Miami: news dal ‘buen retiro’

Michael Finley è l'uomo che Miami considera fondamentale per completare il suo mosaico

Avete presente "Seinfeild", una delle sit com più riuscite dell'ultimo decennio? I genitori del protagonista, un comico da club della New York dei colletti bianchi, ad un certo punto decidono di far su armi e bagagli e trasferirsi in Florida . Il padre, da quel giorno indossa perennemente una di quelle camicie sgargianti e "vacanziere" che valsero a Little Steven l'appellativo di "Miami Steve" e la loro vita diviene sole, mare e perenne vacanza.

Chi vive in questo scenario, o chi c'è stato anche solo per un certo periodo, capisce bene perché la gente non abbia tutta questa voglia di andare a vedere la partita e gli Heat; abbiamo notato tutti che una larga fetta degli spettatori presenti per la premiere annuale contro Cleveland, nel corso dei playoffs andava al palazzo vestiti da seggiolino vuoto. Difficile quindi che il centro più in vista della Florida, opulenta e conservatice, si smuova troppo per un Jason Williams o un Antoine Walker. In quest'ultimi giorni d'estate Katrina la fa da padrona, con la sua minaccia di trasformarsi da tempesta tropicale in uragano con annesse innondazioni.

In altri luoghi della Nba certe vicende verrebbero prese molto più sul serio; non sappiamo se i giocatori degli Heat conoscono "Seinfeld", di certo hanno pianificato di trascorrere la loro vecchiaia, cestistica per carità , a libro paga della franchigia biancorossa. Shaquille O'Neal, appena firmato il faraonico contratto da 100 milioni di dollari che lo accompagnerà  fino ai 38 anni, ha parlato della felicità  di "poter "fermare la famiglia in un posto dove è bello vivere." Antoine Walker aveva previsto di rimanere al fianco del grande Aristotele fino ai 36 anni ma gli ultimi due se li dovrà  guadagnare dopo che i medici di Miami hanno visto qualcosa di "sospetto" nelle cartilagini del ginocchio.

Ecco perché, a dispetto di un Dwyane Wade che è ancora nella fase ascendente della sua parabola, questa squadra dovrà  darsi da fare per vincere in tempi brevi. Per essere più sicuri di farlo Pat Riley e Stan Van Gundy sono volati fino a Chicago per incontrare Michael Finley. L'ex stella in esubero dei Dallas Mavs sta vagliando ogni possibilità . Se è vero che, come da lui stesso dichiarato, Mike vuole giocare "in una squadra competitiva che mi paga per quello che valgo" Miami è al primo posto con i 5.5 milioni di dollari che può offrire. Phoenix, non a caso altro buen ritiro per malati d'asma, si deve fermare a 1.1 milione. Dalla decisione del chicagoano dipende anche il destino di Damon Jones che ha un'offerta di 3.7 milioni dollari per un anno dai Cavs e pare che abbia incassato il no di O'Neal alla richiesta di perorare la sua causa contrattuale nei confronti del front office.

L'incognita vera nella corsa e Finley è San Antonio perché è l'unica squadra che può mettere sul piatto della bilancia un titolo, ora che Detroit ha deciso di rafforzare la front line con Dale Davis e punta a Maurice Evans come cambio di Prince, e perché RC Buford negli utlimi anni ha dimostrato doti di convincimento al di fuori del normale. Poco importa, evidentemente, che nello scambio dell'estate per il ruolo di ala piccola sia arrivato James Posey e che, fatto ancora più rilevante, con Williams, Wade, Walker e O'Neal già  ci si debba mettere d'accordo per il possesso dell'unico pallone disponibile.

