La forza nella parte superiore del corpo che fa di Billups un giocatore con pochi eguale nella Nba
L'atmosfera è rilassata ai Pistons; in vista dell'impegnativo back-toback texano a Dallas e Houston, la squadra si sfida in gare di tiro da metà campo. A ben guardare sembrerebbe che nulla sia cambiato dal momento del primo titolo vinto da questo gruppo contro i Los Angeles Lakers. Ed invece qualcosa di diverso c'è: Phil "Flip" Saunders è l'allenatore che sta guidando Detroit in questo "Rinascimento" sportivo.
Sia chiaro: nessuno si può sorprendere se la squadra che l'anno scorso è arrivata a un soffio dal secondo anello consecutivo, ha ripreso il discorso esattamente da dove era stato interrotto. Alcuni numeri però fanno impressione: 100.6 punti a partita col 48.6 dal campo, un numero di palle perse accettabile. Il marchio di fabbrica di un sistema offensivo che è appena stato varato ed ha funzionato anche nel primo viaggio a ovest della stagione.
La maturità del gruppo
Sul campo Detroit appare simile alle vecchie versioni: una vera e propria stella non c'è. Contro Phoenix, Billups ha segnato 27 punti ma le giocate decisive sono venute da Hamilton che, dopo aver faticato per tre quarti contro Raja Bell, ha segnato 12 punti nell'ultima frazione. A Sacramento è stato Prince, con 25 punti, il protagonista della prima vittoria in otto anni sul campo dei Kings. Il solito gruppo con tante risorse.
Flip Saunders e Chauncey Billups hanno speso due anni assieme a Minneapolis, dove il coach è rimasto per 10 anni. Per questo motivo l'ex Boston è diventato, come direbbe Dan Peterson, la naturale estensione dell'allenatore sul campo; al punto che "tendo a chiamare i giochi - ha spiegato Saunders di recente - solo se da qualche azione non segniamo o se mi interessa coinvolgere un determinato giocatore. Per il resto lascio sia Chaucey a scegliere."
Il giocatore, che l'anno scorso di questo periodo sosteneva "annoiato" che i Pistons avrebbero fatto sul serio solo nella fase decisiva della stagione, ha recepito.
Mai come stavolta i numeri ingannano sul suo contributo: il play sta segnando 17.6 punti a gara, in calo rispetto all'anno scorso, ma sta facendo quello che serve per far metabolizzare ai compagni il nuovo sistema offensivo; quello che Brown gli ha sempore chiesto. Contro Phoenix ha fatto il realizzatore perché ha riconosciuto il mismatch con Steve Nash. Contro Toronto è stato l'allenatore ha invitarlo a tirare un po' di più. "Dal campo - ha spiegato Billups dopo la gara contro i Suns - vedevo quanto Flip fosse teso per questa partita. Credo che certe vittorie abbiano un peso specifico maggiore di altre nel cementare il gruppo."
Il sistema offensivo
"Flip - ha spiegato nell'ultima telecronaca Doug Collins - non cambierà nulla del vecchio sistema per il gusto di cambiarlo. Porrà sempre l'accento su alcuni aspetti che gli interessano, ma non farà troppe variazioni." La prima differenza lampante è quanto la squadra quest'anno stia cercando di alzare il ritmo, anche in situazioni di contropiede primario. Il ritmo più alto rispetto all'anno scorso è la ragione dell'aumento dei punti subiti: un prezzo che evidentemente il coach al momento è disposto a pagare e che andrà rivalutato quando l'applicazione e l'intensità diventerà quella "delle grandi occasioni". Stiamo comunque parlando della terza difesa meno battuta della lega con 87.7 punti a gara. Quando poi si deve attaccare la difesa schierata si entra in una serie di schemi basati sui concetti della flex offense.
In linea di principio Saunders, che alla guida dei Timberwolves ha vinto il 56% delle gare giocate, parla della necessità di avere una rotazione in cui otto uomini giocano 30 minuti; nella realtà dei fatti contro Portland, vittoria 84-81, il solo Mc Dyes, che è un panchinaro di lusso, ha giocato (21) più di 8 minuti. Discreto contributo viene da Maurice Evans, il più felice del successo di Sacramento, e Carlos Arroyo; la questione riguardante il minutaggio di Delfino e Milicic viene liquidata con la necessità che i giovani "imparino dai veterani qual è il giusto atteggiamento per andare in campo e essere utili alla squadra" Un film già visto.
"Saunders – dice Don Zeird, dal 1986, salvo una pausa di 5 anni per essere capo allenatore in CBA, suo assistente - è molto flessibile: accade a volte di dargli un consiglio su qualche gioco e di andare a casa pensando che non abbia nemmeno ascoltato. Mi sorprendo invece quando qualche giorno dopo è lui a ritrattare l'argomento partendo da quel che gli avevo detto." Per questo motivo i giochi base del playbook sono relativamente pochi, contano le opzioni e la relativa libertà dei giocatori che sul campo possono scegliere seguendo il feeling della gara.
Un players coach
Si è detto dell'atmosfera del team: "familiare", secondo Antonio Mc Dyess. Dopo la già citata vittoria in Arizona, Saunders stava spiegando ai microfoni le giocate decisive quando ha apostrofato Ben Wallce con un "dico bene Ben?". "Racconta un po' - ha risposto l'ex Orlando, che a fine anno sarà free agent, riprendendo quel che aveva fatto notare Billups - quanto eri agitato in panchina in quei momenti."
Qualche minuto prima in partita il coach era stato costretto a dare qualche minuto di riposo a Hamilton, messo a disagio dalla forza di Bell; al suo rientro l'ex Washington è stato incoroggiato da Rasheed Wallace: "Vai in campo e se sei libero tira." Sappiamo com'è finita.
"Mi ha sorpreso - ha spiegato più seriamente Ben Wallace - il modo in cui si è presentato, inserito e ha cominciato a lavorare, senza troppe parole. Noi tutti siamo molto colpiti da questa cosa e per questo lo stiamo seguendo con grande entusiasmo." Per tutta l'estate s'è parlato dell'incognita di un gruppo reduce da una grossa delusione alle prese con metodi nuovi. Per molti parlare genericamente del gruppo è servito a non nominare Rasheed Wallace.
Se l'atteggiamento dell'ala, che recentemente è ripassato dai suoi "amici" di Portland, è questo; se la squadra dimostra tutta questa recettività , Detroit per incanto ritorna la favorita a Est. Miami la chimica deve ancora trovarla.