Il fisico imponente di D12 in entrata…
Obiettivi
Dopo la delusione dell'anno scorso, quando c'erano tutte le premesse per rivedere i Magic ai playoff dopo il naufragio dell'era McGrady, si riparte senza farsi troppe illusioni, ma forse lontano da quei riflettori che spesso più che dare impulsi positivi, finiscono per rovinare il giocattolo. Questa squadra ha uno dei lunghi più interessanti di tutta la Nba ed un backcourt molto esperto. Si tratta, come vedremo, di un roster per certi versi piuttosto anomalo, che se sarà pilotato nella maniera giusta potrà fare sicuramente delle buone cose.
Conference: Eastern Conference
Division: Southeast Division
ROSTER
NUM Player Role HT WT DOB COLLEGE YRS
2 Stacey Augmon F-G 6-8 203 08/01/1968 Nevada-LasVegas 14
4 Tony Battie C-F 6-11 240 02/11/1976 TexasTech 8
44 Ruben Boumtje-Boumtje C 7-0 255 05/20/1978 Georgetown 3
13 Kelvin Cato C 6-11 275 08/26/1974 IowaState 8
34 Travis Diener G 6-1 175 03/01/1982 Marquette R
5 Keyon Dooling G 6-3 190 05/08/1980 Missouri 5
3 Steve Francis G 6-3 200 02/21/1977 Maryland 6
8 Pat Garrity F 6-9 238 08/23/1976 NotreDame 7
33 Grant Hill F 6-8 225 10/05/1972 Duke 10
12 Dwight Howard F 6-11 250 12/08/1985 Christian Academy 1
41 Mario Kasun C 7-0 260 04/05/1980 Croatia 1
14 Jameer Nelson G 6-0 190 02/09/1982 Saint Joseph's 1
9 DeShawn Stevenson G 6-5 210 04/03/1981 Washington Union HS 5
15 Hedo Turkoglu G-F 6-10 220 03/19/1979 Turkey 5
Head Coach
Brian Hill (College – Kennedy College)
Assistant Coaches
Randy Ayers (College – Miami (OH))
Randy Wittman (College – Indiana)
Tom Sterner (College – Millersville State)
Assistant Coach For Player Development
Mark Bryant (College – Seton Hall)
Morlon Wiley (College – Long Beach State)
Assistant Coach and Strenght-And-Conditioning Coach
Mick Smith (College – Nebraska-Omaha)
Athletic Trainer
Ted Arzonico (College – Central Connecticut State)
[Probabile quintetto]
Playmaker – Jameer Nelson
Shooting Guard – Steve Francis
Small Forward – Grant Hill (Hedo Turkoglu)
Power Forward – Dwight Howard
Center – Kelvin Cato
Commento
L'uragano DeVos
La Florida è da sempre luogo di visita privilegiato per la maggior parte degli uragani che nei mesi estivi si abbattono sulle coste statunitensi. Difficile dire, fortunatamente soltanto in senso figurato, se ai tifosi dei Magic abbiano creato più dispiaceri questi devastanti eventi metereologici, o la tortura di avere alla presidenza i DeVos, che ormai fanno più notizia per i vari tentativi di costruire un'arena a Las Vegas, che non per i piani di rilancio della loro franchigia.
Quando, dopo anni di miserabili fallimenti, Weisbrod era riuscito ad azzeccarne una, scegliendo Dwight Howard nel draft 2004, è arrivato il suo tempo, si è fatto da parte ed ha lasciato lo scomodo testimone a Dave Twardzik e Otis Smith, i quali hanno letteralmente esordito col botto.
Nel giro di pochissimi mesi sono riusciti a cedere Cuttino Mobley, buon realizzatore e sopratutto migliore della stella Steve Francis, per un rudere come Doug Christie, autore di una dignitosissima carriera, ma da qualche tempo relegato a mere comparsate a causa dell'implacabile avvicinamento agli anta, ma soprattutto, rullo di tamburi, a pescare al draft 2005 uno che probabilmente con la maglia dei Magic non la indosserà mai: Fran Vazquez.
La promettente ala-pivot spagnola ha fatto sapere di apprezzare la cosa, ha ringraziato DeVos e soci del pensiero, e li ha sostanzialmente invitati a levare il disturbo, visto che vuole costruirsi una solida carriera in Europa.