Qualche voce di dissenso, tra chi ha parlato di "versione povera dello show time" e chi, più semplicemente, ha ricordato il difficile lavoro di assemblaggio cui Stan Van Gundy è atteso, è già  arrivata.
Stan Van Gundy appunto, l'allenatore che ha portato la squadra a una partita dalla finale Nba e che, come unica colpa, ha quella di ritrovarsi Pat Riley come capo. Di sicuro sull'aereo della squadra i due non avranno parlato delle prospettive del fratello di Jeff per la prossima stagione; anche perché la questione s'è protratta a lungo nella prima parte dell'estate e l'ex allenatore di Los Angeles e New York s'è mostrato meno sicuro del previsto a proposito della riconferma del suo coach.

Brutta razza questi general manager venuti dalla panchina, sempre indecisi se ritonare sulla linea che delimita il "fallo laterale": Danny Ainge e Isiah Thomas hanno già  percorso quella strada, affidandosi poi a due coach, Brown e Rivers, al di sopra d'ogni sospetto. Riley non sembra esser così sicuro, non tanto del valore di VG, quanto di non voler più allenare. Shaq è intervenuto assicurando il valore di "un grande coach, l'unico per cui io voglia giocare." Probabilmente è sincero perché, come Dale Harris può testimoniare, l'ex LSU non le ha mai mandate a dire.

Più sommesse sono state le sue rimostranze, seguite all'uscita di scena nella finale di conference, per aver ricevuto pochi palloni; O'Neal sa bene di non essere arrivato alla fine in buone condizioni a causa dell'infortunio alla coscia. I due avevano polemizzato a lungo durante la stagione regolare, proprio sull'atteggiamento da tenere nel corso delle 82 partite. La sensazione rimane quella di un Riley che potrebbe, come da lui stesso ammesso, sfilare, per un qualsivoglia motivo, la sedia da sotto il sedere del coach.

"Sarebbe come - ha dichiarato in tempi non sospetti - licenziare mio fratello ma lo farei per il bene dell'organizzazione." Il fratello di Larry Brown sa bene che non sarebbe l'unico. L'entourage dell'ex Lakers conferma che "la sua voglia d'allenare è latente, da qualche parte, ma c'è". Per questo motivo solo 13 mesi fa era volato da costa a costa per sentire le proposte di Mich Kupchack.

Questa premessa, che può essere accademica, non è rassicurante per un coach che avrà  a che fare con "outsanding figures", personalità  sopra la media: Van Gundy avrà  bisogno del pieno sostegno della franchigia per parlare con il Jason Williams della situazione alla prima magagna.

Un coach "ad interim" non dal punto di vista contrattuale, ma nella considerazione del suo diretto superiore, con una ridotta considerazione da parte dei giocatori sarebbe una sventura nel caso la stagione non partisse con il ritmo che tutti si augurano.

"Non voglio tra una decina d'anni, dovermi voltare e pensare cosa sarebbe successo se avessi continuato a giocare"; per questo motivo Alonzo Mourning è rimasto in forze alla squadra. Il giocatore sostiene di avere la benedizione della famiglia, anche se la moglie negli ultimi giorni dell'avventura di Zo ai Nets non nascose una certa preoccupazione sulle condizioni del marito. Di più: Mourning è convinto di poter essere più utile, essendo con la squadra dall'inizio. Lo aspettano 82 partite con un ruolo da comprimario in cuipotrebbe essere il secondo cambio dei lunghi dopo Haslem; anche se la necessità  di risparmiare O'Neal gli darà  un mano.

Il punto è proprio quello: 5 mesi, da novembre ad aprile, sono lunghi da passare. La spinta dell'inizio sarà  enorme; ma, che le cose vadano bene o male, i problemi potrebbero nascere in quelle fasi intermedie della stagione in cui si è già  ottenuto un traguardo e la post season è ancora lontana.

L'anno scorso Miami si assicurò il vantaggio del fattore campo con largo anticipo. Quest'anno potrebbe essere un problema che sarà  la cartina di tornasole della maturità  e della mentalità  del nuovo gruppo. Nel frattempo nella zona a mare si pensa ad altro, bisogna decidere se barricarsi oppure no: Katrina è alle porte.

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