Iverson non potrà più presenziare alle partite in borghese con questo abbigliamento…
Con l'ormai imminente avvio della Regular Season NBA, previsto per il 1 Novembre, entreranno in vigore anche curiose e nuove direttive, volute fortemente dal Commisioner David Stern. Una delle più contestate soprattutto dai giocatori è quella che riguarda il codice di abbigliamento che i nostri eroi d'oltre oceano saranno costretti a seguire se non vorranno ritrovarsi con una salata multa da pagare. Il cosìdetto "dress code".
Dall'Opening Game di Martedì notte, infatti, si potranno già definire ricordi quei giocatori che si presentavano al Palazzo con capi di 6-7 taglie più grandi, catene d'oro da venti chili al collo e cuffie per l'hip-hop. Da ora basta. Si cambia.
Ai giocatori sarà permesso di vestire, in occasioni ufficiali, solo in maniera elegante, come fossero veri business men, con camicie ( tassativamente con maniche), calzoni di buon gusto e scarpe e calze all'altezza. Niente più sandali o sneakers.
Questa è l'ultima indicazione lanciata dai piani alti dell'organizzazione, che sta provando strenuamente a far rialzare le quotazioni della Lega, dopo i vari incidenti degli anni passati, uno su tutti la rissa del Palace of Auburn Hills, che sicuramente non hanno giovato all'immagine.
Sarà proibito l'abbigliamento trash anche nelle tribune, durante le interviste e in tutte le occasioni ufficiali in cui gli atleti rappresenteranno la NBA. Tanto per fare un esempio, non avremo più modo di poter vedere neanche Kobe Bryant con la maglietta di Donovan Mc Nabb prima del Superbowl. Sarà illegale anche questo.
In pratica, si potrà vestire come si vuole solo nei momenti di tempo libero che a guardare il calendario della prossima stagione saranno davvero pochi.
E come succede in questi casi, i commenti dei giocatori non si sono fatti attendere.
I più duri sono stati Stephen Jackson, guardia degli Indiana Pacers, e il solito Allen Iverson, uno che dell'abbigliamento trash ha fatto un marchio di fabbrica: addirittura il primo ha insinuato che si tratta di decisione ai limiti della discriminazione razziale, visto che secondo lui quasi il 100% dei giocatori neri indossano catene e ornamenti del genere, e quindi è un provvedimento ad personam.
"The Answer", come ci si poteva attendere ha contestato duramente questo nuovo dress code, che a suo parere limita la libertà d'espressione. Probabile che nel corso della stagione ne vedremo delle belle, tra lui e la NBA, dato il forte temperamento del Sixer, poco incline a sottostare all'autorità .
Non tutti la pensano così: ad esempio Ricky Davis e Grant Hill, da sempre elegantissimi fuori dal campo, non hanno fatto una piega.
"Credo che sia forte. Poi non cambia molto." – dice Davis - "I giocatori hanno bisogno solo di uscire un po' e comprarsi due vestiti decenti".
"A me non crea nessun problema" – gli fa eco Hill – "Io già vesto in questo modo. E credo che sia anche giusto nei confronti della Lega."
Altri tirano fuori questioni morali, rivendicando il diritto di esprimersi anche attraverso il look, e indicano il Commisioner come soppressore di diritti, mentre ancora altri credono che in fondo abbia solo richiesto un po' di serietà , come previsto dal suo ruolo.
Per molti atleti, comunque, va considerato il fatto che gli indumenti indossati hanno un significato di grande importanza; prima di tutto rispecchiano la personalità dell'individuo e trasmettono messaggi spesso più efficaci di 1000 parole. Di conseguenza, privarli della libertà di vestire a proprio piacimento, può anche essere visto come una parziale privazione del modo di comunicare.
Inoltre i giocatori contestano anche il fatto che a prendere questi provvedimenti non siano state le franchigie, direttamente, ma la NBA.
Ma osservando la vicenda dal punto di vista opposto, sono comprensibili anche le altre ragioni, quelle che la gran parte dei dipendenti NBA fanno fatica a digerire: ad esempio, Stern ha richiesto più serietà e più decoro, ricordando ai suoi stipendiati che il loro è un lavoro come un altro, e pertanto si devono attenere alle regole imposte dai superiori. Che siano di loro gradimento o meno.
