiva, riuscendo oltretutto a coinvolgere meglio anche il giovane centro Nenad Krstic, il gioiellino su cui il boss Rod Thorn punta moltissimo.
Dopo la disfatta con Charlotte, lo spogliatoio si è chiuso, e c'è stato un lungo confronto, al termine del quale, è prevalsa ancora una volta la leadership di Jason Kidd, così sintetizzabile: "Ehi coach, stiamo facendo schifo, così non funziona, torniamo a giocare alla vecchia maniera, al flying circus".
Detto, fatto. Cinque vittorie consecutive, contro avversarie di sicuro rilievo, tra cui spicca appunto Miami. Un successo che raccoglie alcune curiosità , su cui torneremo più tardi, non prima di aver trattato un argomento secolarmente scomodo ai Nets: la panchina.
Acquisti inutili?
Durante l'estate, Rod Thorn ha provato diverse mosse per portare a casa un lungo d'impatto, senza riuscirci. E pensare che si era mosso nei tempi giusti per tentare l'assalto a Jamaal Magloire, il centro canadese che sta dando una grossa mano ai Bucks. Appena richiesto il giocatore, Thorn si è sentito richiedere Richard Jefferson. Prevedibile l'arrivederci e grazie del vicepresidente dei Nets. Era praticamente fatta per Shareef Abdur-Rahim, ma degli approfondimenti clinici su alcune cicatrizzazioni del ginocchio del giocatore hanno convinto Thorn a rispedirlo al mittente. Non è rimasto che Marc Jackson, firmato peraltro a cifre nemmeno troppo ingombranti.
A rinforzare il backcourt è arrivato Jeff McInnis. Giocatore di buon talento quanto di problematica gestione. Grosse colpe non ne ha, ma in sostanza con questi Nets ha ben poco a che fare. Nelle prime gare, Frank l'ha utilizzato moltissimo, spesso relegando addirittura Kidd in ala piccola per farli coesistere. Non ha sfigurato, ma il problema è un altro. Se i Nets vogliono correre, Jacque Vaughn è persino più adatto come backup o affiancamento a Jason Kidd, perché conosce già i meccanismi di questa squadra. La dimostrazione pratica si è avuta nelle ultime partite, con McInnis addirittura: DNP - coach's decision.
Hanno completato gli innesti estivi l'inutilizzato rookie Antoine Wright, i positivi Scott Padgett e Lamond Murray e l'inutile Linton Johnson.
Quale rotazione?
Rod Thorn probabilmente non starà facendo dei gran sorrisi all'indirizzo di Lawrence Frank, che di fatto ha già messo in cantina i due principali rinforzi estivi. Analizzando tecnicamente la faccenda, alla luce del tipo di squadra che sono sempre stati i Nets dell'era Kidd, non ci vuole molto a capire che un lungo come Marc Jackson, buon realizzatore, inutile a rimbalzo e in difesa ed un play adatto a gestire i possessi come McInnis, c'entrino come il cavolo a merenda.
È storia recente il fatto che Marc Jackson sia non il quarto, ma addirittura il quinto lungo della rotazione, visto che Scott Padgett lo precede come minutaggio, facendo il quattro atipico. Per il resto, al progetto Krstic, Frank ha sempre preferito l'apporto difensivo di Jason Collins e Cliff Robinson, due che badano alla sostanza e non alle cifre.
Si tornerà prevedibilmente ad un dejavu che vorrà un quintetto sovrautilizzato, con degli apporti secondo le circostanze che possono essere portati da Padgett o Murray. Vaughn surrogherà i problemi di falli del backcourt, mentre uno tra Collins o Robinson farà altrettanto per il settore lunghi.
Trade all'orizzonte?
Alla luce delle esigenze di questa squadra, si è profilata un'ipotesi interessante, relativa all'acquisizione di Ruben Patterson dai Portland TrailBlazers. Non si tratta del classico rumor umorale, messo lì per fare carta. I presupposti perché qualcosa vada in porto ci sono tutti. Patterson vuole lasciare Portland, che a sua volta ha necessità sia di un play come McInnis, visto che dispone di molti giovani ma inaffidabili, sia di un lungo come Marc Jackson, visto che offensivamente sotto le plance oltre a Randolph c'è il vuoto.
