Al Harrington e Josh Smith si battono, ma i risultati stentano ad arrivare…
Ci risiamo. Anche quest'anno gli Atlanta Hawks si stanno distinguendo nell'NBA per i risultati che proprio non riescono a raggiungere, ultima squadra in tutta la NBA a vincere un partita dopo ben nove sconfitte consecutive in apertura di stagione, peggiore partenza nella storia della franchigia della Georgia, anticipati anche dai derelitti Toronto Raptors.
Ma che cosa succede agli Hawks? C'è per caso una maledizione sulla franchigia di Atlanta che, nel corso della sua storia, non ha mai avuto particolari momenti di gloria ad eccezione del periodo felice in cui a farla da padrone era Dominique Wilkins?
In realtà la situazione attuale può essere spiegata probabilmente in due parole: cattiva gestione. Sì perché negli ultimi anni il managment degli Hawks ha fatto veramente di tutto per non dare continuità e sicurezza ai risultati della squadra di casa, creando anche una pericolosa disaffezione nel pubblico di Atlanta (mai particolarmente innamorato, a dir la verità ), che da anni è il meno numeroso della NBA nonostante un nuovissimo e moderno impianto come la Philips Arena, che però ha faticato a riempirsi anche per l'All Star Game di due anni fa.
La stagione tra l'altro è iniziata come peggio non si poteva, con la prematura e scioccante scomparsa, a metà ottobre, di Jason Collier, centro degli Hawks, a soli vent'otto ani per un infarto. Collier non era un giocatore fondamentale per Atlanta, ma la notizia ha sicuramente e ulteriormente turbato i compagni e l'ambiente degli Hawks.
I problemi di Atlanta sono di vario tipo e partono addirittura dalla società , con la diatriba estiva sfociata dall'acquisizione di Joe Johnson, nella quale uno dei proprietari (Steve Belkin) facente parte della cordata che aveva acquisito gli Hawks si è rifiutato di accettare il sign and trade per Johnson, andandosene dalla società sbattendo la porta.
Come se non bastasse negli ultimi due draft le scelte sono state a dir poco contraddittorie in quanto, avendo a disposizione sempre picks alti, Atlanta ha chiamato tre giocatori molto simili, andando ad intasare un reparto ali ora molto talentuoso ma altrettanto inesperto.
Se infatti era già sembrato un controsenso il fatto di scegliere nel draft 2004 (rispettivamente al numero sei e al diciassette) i due Josh, Childress e Smith, ancora più strana è sembrata la trade che, sempre nell'estate 2004, aveva portato in Georgia Al Harrington, mandando ad Indiana un veterano come Stephen Jackson.
Lo scambio non sembra di certo insensato a livello di talento ma piuttosto a livello tecnico, soprattutto considerando che Harrington è andato, come prevedibile, ad occupare anche il posto e i minuti dei due giovani scelti meno di un mese prima. Il paradosso di questa vicenda è che ora l'ex Pacers, a solo un anno e mezzo dal suo arrivo, è uno dei giocatori NBA maggiormente indiziati di trasferimento, anche perché in poco più di una stagione ad Atlanta, pur giocando bene, non è mai sembrato poter diventare il leader della squadra.
L'apoteosi si è poi avuta nel corso dell'ultimo draft quando gli Hawks, con la chiamata numero due, hanno fatto il nome di Marvin Williams, a detta di molti il miglior talento del draft, ma sicuramente non il giocatore più necessario per Atlanta, che al contrario sembrava avere un notevole bisogno di un point man affidabile, avendo anche la possibilità di pescare bene in un draft ricco di buoni playmaker come l'ultimo.
Ma il movimento di mercato più importante dell'estate per Atlanta è sicuramente stata l'acquisizione di Joe Johnson, strappato ai Suns con un'offerta irrinunciabile. Il valore di Johnson, esploso fragorosamente la scorsa stagione in una squadra come quella di Mike D'Antoni che ha perfettamente sottolineato i suoi pregi e nascosto i suoi difetti, è indubbio, ma allo stesso tempo c'è qualche perplessità sulla sua possibilità di essere un uomo franchigia, cosa che deve diventare visto il salario che comanda alla fine della stagione.
Di sicuro il ragazzo dell'Arkansas è partito bene in questa nuova annata, integrandosi senza grossi problemi nella nuova realtà dove gli è stato chiesto di trasformarsi (o meglio adattarsi) a fare il playmaker molto più spesso di quello che non gli veniva chiesto a Phoenix, dove veniva utilizzato in questo ruolo solo in limitati momenti della partita per dare un po' di fiato a Steve Nash.