Sostiene alla perfezione questa tesi anche Coach Zen, Phil Jackson, richiamato da pochi mesi alla guida dei Los Angeles Lakers, che dice:
"Era ora di finirla. E' da 5-6 anni che la gran parte dei giocatori indossa vestiti che sembrano da gangster. Appena usciti dalla galera."
Della stessa idea anche Stan Van Gundy, coach dei Miami Heat, che si dice divertito da questi provvedimenti, che impediranno agli atleti di portare in giro gioielli e strambi vestiti. Ma ammette anche la durezza del nuovo dress code, che secondo lui è molto più severo che nei normali uffici.
L'ala-centro, per tre volte MVP delle finali, Tim Duncan, riesce a capire solo in parte il codice; e dice: " Credo che siano arrivati tardi. Ormai il fenomeno è troppo radicato per tagliarlo. Secondo me hanno esagerato. Sto anche prendendo in esame la possibilità di rimanere nei spogliatogli quando non potrò giocare."
E in effetti, quello che ha detto il caraibico, può avere dei riscontri nella realtà . Se pensiamo, infatti, a quanta gente negli Stati Uniti e in Europa si è avvicinata a questo mondo proprio grazie ai suoi personaggi e quindi anche grazie al loro modo di vestire, si può ben comprendere che così facendo si taglia quell' aspetto che per anni è stato uno dei più grandi promotori della NBA nel mondo. L'abbigliamento trash-hip hop, cioè quello da ghetto.
Quale giovane tifoso non ha mai sognato di indossare le sneakers di Iverson o le catene di Rodman, in vita sua? Chi non ha mai sognato di imitare le gesta dei propri campioni anche fuori dal campo di gioco?
C'è addirittura anche chi pensa che il look da ghetto abbia contribuito ad accrescere anche la fama dei giocatori, che sono visti come i ribelli, quelli che che non si conformano alla massa.
Alcuni giocatori, come Marcus Camby, sono arrivati a chiedere alla NBA di pagar loro un indennizzo per l'acquisto di capi eleganti. Come risposta hanno avuto il silenzio che vale più di ogni altra parola.
Anche perché questa è, evidentemente, anche l'occasione d'oro per gli stilisti, che non hanno perduto tempo per cercare di accaparrarsi qualche cestista e convincerlo, a suon di milioni, di indossare le loro creazioni, con un evidente beneficio di immagine. Si può trovare una pubblicità migliore di quella che possono offrire gli atleti della NBA? Difficile crederlo. Quindi Camby può starsene tranquillo: non dovrà spendere un centesimo, anzi"
Ci sono, poi, quei giocatori che sono abbastanza sospettosi sulle reali intenzioni della Lega; Richard Jefferson, stella dei New Jersey Nets, ha rilasciato una dichiarazione in cui dice:
"Non credo che il reale obiettivo del Commisioner sia quello di farci vestire di tutto punto. E' come quando due parti stanno cercando un accordo: una fa una richiesta che sicuramente l'altra non accetterà , ma si incontreranno a metà strada. Insomma, credo che Stern abbia chiesto 100 per avere 50."
Resta tuttavia difficile poter dargli ragione, dato l'ormai conosciuto polso di ferro dell'avvocato, che raramente accetta di scendere a patto con i suoi dipendenti, ma nessuna ipotesi va esclusa.
Intanto sono uscite le prime fotografie, sotto il regime del dress code, che scherzo del destino hanno come protagonista proprio quel Ron Artest, l'elemento scatenante della arci-nota rissa contro i Pistons, e il più aspro dei contestatori di Stern in generale.
L'ala piccola degli Indiana Pacers, che ha saltato quasi tutta la passata stagione, non ha proprio ricominciato con il piede giusto, per uno che si deve far perdonare un po' di cose: infatti, approfittando di un'intervista di un noto magazine americano, non ha perso tempo per lanciare messaggi di guerra a destra e a manca, dicendo che lui questa stagione non se ne starà a bada, ma toccherà agli arbitri il duro compito di arginarlo. Come dire: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
In definitiva, una cosa è certa: Stern ci ha privato di uno degli argomenti più interessanti della Regular Season, quando le difese latitano ma fuori dal campo i giocatori si fanno sentire (e vedere), eccome!
D'altronde la NBA è sempre stata questo: spettacolo, in tutte le sue forme.