La compagnia dei bugiardoni

Pat Riley dice qualcosa a Antoine Walker nella prima vittoriosa trasferta di Chicago

Pat Riley s'è presentato col classico allenamento di due ore nel giorno della partita, tanto per stabilire da subito la sua autorità  sul gruppo. Stan Van Gundy si godrà  le sue due settimane di riposo e riprenderà  a vedere DVD di partite Nba per poi scriverne le sue impressioni. I giocatori hanno recitato la messa cantata a base di "sorpresa" mista a "dispiacere" e nel frattempo hanno vinto due partite in trasferta. Sappiamo che nel sistema puritano di valori americani la famiglia sta al primo posto e non dubitiamo dei sentimenti dell'ex coach per i suoi figli; ma il sospetto che tutti ci stiano raccontando una grossa bugia è più che fondato.

La storia di Van Gundy "Ho cominciato a pensare di lasciare questa squadra – ha spiegato il fratello del coach dei Rockets – la sera della prima gara contro Memphis; l'ho comunicato a Riley il giorno dopo. Capisco d'aver creato un grosso problema all'organizzazione e sarò sempre grato a Pat per l'opportunità  che m'ha dato. Però ho preso la mia decisione."

Sarà . Però la posizione dell'ex coach sembra quella del vaso di coccio stretto tra la voglia di Riley di ritornare sulla panchina e la scarsa considerazione che per lui avevano alcuni "veterani" della squadra. "Non sono un cretino - ha proseguito Stan - fossi stato messo alla porta avrei preso tutti i miei soldi. In realtà  ne ho lasciati sul piatto una buona parte." Sulle cifre ci sono diverse versioni, c'è chi dice un milione di dollari su un salario complessivo di tre. Nella sostanza esistono le transazioni, specie fra "amici": ci si mette d'accordo su una cifra e su una versione comune per salvare le apparenze. Successe l'anno scorso a Los Angeles, anche se l'amicizia fra Tomjanovich e Kupchack era tutta da verificare.

Resta il fatto che, pur con tutta la considerazione per gli infortuni patiti, specie quello di Shaq, un record di poco sopra il 50% in 20 partite non era ritenuto soddisfacente. Lo ha detto perfino Riley, riconoscendo il giorno del suo insediamento che "la squadra ha grossi problemi anche per via degli infortuni; ma può diventare grande. Qualcuno ha fatto notare la sinistra tendenza dei fratelli Van Gundy a mollare squadre in corsa: lo aveva fatto Jeff a New York, ha ripetuto Stan. Difficile però sia un gene di famiglia.

La cortina fumogena dei giocatori "Non sono certo andato da Pat - ha spiegato O'Neal a Chicago - per dirgli cosa doveva fare; né mi avrebbe ascoltato. Quando Stan ci ha comunicato quel che aveva deciso non abbiam potuto far altro che prenderne atto. " Come detto a parole tutti si sono definiti dispiaciuti dell'accaduto e entusiasti al tempo stesso del ritorno in panchina di Riley.

Primo fra tutti Dwyane Wade che fu scelto dall'ex allenatore di New York e mai allenato in una partita di campionato. "Riley ci darà  un'identità  precisa - ha spiegato sibillinamente Antoine Walker - Lo faceva anche Stan ma è un coach più giovane." Ancora più chiaro Alonzo Mourning, l'unico del gruppo ad aver già  giocato per l'architetto dello "Show time": "Pat è un vincente - ha detto Zo - ed ha creato il sistema che Van Gundy adoperava dopo averlo imparato da lui.".

Si tratta di due giocatori non scelti a caso perchè entrambi hanno avuto qualche problema con l'ex coach: Walker non ha certo gradito esser spedito in panchina. Zo si sentì sotto utilizzato nelle ultime finali di conference. E l'ego, lo sappiamo, è una brutta bestia.