Se il management dei Magic continuerà sulla scia di fesserie come queste, o di quella, stavolta l'autore è Weisbrod, di presumere un mezzo smantellamento della squadra per poi accorgersi che al momento di firmare l'assalto a Tim Duncan, il payroll si fermava a sei miseri milioni di dollari sotto il cap, allora i tifosi potranno cercarsi altri hobby, visto che nelle varie community e nei blog dedicati, in molti manifestano senza mezzi termini il dissenso per delle scelte francamente alluccinanti.
Se qualcuno vuole concedere ai Magic la scusante Grant Hill, giocatore ceduto per Ben Wallace ai Pistons e subito infortunatosi ad una caviglia, correrebbe il rischio di arrampicarsi soltanto sugli specchi, dal momento che l'ex stella di Duke è stata letteralmente rovinata dallo staff medico della franchigia.
La grande speranza nera
A dare qualche motivo di sorridere a Orlando non c'è soltanto Disneyworld. C'è anche un giovane bestione, che di lavoro fa l'ala grande Nba e all'anagrafe risponde al nome di Dwight Howard, D-12 per gli amici. Dopo una stagione da primo quintetto rookie, chiusa sorprendentemente in doppia cifra di media, come ottavo rimbalzista assoluto Nba, Dwight ha dimostrato di avere tutto il potenziale necessario per diventare a breve un all star.
L'anno scorso ha dimostrato di avere spesso problemi di falli, ed è proprio sotto questo aspetto che si dice abbia lavorato parecchio quest'estate. I mezzi offensivi ci sono nella misura dell'esplosività con cui è in grado di aggredire il canestro, quindi non un mostro di tecnica, ma una bestia ben difficile da ingabbiare.
Da questo punto di vista i suoi progressi saranno valutabili se i rifornitori di palloni dei Magic si ricorderanno di lui nell'arco dei 48 minuti, cosa che ad esempio l'anno scorso non avveniva quasi mai. Sulla scia di brevi ma importanti progressi, Howard può confermarsi come la cosa più vicina ad uno che in fondo è quasi un suo coetaneo, Amare Stoudemire, e rappresentare la vera pietra su cui verranno ricostruiti i nuovi Magic. Le garanzie sul suo conto ci sono. Ha etica lavorativa, non si concede particolari baldorie fuori dal campo. Anzi, ha fama di essere un ragazzo molto devoto.
Una curiosità . Nella stanza dei suoi genitori, con cui abitava sostanzialmente fino al giorno del Draft 2004, conserva ancora un crocifisso di legno, una stampa dei dieci comandamenti, ed un quadretto con i suoi comandamenti, personalissimi, per ricordare sempre i suoi principi e la volontà , giorno dopo giorno, di essere lo stesso Dwight Howard di sempre, umile, disponibile, ma con quel fuoco dentro che non gli preclude nessun punto di arrivo.
Stevie e i suoi amichetti
Sono in molti a ritenere che le sorti dei Magic anche nella lunga annata Nba che sta per cominciare, dipenderanno soprattutto dal rendimento di Steve Francis. Nella sua prima stagione in Florida, dove è arrivato con l'onere non indifferente di far dimenticare Tracy McGrady, ha avuto davvero due facce, probabilmente della stessa medaglia.
Una medaglia di materiale nobile, perchè in quanto a talento puro, Stevie è secondo ad un ammontare di giocatori che non arriva a contarsi sulle dita di un paio di mani. Una medaglia che più di una volta ha dimostrato dei rovesci piuttosto ignobili, sia sul piano del suo modo di rapportarsi all'interno della squadra, sia da un punto di vista puramente tecnico, con una tendenza a sparire davvero ingiustificabile per un giocatore di quella caratura.
Fino a quando è stato il vero Steve Francis, i Magic hanno viaggiato alla grande a ritmo di playoff. Appena la coppia Twardzik-Smith ha dato una prova tangibile della propria imbecillità in senso cestistico, regalando di fatto Cuttino Mobley ai Kings, Francis ha dimostrato tutta la propria immaturità mentale, iniziando a giocare al 50% delle sue possibilità , con conseguente crollo dei Magic verso le posizioni di oblio. Né playoff, né una scelta in lotteria talmente buona da giustificare un finale così negativo.
Un'altra incognita è rappresentata da Grant Hill, il giocatore con più classe della squadra, miracolosamente tornato quando ormai si disperava di avere sue notizie. Dopo il prodigioso intervento chirurgico con cui al Duke Hospital gli hanno letteralmente smontato e rimontato una caviglia, Grant è tornato a rendere giustizia a quei tifosi che per anni hanno pagato il biglietto dei Magic senza averlo mai a disposizione. La sua stagione, protrattasi su ottimi livelli, ci pone però dinnanzi a un bivio.
