Vikings di nuovo a galla

Brad Johnson ha ottenuto sei vittorie sui sei partite come starter dei Vikings.

Con la sconfitta subita dai Chicago Bears in quel di Pittsburgh, domenica scorsa, i Minnesota Vikings sono diventati la squadra con la striscia vincente più lunga in NFL ad esclusione delle due superpotenze in gara nelle rispettive conference, gli Indianapolis Colts (AFC) e i Seattle Seahawks (NFC).

Il tutto potrebbe non sorprendere per nulla in particolare quando ci si rende conto di parlare di una delle grandi favorite NFC della stagione, squadra preparata e rinforzata per vincere la NFC North a mani basse e competere per le posizioni più alte di tutta la lega. E' una stagione strana, come spesso capita nel football a dire il vero, e i Vikings rispecchiano questa stranezza nel migliore dei modi. Tutte le previsioni di squadra vincente vanno a farsi benedire nel giro di tre o quattro partite, e i Vikings si sentono già  in ginocchio prima di poter capire cosa ci sia che non va.

Dopo un disastroso avvio culminato con l'infortunio di Daunte Culpepper nella gara di Charlotte contro i Carolina Panthers di Jake Delhomme, la squadra si ritrovò con un record di 2-5, il proprio giocatore più rappresentativo nonché quarterback titolare out for season e un netto crollo nei pronostici degli esperti, visti soprattutto i più che mediocri risultati ottenuti dalla difesa che tanto aveva fatto sognare in agosto.

Nei power ranking di mezzo mondo i Vikings videro crollare le proprie azioni, tanto che tra le righe di questo sito sembrò quasi un dovere inserirli all'ultimo posto, con Culpepper in injury reserve list e il povero Brad Johnson pronto ad andare al timone di una corazzata che ormai era del tutto affondata.

Ma a Minneapolis qualcosa è cambiato all'improvviso; l'alchimia nel gioco è stata trovata, Johnson è sembrato alla pari di quello che vinse il Super Bowl con Tampa, il gioco di corse migliorato, il possesso palla finalmente concreto e la difesa (alla fine è arrivata anche lei) esplosa in quello che da mesi ci si aspettava che facesse, un reparto ordinato e piuttosto efficace.

Quasi un mese e mezzo di vittorie ed ecco i "purple" volare a 8-5 , con sei vittorie consecutive ed in piena corsa per raggiungere i playoff e soffiare il primato di division ai Bears di Lovie Smith. Una squadra nata sulla sofferta cessione del mitico Randy Moss, l'abbandono dell'idolo di tutto lo stato Culpepper e tra gli scandali di bagarinaggio di mister Mike Tice conditi da festini porno dei giocatori e stagioni su stagioni senza incisività  e continuità  che avevano puntato molta dell'attenzione dei colpevolisti nei confronti proprio dell'head coach Tice.

Cessioni importanti, luci rosse, whizzinator e scandali vari.

Quando la nuova dirigenza decise di lasciar scappare a Oakland il burbero Randy Moss il pubblico vichingo non rimase scosso più di tanto in attesa della rivoluzione che avrebbe compensato con la concretezza la perdita di talento puro.

Nessuno parve rimanere eccessivamente toccato dallo scandalo di bagarinaggio che vide coinvolto il capo allenatore Mike Tice, reo secondo molti di non riuscire a dare alla squadra una personalità  tale da portare il team a trovare quella continuità  necessaria per trasformare i Vikings in una serie pretendente alla corona di conference.

Tice divenne head coach durante la disastrosa stagione del 2001, per poi concludere malamente l'anno seguente. Fu l'avvio del 2003 a far credere che il coaching staff presente a Minneapolis fosse capace, finalmente, di far fruttare il gioco offensivo verticale che si appoggiava principalmente sulla combo Culpepper-Moss col vantaggio di poter sfruttare le portate di Michael Bennet o Moe Williams.

Ma dopo sei "W" consecutive anche la stagione 2003 si trasformò in incubo con la finale estromissione dalla postseason causata da una sconfitta in Arizona all'ultima giornata. Nel 2004 i playoff furono conquistati per il rotto della cuffia in una conference a livelli di mediocrità  mai visti, e la vittoria a Green Bay nel wild card game diede brevi illusioni a un pubblico che immediatamente dopo si accorse della scarsa concretezza del team.

Onterrio Smith, Nate Burleson, Daunte Culpepper, Randy Moss: giocatori che potevano muovere numeri importanti ma che non erano sufficienti per puntare in alto, soprattutto se male equilibrati in una squadra da una difesa davvero colabrodo. E allora ecco la rivoluzione, nuova dirigenza e nuova squadra.

Tice, tra mille dubbi di stampa e dintorni, è confermato in sella e subito dopo è coinvolto dal piccolo scandalo sui biglietti delle partite con rincari non indifferenti; come se ne avesse bisogno (dei soldi), si dirà . Il problema ovviamente non sono i soldi, ma il comportamento del personaggio che oltre all'ovvio calo d'immagine della franchigia, provoca malumori ancor più forti tra chi già  prima lo contestava. Il suo interesse per "gli affari esteri" sembra davvero troppo in un contesto sportivo dal quale non riesce a emergere.