La storia di Pat Riley L'ex coach dei Los Angeles Lakers lasciò la pachina a Van Gundy a pochi giorni dall'inizio della stagione 2003-2004. All'epoca il suo entourage lo definì "distrutto da anni di stress e sconfitte brucianti". E' pur vero che quella squadra non sembrava assicurare nulla di buono: Wade era un rookie talentuoso ma ben lontano dai flash di grandezza che avrebbe poi lanciato nei playoffs. Odom era una scommessa e Brian Grant non sembrava una presenza d'area sufficiente per un coach che nella sua carriera aveva avuto, in rigoroso ordine di grandezza, Jabbar, Ewing e Mourning. Con quel gruppo Van Gundy ottenne una sorprendente semifinale di conference dopo un inizio tragico.

Nell'estate del 2004 Pat Riley si presentò a Los Angeles da Mich Kupchack; non per architettare uno scambio per Shaq ma per il posto sulla panchina vacante, in assenza di Phil Jackson. Solo a margine della giornata Jerry Buss buttò lì la notizia sulla volontà  dei Lakers di disfarsi del loro centro. Com'è andata lo sappiamo tutti.

Ma da quel giorno il proposito di Riley di non tornare a bordo campo, ha cominciato a vacillare ancora di più. La stagione 2004-05, quella in cui Riley non avrebbe dato nemmeno un'occhiata al play book, si concluse in finale della Eastern, a gara7. L'estate è quella della seconda rivoluzione "non causata - parole del nuovo coach - da quella sconfitta." In mezzo l'annuncio di voler essere più presente nella quotidiana vita da palestra della squadra e qualche esitazione di troppo nella riconferma di Van Gundy.

"Ho un debito nei confronti di Micky (Arrison, il proprietario della squadra ndr - ha spiegato Riley durante la conferenza stampa. E' uno dei motivi percui ho deciso di rientrare." Questo potrebbe significare che dall'alto, riconosciuto un gruppo di giocatori talentuosi ma poco recettivi nei confronti dell'allenatore, sia arrivata la richiesta a Riley di rimettere in campo la sua autorità .

Di certo il coach col gel sa che, se questo gruppo ha una reale chance di vincere, essa risiede nel breve periodo. Se due più due fa quattro, Riley deve provare a vincere subito; non dal prossimo anno.

L'approccio alla squadra e a Shaq Il già  citato allenamento di due ore nella mattina della partita coi Bulls non è altro che l'affermazione dei sistemi di Riley. "Non cercherò certo di reinventare la ruota - ha spiegato dopo la vittoria allo United Center - è necessario però che tutti si diano da fare e mettano tutto quel che hanno sul campo." "Faremo tutto quel che ci chiederà  - ha assicurato da buon soldato Mourning - perché sa sicuramente cosa è meglio per la squadra.

Riley è l'allenatore che, per una stagione, è riuscito persino a rendere presentabile Rod Strickland. "La cosa che m'è piaciuta di meno della squadra - ha detto Van Gundy prima di darsi definitivamente alla melassa - è stata la transizione difensiva ed il modo in cui tutti hanno protetto l'area, Mourning escluso." Compreso Shaq per quel che c'è stato. O forse perché non c'è stato. "Il fatto è – ha spiegato un anonimo general manager della Western Conference - che Riley ha una figura da GQ e si può permettere di dire certe cose. Van Gundy no, con la sua tuta blu da operaio."

"Conosco - ha detto da Los Angeles Jerry Buss – i metodi di Pat. Saranno un problema con O'Neal." Shaquille l'anno scorso è dimagrito per mettersi nella forma richiesta dall'allora presidente; il peso stabilito dovrebbe esser qualcosa sotto le 320 libbre. Al momento Shaq è sopra le 330. "Mi sento meglio così - ha dichiarato al rientro l'ex LSU - più forte e dominante." "O'Neal - ha dichiarato Riley - è del tutto diverso da ogni altro giocatore per via della sua struttra ossea. Ora è stato anche fermo per un po'. Ma recupererà  in fretta la forma che gli chiediamo. I suoi 30 punti contro i Bulls sono il primo segnale della sua stagione.

Ci sarà  bisogno del big man se Miami vorrà  davvero contendere il titolo della Eastern Conference ai Pistons e l'anello agli Spurs. E ci sarà  acnche bisogno di cominciare a parlare un po' di basket giocato. Finora a Miami lo hanno fatto troppo poco.

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