Le cifre di Johnson in questo inizio di stagione sembrano dare ragione al gm Billy Knight che l'aveva scelto in estate sacrificando anche un giocatore futuribile come Boris Diaw, visto che il numero due di Atlanta sta mettendo a segno 17.9 punti per gara (primo di squadra) conditi con 4.5 rimbalzi (quarto) e 4.7 assist (primo). Numeri d' alto livello che confermano la duttilità e la completezza del giocatore, ma alla fine i conti si fanno di squadra e in questo primo mese di stagione gli Hawks sono andati decisamente male, pur riuscendo a rialzarsi e a vincere addirittura due partite filate, prima contro Boston e poi contro Indiana.
All'inizio della stagione Atlanta era come al solito partita sommersa dai dubbi su una stagione iniziata con poche aspettative per la squadra di Mike Woodson, attesa a pochi miglioramenti in termini di risultati ma sicuramente dotata di talento e di giovani giocatori che potrebbero costituire il futuro della franchigia, ma che nel presente sono ancora troppo acerbi per combinare veramente qualcosa di buono nella Lega più bella del mondo.
Le difficoltà iniziali di Atlanta, oltre che dal record in negativo, sono perfettamente dimostrate anche dalla difficoltà di coach Mike Woodson a trovare un equilibrio ed una giusta chimica di squadra, come dimostrato anche dal fatto che l'allenatore di Atlanta ha cambiato ben sei quintetti in dodici gare di stagione, muovendo le pedine per cercare di trovare la soluzione migliore: "Né io né i giocatori siamo preoccupati da chi parte in quintetto. Siamo qui per ottenere delle vittorie e se questo vuol dire fare dei cambiamenti, allora è esattamente quello che dobbiamo fare".
I giocatori sembrano per ora accettare di buon grado i vari cambiamenti nel lineup iniziale, come dimostrano anche le parole di Josh Smith, retrocesso in panchina dopo sole due gare: "Credo che partire dalla panchina mi abbia aiutato ad entrare in gara più concentrato e pronto a giocare, avendo avuto tempo per studiare gli errori commessi dagli altri giocatori per evitare di commetterli a mia volta".
Una delle preoccupazioni degli Hawks in questo periodo è il rendimento di Josh Childress, il secondo anno da Stanford che sta avendo non pochi problemi a ritrovare il feeling con la partita, avendo perso precisione nel tiro ed anche diminuito il numero di rimbalzi conquistati, caratteristiche che gli avevano permesso, lo scorso anno, d' essere eletto nel secondo migliore quintetto di rookie.
E' possibile che in questi Hawks manchi una guida, un giocatore di talento e di carisma che possa incanalare le doti dei singoli giocatori in un concetto di squadra, sia con l'esempio in allenamento che con i fatti in campo, prendendosi le responsabilità più importanti e mettendoci la faccia, nel bene e nel male.
Forse è in questo contesto che si possono inserire le buone prove di Salim Stoudamire nelle prime gare della stagione, proprio perché l'ex Arizona, sicuramente un giocatore monodimensionale e sottodimensionato per l'NBA, ha carattere, carisma, ed è riuscito ad essere decisvo in varie occasioni, prendendosi molte responsabilità nonostante sia un rookie.
Per il proseguo della stagione Atlanta deve cercare di continuare a migliorare senza fretta perché, come dice Mike Woodson: "Non possiamo accettare che i ragazzi si sentano troppo sotto pressione ed abbiano paura di sbagliare. Devono sapere che siamo vicini a vincere e che se ci rilassiamo e giochiamo come sappiamo per tutti i quarantotto minuti della partita ce la possiamo fare. Se metteremo in pratica tutto ciò, non avremo problemi".
La speranza è dunque quella di far crescere i giovani giocatori, cercando di ottenere dei progressi sia individuali che nella comprensione del gioco di squadra, migliorando soprattutto la difesa che concede 98.6 punti per gara, circa otto in più di quelli che vengono realizzati dagli Hawks.
Obiettivo primario dovrà poi essere quello di rafforzarsi migliorando il roster, anche a stagione in corso, soprattutto potendo contare sul fatto che c'è spazio per operare sotto il salary cap e che Altana è una città che di per sé può attirare giocatori.
Non resta che vedere come si evolverà la stagione degli Hawks, sperando che la banda di giovanotti, ora ultima nella Southeastern Conference, reagisca e faccia vedere degli spiragli di luce in fondo al tunnel.