Con Ruben Patterson i Nets otterrebbero un altro specialista che offrirebbe a Frank un'alternativa molto preziosa a Richard Jefferson sul miglior realizzatore avversario, in modo da poter spendere di più RJ in fase offensiva. Questo risolverebbe oltretutto il problema della tendenza di Vince Carter a fare spesso molti falli. Questa stagione ha insegnato che con VC15 in foul trouble, i Nets non hanno mai vinto.
Tuttavia, Rod Thorn frena gli entusiasmi: "Tutti i giorni abbiamo dei contatti con altre squadre per valutare delle possibili trade. È il nostro lavoro, e questo è il periodo dell'anno in cui le trattative si intensificano. Escludo che vi saranno delle trade a breve, ed anche a febbraio potremmo rimanere così". Pretattica?
Let's fly, sky is the limit
La partita contro Denver, vinta all'overtime con una prova di grande carattere, ha visto una svolta alla situazione che abbiamo figurato in questa prima parte dell'analisi. La squadra è tornata ad esprimere un gioco fatto di grande intensità , proprio del credo cestistico di Jason Kidd. La nota più curiosa di tutta questa storia, è che Vince Carter, che non ha certo fama di essere un gran corridore, anziché trovarsi a disagio in questo sistema, ha piazzato prestazioni una migliore dell'altra, arrivando al culmine nella fantastica serata di Miami, in cui ha pareggiato il proprio career high con 51 punti, costringendo Pat Riley alla seguente dichiarazione: "Vince Carter ci ha praticamente battuti da solo".
In queste cinque partite Vince Carter ha viaggiato con cifre astronomiche: 35,4 punti, 7,4 rimbalzi, 5,4 assist, con il 49% dal campo, il 48% da tre e il 94% dalla lunetta. Cifre da Mvp.
Una sintesi sulle potenzialità di questi Nets, arriva proprio dal pettinatissimo coach dei Miami Heat, fresco di ritorno in panca dopo le sospette dimissioni di Stan Van Gundy: "Sono davvero una grande squadra. Dispongono di uno dei quintetti migliori, con tre stelle e due lunghi, come Krstic e Collins che sono un ottimo complemento. È davvero difficile difendere su di loro. Jason è tornato ai suoi livelli, con alcune prestazioni mostruose, mentre non mi viene in mente una coppia, in questa Nba che sappia fare più di quanto sappiano fare Carter e Jefferson. Hanno tutto. Un atletismo straordinario, un grande talento offensivo e giocano una pallacanestro concreta".
Vince Carter dovrà abituarsi a correre, tant'è che all'inizio del quarto periodo, è andato da Kidd a dirgli di rallentare, perché non ce la faceva proprio più a stargli dietro. Ma questi risultati, e le sue prestazioni, sono un ottimo presagio per un giocatore molto impulsivo, che vive molto sugli stimoli: "Stiamo uscendo fuori da un brutto periodo. Dobbiamo giocare duro, con grande intensità , uno per l'altro. Dando il massimo, otterremo dei risultati e nessuno dovrà più avere paura di essere scambiato". Chissà come mai questa considerazione? Sarà una coda di paglia, o dopo le recenti figuracce il boss è sceso nello spogliatoio a far notare che le cose non fossero migliorate, qualcuno avrebbe fatto le valigie? Qualcosa sicuramente uscirà fuori"
E adesso?
Ritrovata quanto meno la smarrita via dell'ottimismo, Jason Kidd e la sua truppa non dovranno far altro che continuare il percorso su questa via. Giocando come sanno fare. Gli obiettivi sono due. Vincere la sfida per la Atlantic Division contro Philadelphia, visto che le altre non sono oggettivamente in grado di dare dei problemi, e migliorare il più possibile il record in modo da garantirsi in vista dei playoff più situazioni di vantaggio campo possibile. Se nel frattempo arrivasse qualche bella trade a rinforzare la squadra, nessuno storcerebbe di sicuro il naso.