Marquis Daniels, il futuro dei Mavs
L'attacco riempie i seggiolini dei palazzetti, la difesa colma gli scaffali della sala dei trofei. Questa può apparire a molti come una frase fatta, ad altri come una grande verità e ad alcuni ancora come un anatema non sfatabile. Non si può scendere a compromessi: o si agisce di conseguenza oppure si è destinati a sfuggevoli soddisfazioni e a prolungate delusioni.
Anche il meno informato sul basket a stelle e strisce riesce a notare la differenza tra una partita di regular season e una di playoff: si passa da difese approssimative che fanno imbestialire gli allenatori a difese asfissianti in grado di far sudare 2 punti anche alla più quotata stella NBA.
Ovviamente, come in tutte le cose, c'è chi lo fa meglio e che si deve arrangiare in qualche modo.
A Dallas in questi anni, di performance difensive che annichiliscono gli avversari se ne sono viste poche, ma nessuno può negare come il pubblico abbia potuto godere di uno spettacolo offensivo di primo livello: lunghi che la mettono da 8 metri, assistenze da circo e azioni d'attacco che si servivano solo per metà del cronometro dei 24 secondi.
Erano gli anni dei Big Three.
Steve Nash, Michael Finley e Dirk Nowitzki hanno dato spettacolo all'American Airlines Center, permettendo alla franchigia di raggiungere risultati per un decennio neanche sfiorati: i playoff dapprima, addirittura la finale di conference poi.
Quella squadra aveva tutto il potenziale per vincere l'anello. Nel 2002-2003 vinsero le prime 14 partite chiudendo la stagione con il record di 60-22, ma si arresero in sei gare ai futuri campioni degli Spurs, a causa in particolar modo della scarsa tenuta in difesa: l'attacco stellare, insomma, non bastò.
Alle porte del 2006, i componenti del trio vivono situazioni diverse: soltanto il tedesco è rimasto lì dove è iniziata la sua avventura tra i pro, ma analizzando l'attuale roster dei Mavs, vediamo come il numero perfetto sia ancora d'attualità .
Ci sono altri tre infatti, non ancora "big", su cui si fondano gran parte delle speranze di successo, forse non immediatamente, ma più verosimilmente tra un paio di stagioni. I ragazzi in questione sono Josh Howard, Marquis Daniels e Devin Harris.
I primi due, entrati insieme nel dorato mondo dei pro, non è che godessero di grandissima fiducia almeno all'inizio. Il prodotto di Wake Forest è stato chiamato come ultimo del primo giro al draft del 2003 e visto il contemporaneo esordio nella lega di fenomeni come James, Wade e Anthony, è rimasto un po' in penombra rendendosi comunque protagonista di un buon campionato.
Daniels invece, uscito da Auburn, non ha avuto la soddisfazione di sentirsi nominare da David Stern, venendo snobbato da tutte le franchigie, salvo poi venire firmato come free agent dai Mavericks: a dir poco un colpaccio.
A due anni di distanza non ci sono più dubbi sul loro talento e sull'importanza che hanno per la squadra, in attacco e in difesa (Howard è davanti a tutti i compagni per palloni rubati), sapendo portare punti nei momenti importanti, evitando di venire affondati da eventuali giornatacce di Nowitzki e garantendo una gran dose di atletismo.
E' inevitabile quindi che arrivino serate in cui si vada per la doppia doppia. E' il caso recentissimo della partita tra Mavs e Suns (102 a 96 il risultato finale), quando Josh si è ritrovato a fine gara con 15 punti e 18 rimbalzi (career-high).Considerando che l'ala 25enne è reduce da un infortunio, non può che esserci soddisfazione nell'entourage texano.
Chiare le parole del biondo venuto da oltre oceano: "E' bello avere Howard in campo. E' uno dei nostri giocatori più attivi su entrambi i lati del campo. Mi sembra si sia ripreso, sembra il solito Josh, è ovunque, salta su ogni rimbalzo".
Su questo punto il diretto interessato frena un attimo: "Ho fatto semplicemente quello che serviva per aiutare la squadra, ma non posso ancora dire di essere al 100 percento".
L'ultimo numero per fare terno, è il 34 di Devin Harris.
L'ex Wisconsin godeva di parecchia fiducia, tanto da venire scelto al numero 5 dello scorso draft, rientrando nell'affare che ha portato Stackhouse in Texas e Jamison nella capitale.
Dopo il primo anno, in cui ha alternato pregevoli giocate a clamorosi errori, comunque giustificabili per un rookie, nella seconda stagione sta incrementando notevolmente le sue statistiche, passando da 5.7 a 11.6 punti a partita e rimanendo sul parquet in media per 10 minuti di più ad allacciata di scarpe.
Per il momento il play titolare resta Jason Terry ma, vista l'atipicità nel ruolo dell'ex Atlanta (e il suo contratto in scadenza), sommata alla crescita costante del giovanotto, è prevedibile per il futuro la consegna della chiavi della squadra a quest'ultimo, che non si vieta qualche schiacciata di tanto in tanto.
Anche la versione odierna dei Mavs, risente dello stesso problema di quella precedente, quando il coach era Don Nelson: si difende poco.
A onor del vero l'atteggiamento della squadra si è lievemente riportato verso una condizione di equilibrio, grazie ai "cromosomi" popovichani (passatemi il termine), che influenzano l'Avery Johnson allenatore. Persino Nowitzki, in qualche occasione è stato visto difendere (vabbè quantomeno provarci), comunque un buon segnale.
C'è qualcuno che però difende per davvero in maglia blu.
Potrebbe sembrare il fratello più magro e più forte di un centro visto (non troppo) a Cleveland, ma in realtà è sempre la stessa persona, rivitalizzata da chissà che cosa, che registra a fine gara una media di 2.33 stoppate e 5 rimbalzi in 18.5 minuti.
Ovviamente si parla di Desagana Diop, ottava scelta assoluta del 2001, un altro liceale passato direttamente tra i pro e che come altri sembrava essersi inevitabilmente bruciato. Se garantisse qualcosa in più anche nell'altra metà campo, l'unica giustificazione alla presenza in quintetto di Dampier, sarebbero i soldoni che si porta a casa a fine mese.
La squadra messa in campo dall'ex play di San Antonio, ha già dimostrato di poter essere un ostacolo anche per avversari sulla carta più forti e che non fanno mistero di puntare al titolo;tra le vittime eccellenti troviamo i Suns(2 volte), gli Spurs, i Pistons e i Pacers.
Il record di 10-4 ottenuto da Dallas a novembre ha regalato al coach il titolo di allenatore del mese e, di questo passo, è un serio candidato anche per dicembre (attualmente 6 vittorie e 2 sconfitte).
A ovest i nero-argento di Popovich sembrava non dovesse temere nessuno, ma alle sue spalle stanno rinvenendo prepotentemente i ragazzi di Cuban, che con l'esperienza non possono che migliorare. In più se iniziano a difendere"