Moss parte per Oakland in cambio del LB Napoleon Harris e di una prima scelta al draft. La difesa viene rivoluzionata in toto con le acquisizioni di Darren Sharper da Green Bay, Sam Cowart dai Jets, Fred Smoot dai Redskins, Pat Williams da Buffalo e altri. L'attacco rimane più o meno lo stesso, senza Moss ma con l'arrivo del rookie Troy Williamson (WR) e una linea assestata con il primo anno Marcus Johnson (G) e il veterano da Cleveland Melvin Fowler (C).

Insomma, la società  fa uno sforzo incredibile per potenziare un attacco rimasto orfano di un dei più grandi WR della lega ma che si poggia sulle possenti spalle di Culpepper, mentre in difesa riesce a mettere insieme un misto di esperienza e qualità  che dovrebbero garantire maggior solidità  al reparto e di conseguenza un miglior equilibrio in campo.

Le uscite di pista però non finiscono subito e Onterrio Smith si fa beccare con tanto di whizzinator, strano giocattolino che servirebbe per superare più o meno in scioltezza ogni controllo anti-doping. Senza soffermarsi troppo sulle caratteristiche del particolare oggetto dalle sembianze sadomaso, sottolineiamo l'immediata squalifica per un anno da parte della NFL al giocatore, stop che va ad aggiungersi all'avvio di stagione assolutamente disastroso dei Vikings. Per sfortuna di Tice, in America, non esistono trofei estivi alla Birra Moretti o coppette nazionali, e lui si ritrova sulla graticola alla velocità  della luce: a ottobre si parla già  di stagione 2006 e il suo posto non sembra poi così sicuro, anzi.

Inversione di rotta.

I miracoli, lo sappiamo bene, non guardano in faccia a nessuno, non hanno particolari simpatie per questa o quella persona, e così succede che i Vikings, con Brad Johnson improvvisamente titolare, cambiano veste e cominciano a vincere.

Le coincidenze per far funzionare il piccolo miracolo ci sono davvero tutte, con al primo posto un calendario che diventa più semplice nella seconda fase e una difesa che ora comincia a dare i frutti sperati. Le secondarie trovano finalmente il modo di arginare le offensive avversarie, si fanno sempre trovare abbastanza pronte sulle tracce dei WR opposti, tanto che Darren Sharper diventa in un batter d'occhio l'incubo dei quarterback avversari, trovando il ritmo giusto sui raddoppi, pizzicando sette palloni in sei partite e trovando il modo di farsi rimpiangere nel Wisconsin.

In men che non si dica Tice scopre di poter contare sul lavoro di Ted Cottrell in difesa, reparto che passa dalla versione gruviera a quella di rango NFL, il gioco messo in campo per non subire manda in orbita Minnesota, all'interno della quale ci si mette poco a capire come un QB del livello di Brad Johnson possa tornare utile.

Così in attacco il gioco viene ridisegnato in base all'avversario per sfruttare la malleabilità  del nuovo passer, meno mobile e potente di Culpepper ma certamente più paziente, metodico e altrettanto preparato.

Nella media l'offensive game plan è più conservativo, tanto che l'assenza di Moss diventa ininfluente nel momento in cui viene a mancare il braccione di Culpepper e si possono pescare in Johnson le giocate medio corte che costano meno rischi e certamente meno sprechi. Grazie all'evoluzione improvvisa della giovane O-line e un gioco di corse parzialmente recuperato grazie agli sforzi di Mewelde Moore e Michael Bennet, Johnson si concede tutto il tempo del mondo nella tasca, non riceve quasi mai forzature e viene colpito la metà  delle volte di quanto non toccasse al suo predecessore.

I Vikings vedono il proprio possesso palla impennarsi vertiginosamente, giocano controllando il pallone, colpiscono le difese più scadenti con tremendi big play spesso completati dal redivivo Travis Taylor mentre cercano di avanzare con cautela nei territori di difese più arcigne. Quando poi il dislivello in campo è eccessivo come contro i NY Giants, la difesa fa di tutto per mortificare il gioco aereo di Eli Manning, mentre gli special team mettono a segno due mete. Tutto combacia alla perfezione.

Dopo un paio di vittorie sofferte nella prima fase di stagione, Brad Johnson porta con sé sei vittorie consecutive come starter, mostrando a tutti un football spesso meno spettacolare di quello visto con il duo Culpepper-Moss gli anni precedenti, ma altrettanto incisivo e meno rischioso in quanto ai turnover.

Con un running game non ancora spettacolare e un quarterback che non può essere certo definito un Joe Montana, i Vikings trovano il modo di fare di necessità  virtù, colpiscono spesso in modo giusto, restano in campo in maniera precisa e in un gioco che prova a trovare le carte più deboli dell'avversario per andare ad infilarsi in modo decisivo. Johnson diventa così l'uomo in più di una squadra che non dava segni di vita fino a un mese fa, capace con la propria esperienza di leggere le difese avversarie e di trovare i propri WR sempre pronti su ogni tipo di raggio, da quello più vicino fino alle deep mal difese dai backs avversari.

