Larry e Gregg

Brown e Popovich ad Atene questa estate…

San Antonio, Texas. Gara-7 delle finali NBA è finita da non più di un minuto.

Hanno vinto gli Spurs; in campo si festeggia, si piange, ci si rammarica per quello che poteva essere, e che invece non è stato, ma se noi spostiamo lo sguardo di pochi metri vediamo che ancora ci sono due figure, che hanno mantenuto fin qui un atteggiamento sobrio e pacato, forse le uniche in tutto l'SBC CENTER: sono Gregg Popovich e Larry Brown, i due coach, rispettivamente di San Antonio e Detroit, i quali dopo una partita e una serie in genere, così tirata e tesa, ti aspetteresti, che si salutassero a malapena, per via dell'adrenalina che ancora scorre loro in corpo, ma questi due non sono due qualunque: sono amici per la pelle da tempo immemorabile, sono due che mettono l'amicizia prima di qualunque altra cosa.

Il loro rapporto non è solo di tipo professionale, ma sconfina largamente anche nel campo umano; non è raro, infatti, vederli insieme al ristorante a parlare di tutto fuorché di pallacanestro, la quale non deve invadere anche la vita privata, che già  di per sè è ristretta, e non è nemmeno raro vederli a scherzare tra di loro alla vigilia di scontri diretti anche molto importanti come quest'ultimo, sembrando perfetta gente comune, sicuramente non gravata dalle loro responsabilità .

Non sono affatto come tutti gli altri.E neanche ci vanno vicino. Di solito il protocollo NBA si accontenta di una semplice stretta di mano tra i due allenatori, ma questa volta Brown e Popovich hanno fatto di più: infatti per rimarcare il già  solido affetto reciproco, si sono abbracciati fraternamente, e scambiati delle sincere parole, che con tutta probabilità  non sapremo mai, ma che possiamo solo immaginarci.

E' un vero rapporto di amicizia questo, come se ne vedono pochi davvero, che li porta quasi a rammaricarsi, se la vittoria di uno deve necessariamente comportare la sconfitta dell'altro, soprattutto a questi livelli. Questa comunque è solo una sfaccettatura del confronto tra Popovich e Brown, che vive molto anche sul piano tecnico/tattico, dove i due sono probabilmente i migliori al mondo e dove abbiamo potuto osservare autentici capolavori, durante le finali: é apparso subito chiaro che i Pistons non disponevano nel loro roster di penetratori del livello di Ginobili e Parker, anche perchè Billups che probabilmente è l'unico di Detroit a possedere queste caratteristiche, è stato alquanto discontinuo, e che quindi, considerando anche il fatto che l'opzione da tre punti dà  l'orticaria solo a sentirla nominare a Larry Brown, restava la pur sempre valida scelta di andare dentro per gli Wallace e Mc Dyess che, il più delle volte, se non ostacolati dalla situazione falli, rispondevano prontamente ad ogni chiamata, e di fatto è a loro che bisogna ringraziare se si ha avuto una gara-7.

A mio parere la chiave della serie è stato il fatto che Popovich, a differenza del suo maestro e collega Brown, si è adeguato lui alla squadra e non ha fatto adeguare a lui la squadra, sfruttando così tutta la potenzialità  dal perimetro dei suoi giocatori.

Se noi, comunque, vogliamo trovare a tutti i costi delle imperfezioni in partite giocate meravigliosamente, queste vanno ricercate in gara-2 per i Pistons e proprio in gara-7 per quanto riguarda gli Spurs: infatti la squadra del Michigan nel secondo confronto è andata letteralmente in tilt, dal momento che se difendevano meglio in vernice, venivano bastonati dal perimetro e se prestavano più attenzione alla linea dei tre punti non riuscivano a contenere le penetrazioni degli esterni texani.

Invece il periodo più nero per San Antonio in difesa è stato probabilmente a metà  dell'ultimo confronto, quando hanno sbagliato tre rotazioni difensive consecutive lasciando completamente libero sotto canestro Ben Wallace per altrettanti canestri. Si può comunque dire che abbia vinto la squadra che più lo ha meritato, anche se piange il cuore a chiamare sconfitta Detroit, che non ci dimentichiamo ha vinto il titolo appena l'anno passato e quest'anno è arrivata ad un passo dalla riconferma.

In più, io reputo assolutamente possibile il fatto che questa squadra possa tranquillamente competere per il successo finale, anche gli anni a venire, con o senza Brown, il quale ha il futuro tutt'altro che già  scritto, e purtroppo non per motivi tecnici o contrattuali, ma per cause di natura strettamente medica.

E' infatti risaputo che in questi giorni l'allenatore dei Pistons si sta sottoponendo a importanti controlli medici, i quali ci diranno se il prossimo anno potremo rivedere i due amici per la pelle a sfidarsi ancora, magari di nuovo in finale, e poter finalmente capire se l'allievo ha effettivamente superato il maestro o se i gradi sono rimasti invariati.

I due sono entrambi della vecchia scuola, Brown ancor più che Popovich, e si sono formati con sacrificio, forti di un carattere che gli permette di gestire al meglio lo spogliatoio, forse uno dei compiti più ardui per un coach, carattere che nel caso di Gregg è di stampo addirittura militare, infatti non va dimenticato che lui ha prestato servizio per diversi anni nell'esercito, ed ancora oggi, talvolta, affiora quella sua aria da sergente di ferro che quasi incute timore ai giocatori.

E chissà  se il maestro si è pentito di aver insegnato tutti i suoi segreti professionali all'allievo, visto come sono andate le cose, e se ora avrebbe preferito tenersi per sè qualcosa, da usare proprio contro il suo delfino. I due coach, hanno vissuto insieme anche delle esperienze, più o meno esaltanti, come per esempio quella a San Antonio sul finire degli anni '80 e quella più recente, di questa estate alle Olimpiadi di Atene, dove l'ormai ex-dream team ha subito una delle delusioni più cocenti, riuscendo a portar a casa soltanto una medaglia di bronzo, che se confrontata con le aspettative della vigilia, equivale all'incirca a niente.

La nazionale americana, infatti, capeggiata da Larry Brown, coadiuvato dal solito Popovich, era partita come sempre con quell'aria arrogante, sicura di dover fare una passeggiata, ma invece si è trovata di fronte nazionali ben più motivate e umili, che l'hanno costretta al gradino più basso del podio.

Molte sono anche le cose che hanno in comune, come ad esempio il fatto che evitano il più possibile di esporsi al pubblico, e preferiscono starsene per i fatti loro: basti pensare che quando il tecnico dei texani, è stato chiamato per guidare l'ovest all'All-star-game, invece di felicitarsene, si ne è dispiaciuto, essendo stato costretto a rinunciare al week-end enologo a San Diego, da tempo programmato.

Ora non ci resta che ringraziarli per lo spettacolo offerto e sperare che nei prossimi anni questa sfida si ripeta per la gioia dei nostri occhi. Attenderemo dunque con pazienza la prossima stagione, che tra soli quattro mesi ricomincerà  da capo, pronta a regalarci nuove ed inaudite emozioni. Con Larry e Gregg, ovviamente.

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