Il Signore degli Anelli…Nba

Robert Horry ed il Larry O'Brien Trophy: li vediamo assieme per la sesta volta…

Il titolo dei San Antonio Spurs del 2005 ha diversi padri, diversi giocatori che hanno dato un prezioso contributo: Tim Duncan è stato il condottiero, Ginobili il giocatore decisivo, Bowen il difensore tenace che non permette al diretto avversario di giocare.

Oltre a loro, si è distinto un giocatore che ha il vizio di scomparire dalle partite per poi venire fuori nel momento decisivo, come testimoniano diverse sue prestazioni nei playoffs sin dagli inizi di carriera, un giocatore che con i suoi tiri mortiferi dalla distanza ha infranto diversi sogni di gloria degli avversari, aiutando gente come Shaquille O'Neal, Kobe Bryant, Hakeem Olajuwon e Clyde Drexler a vincere l'agognato titolo Nba.

Robert Horry, grazie alla vittoria della serie contro i Pistons, può vantarsi di avere 6 anelli di Campione Nba nella sua collezione e di aver partecipato 13 volte ai playoffs in altrettanti anni di carriera.
I titoli che ha conquistato non li ha vinti certo da protagonista assoluto, non è quello infatti il suo ruolo, ma di sicuro li ha vinti da giocatore decisivo, quello il cui tiro-killer allo scadere ha fatto sempre la differenza in bene per la sua squadra, quello le cui serie difensive che arrivano dopo imbarazzanti giocate sempre dello stesso individuo sono determinanti per fermare l'avversario più pericoloso sul parquet, volgendo spesso il risultato a favore dei suoi colori.

I 6 anelli vinti lo mettono ora sullo stesso piano di Michael Jordan, che ha addirittura superato per numero di triple segnate in Finale, di Scottie Pippen, di Kareem Abdul Jabbar, con la differenza che lui ha vinto con tre maglie diverse, ma per scoprire come li ha vinti, non possiamo che fare alcuni passi indietro"

Horry, nativo del Maryland, giocò ad Alabama al college partendo come un giocatore dinamico, veloce, e con un'altezza davvero interessante (2.08) che fece propendere il coaching staff nell'utilizzarlo perlopiù come centro nei quattro anni di permanenza.

Nel draft del 1992 venne selezionato al n. 11 assoluto dagli Houston Rockets dopo aver tenuto una media di 15.8 punti ed 8.5 rimbalzi nell'ultimo anno di università  e dopo accurate ricerche su di lui fatte da Rudy Tomjanovich, allora coach dei Razzi, al quale piacevano molto le sue doti di tiratore perimetrale e di rimbalzista, abbinate ad un'altezza intrigante.

Dopo un'annata da rookie più che positiva, terminata con la conquista del quintetto base come ala piccola, il secondo anno cominciò nel migliore dei modi con Houston a pareggiare il record Nba di vittorie consecutive per iniziare un campionato e presto proiettati a combattere per i vertici della lega dopo aver perduto in 7 gare con i Sonics nei playoffs dell'anno precedente.
Tomjanovich però, non soddisfatto della riluttanza del giocatore a prendersi tiri e responsabilità , desiderava portare in squadra un secondo realizzatore da affiancare ad Olajuwon e per questo diede il benestare per lo scambio che vide il suo trasferimento a Detroit in cambio di Sean Elliott.
Le visite mediche furono però fallite da quest'ultimo ed Horry dovette tornare a Houston e cominciare a giocare in maniera più aggressiva, promettendo a se stesso che non avrebbe mai più pensato a quello scambio e che avrebbe messo nel suo armadietto la maglia che i Pistons gli avevano fabbricato, come motivazione per giocare sempre meglio.

Quella stagione finì nel migliore dei modi: Robert cominciò ad avere una grande fiducia nei suoi mezzi ed aiutò Houston a sconfiggere i Phoenix Suns in una rocambolesca serie che sembrava persa, Utah nella finale di Conference e quindi i New York Knicks nella finalissima del 1994.
Marcò Charles Barkley, Karl Malone, Charles Smith ed Anthony Mason ed infilò tiri dala distanza importanti, tenendo questi stessi avversari lontano da canestro proprio per la sua aumentata pericolosità , pur senza segnalare grandi cifre statistiche.