Se Moss, bravissimo a ricevere palle lunghe, meno a guadagnare yards di forza, poteva essere l'uomo della giocata decisiva, i WR di oggi garantiscono ai Vikes di provare soluzioni di ogni tipo, spesso con effetti meno devastanti ma non certo meno concreti.

La maggior crescita è arrivata comunque dalla difesa, la quale è riuscita a creare una consistente resistenza capace oltre a limitare i danni, di dare maggior tranquillità  ad un attacco finalmente non spinto a forzare in cerca del recupero ogni volta che scende in campo.

L'alto numero di palloni recuperati sui lanci degli avversari ha cominciato inoltre ad influenzare il gioco dei suddetti rivali, ora meno spavaldi nel tentare la sorpresa con i big play. In statistica Minnesota paga lo scotto iniziale e certamente non è tuttora una corazzata indistruttibile, ma gli errori sono calati, il gioco migliorato e il margine di crescita potrebbe essere davvero ampio. Certo, a facilitare le cose c'è stato un calendario diventato improvvisamente più semplice, ma è così per tutti in NFL e in ogni modo questo non tranquillizza chi è in corsa per i playoff e oggi come oggi ha visto aggiungersi al gruppo una fastidiosa contendente con la quale dovrà  fare i conti.

Rush finale.

Il gioco più o meno ritrovato e le vittorie piovute a grappoli hanno rivitalizzato l'immagine di Mike Tice oscurando inevitabilmente quella di Culpepper, accusato ora di essere incapace nel gioco a medio raggio e di "controllo" ma in grado solo di colpire sul campo lungo quando a ricevere ci sono due mani d'oro. Nello sport è fin troppo facile essere buttati giù di forza dal piedistallo del proprio monumenti, e per il buon Daunte si parla ora di possibile cessione a fine anno, situazione inimmaginabile fino al settembre scorso.

Minnesota può continuare a lavorare su un'ossatura difensiva che ha ancora parecchi difetti ma è in costante crescita ed ha buoni numeri, concentrandosi, in attacco, su un gioco meno prevedibile, coltivando magari un buon running back e cercando un QB alla Johnson, uno insomma in grado di comandare una nave senza essere necessariamente capace di virate mozzafiato che servono più per gli highlights di fine anno che non per il campionato vero e proprio.

I meriti del coaching staff non sono ben chiari, alla difesa serviva (e serve) probabilmente molto tempo per ingranare e trovare compattezza, mentre l'attacco resta comunque vittima delle difese concrete e messe bene in campo.

Ciononostante l'ingresso ai playoff è ancora alla portata anche se le tre rimanenti partite sono tutt'altro che facili. Pittsburgh, Baltimora e Chicago sono avversarie che metteranno a repentaglio le arterie dei tifosi e la credibilità  del roster di Minneapolis, ma a questo punto ci può e ci si deve aspettare davvero di tutto da una squadra che ha nel tie-breaker (inferiore ai diretti rivali di division) un handicap che potrebbe risultare determinante.

Johnson ha mostrato una capacità  di leadership non indifferente, i suoi maestri (Gruden e Dungy su tutti) hanno fatto buona scuola e il suo ritorno nei Vikings (squadra nella quale esordì nel 1994) non poteva essere dei migliori.

Ciò che conta davvero ora è comunque vedere uno spiraglio in una stagione cominciata come peggio non poteva e avere le basi per costruire un futuro di livello più che buono. Molti giocatori chiave sono ancora giovani, la crescita di una O-line con una età  media così bassa lascia ben sperare per chi in futuro presiederà  il pocket dei Vikes e, in particolare, questo gioco di squadra, questa uniformità  che pian piano sta emergendo, valgono potenzialmente più di qualsiasi prima scelta al draft.

I Vikings possono entrare nella postseason con un exploit finale di quelli da ricordare, ribaltando la clamorosa debacle del 2003 e confermando i valori numerici del 2004; soprattutto possono contare su un gioco che, nonostante il continuo mormorio che si sente dalle parti di Mike Tice, sta dando i suoi frutti nonostante mille difficoltà . I numeri di fine anno difficilmente saranno stellari, ma il carattere con cui in queste ultime partite la squadra sta ottenendo i risultati è la statistica più importante.

Dopo i bagarini, le prostitute, i party in barca, i giochetti anti-doping e le sonanti sconfitte sul campo, a Minnesota si comincia a vedere una squadra che riesce ad andare oltre ai grandi nomi, alle stelle e al magico duetto che tanto spettacolo aveva seminato tra quelle gelide terre.

Per vincere serve la squadra che sta nascendo, per le giocate da standing ovation spesso inutili ai fini del record finale se manca poi tutto il resto, ci sono i DVD di fine anno; non escono purtroppo in italiano, ma questa è un'altra lunga storia da raccontare, non qui e non ora. Adesso solo un consiglio: attenti alla nave vichinga, non è ancora affondata.

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