Cosa ne sarà di lui adesso? A 33 anni suonati cosa lo attende? Una stagione ancora migliore di quella dell'anno scorso con una meritata convocazione in quintetto all'All Star Game, oppure un'annata di qualità da sesto uomo, lanciando magari l'ottimo Hedo Turkoglu come titolare?
Gli altri dubbi riguardano un po' tutti i giocatori di questa squadra. Non ce n'è uno sul cui conto si possano di fatto sintetizzare delle certezze.
Il settore lunghi è imperniato su D-12, che sarà coadiuvato da Kelvin Cato e Tony Battie, due lunghi con una buona propensione al verticalismo, che per un motivo o per l'altro, non sono mai riusciiti ad imporsi. Cato per la scarsa etica lavorativa. Quando ha voglia ha dimostrato di essere secondo soltanto ai mostri sacri del ruolo, insomma, un lungo più che valido per le ambizioni attuali dei Magic. Battie continua a pagare un'obiettiva mancanza di talento e una propensione agli infortuni tale da rendere consigliabile il ricorso a qualche santone, magari quell'amico di Danny Ainge di cui si è tanto parlato quest'estate.
Jameer Nelson è uno di quei giocatori che a livello Ncaa ha messo d'accordo tutti: Naismith Award, Wooden Award, AP Award e chi più ne ha, più ne metta. Al piano di sopra il suono del campanello è evidentemente più basso, tant'è che diverse volte, quando Jameer ha suonato, non l'hanno proprio sentito. Partito con qualche buona prospettiva, ha finito la stagione a scaldare la panchina, mentre come titolare al suo posto partiva DeShawn Stevenson, autore peraltro di qualche bella sortita.
Nelson non ha doti di playmaking innate, è una sorta di Francis dei poveri insomma, almeno per ora, quindi dovrà darsi una disciplina tecnica non semplice, o cercare di riciclarsi in qualche modo come specialista. Prima di tutto gli serve un allenatore che gli dia fiducia, e quest'anno sulla panchina dei Magic siede un allenatore veramente speciale.
Il gradito ritorno di Brian Hill
Brian Hill è l'allenatore cui si legano i migliori ricordi della tuttora breve storia della franchigia. Prima di essere richiamato nel corso del mese di maggio, aveva avuto dei trascorsi dal 1990 al 1996, prima come assistente di Matt Guokas, poi come capo allenatore dello squadrone con i vari Shaq, Penny, Grant, 3D e. ahimè, Nick The Brick Anderson, le cui note imprese spenserò l'inerzia di una squadra che altrimenti avrebbe potuto anche dire la sua con i Rockets di Hakeem Olajuwon.
L'impressione più semplice da dedurre è che Hill e i Magic abbiano bisogno uno dell'altro. Il coach per lasciarsi alle spalle una serie non invidiabile di stagioni perdenti a Vancouver, che lo hanno costretto ad accettare ruoli da assistente, prima a New Orleans, poi ai Nets con Lawrence Frank. I Magic hanno bisogno di Hill per tanti motivi, non ultimo la cabala di affidarsi ad un tecnico che con loro vanta tuttoggi un 191-104 che tradotto in termini percentuali vale un 65% davvero invidiabile. Un tecnico i cui meriti vanno divisi con la presenza in squadra dei campioni prima citati, ma che non ha ottenuto quella continuità di rendimento per caso.
Oggi Brian Hill, a quasi 60 anni, si trova nel punto più importante di una carriera che lo ha visto per 17 anni anche sulle panchine collegiali di Lehigh e Penn State. Ha l'esperienza per gestire un gruppo molto difficile da decifrare, per certi episodi anche difficile da allenare.
Dalle sue intuizioni e dalla sua capacità di mettere ordine in una franchigia che a livello societario continua a prodursi in fesserie dipenderanno le prossime fortune dei Magic. I tifosi a questo punto meritano un riconoscimento alla costante passione profusa per le sorti di una squadra spesso addirittura vergognosa. Rimarranno delusi un'altra volta o la fede e, soprattutto , i mezzi materiali di cui dispone D-12 riusciranno a risvegliarli dallo stato di torpore in cui sono precipitati?