L'anno successivo i Rockets giocarono peggio del previsto in regular season, salvo redimersi in parte con l'arrivo di Clyde Drexler da Portland per Otis Thorpe: i Blazers avevano insistito per avere proprio Horry, ma Houston rispose sempre picche.
Ancora una volta Robert si scaldò nei playoffs: dopo aver superato il primo turno i Rockets si ritrovarono ancora Barkley e Phoenix sulla strada ed andarono in svantaggio nella serie fino ad arrivare ad un passo dall'eliminazione; in gara 5, decisiva nell'economia di quella serie, Horry segnò il canestro che decise la partita e si ripetè nella prima gara della finale di Conference contro gli Spurs, infilando il canestro della vittoria dopo 6 errori al tiro consecutivi.
Nelle finali del '95 contro i Magic diede il meglio di sé: chiuse gara 1 con 19 punti, 8 rimbalzi e 5 stoppate, gara 2 con 10 punti, 11 rimbalzi e 7 recuperi, gara 3 con 20 punti e 9 rimbalzi (e la tripla decisiva con 14 secondi da giocare), e gara 4, quella del secondo titolo, con 21 punti e 13 rimbalzi. Oltre ai numeri Horry diede molto ancora in difesa, tenendo a bada nuovamente Barkley, poi Rodman e quindi Horace Grant, tutti in difficoltà  nel seguirlo sul perimetro per impedirgli di mettere le sue bombe con continuità . Questo aspetto lo rese un'ala grande atipica, caratteristica che si porta dietro tutt'ora e se non fosse stato per la grandezza di Olajuwon, nessuno avrebbe avuto da ridire se avesse vinto il premio di Mvp per la serie finale.

Dopo una stagione terminata con un sonoro 4-0 ed eliminazione per mano dei Sonics, Houston decise che era ora di provare a rivincere subito: Horry fu inserito nello scambio che portò Charles Barkley ai Rockets assieme a Sam Cassell prendendo la strada per Phoenix: in Arizona non si trovò mai bene per varie motivazioni e dopo aver tirato un asciugamano in faccia a coach Ainge fu spedito, nel gennaio dello stesso campionato, ai Lakers in cambio di Cedric Ceballos.

I Lakers raggiunsero la prima di tre finali consecutive nel 2000, di fronte gli Indiana Pacers di Larry Bird, e per arrivarvi sconfissero i Portland Trailblazers in una memorabile gara 7 rimontando 15 punti a 10 minuti dal termine: in quella gara, Horry segnò la tripla del -5 a 7 minuti dal termine e contribuì in difesa facendo restare i Blazers a 75 per un'eternità .

In Finale, che i Lakers si aggiudicarono per 4-2, Horry difese egregiamente su Austin Croshere, vera sorpresa di quella serie, e si fece trovare pronto, appostato sul perimetro, sugli scarichi su raddoppio di Shaq mettendo in difficoltà  i Pacers che avrebbero dovuto togliere un lungo dalla lotta a rimbalzo per marcarlo. Con la discontinuità  che lo ha sempre contraddistinto, Horry alternò momenti esaltanti ad altri di pieno sonno agonistico all'interno della stessa partita, se non dello stesso quarto, ma quando i suoi tiri dalla distanza andavano dentro, nessuno poteva dire nulla.

Non essendo più la terza (se non seconda) opzione offensiva com'era invece a Houston, si accontentò di raccogliere le briciole di Shaq e Kobe ed in 6 partite segnò 55 punti complessivi con un massimo di 17 in gara 4 finita ai supplementari, segnando 22 dei 43 tiri tentati e prendendo 31 rimbalzi.

L'importanza tattica del giocatore salì di anno in anno dentro al sistema dei gialloviola: nei playoffs del 2001 i Lakers affrontarono i Kings affondandoli letteralmente, ma fu proprio Horry a dare alla sua squadra l'inerzia giusta. In gara 3, nel minuto finale e con il punteggio vicinissimo, arrivò dal nulla per stoppare la conclusione di Hedo Turkoglu e segnò 4 tiri liberi su 4 per saldare la vittoria che diede il 3-0 nella serie ai Lakers e la tranquillità  di affrontare gara 4 con questo vantaggio.

In Finale, contro Iverson e i 76ers, giocò da assenteista gara 1 (3 punti e 4 rimbalzi e sconfitta Lakers), migliorò in gara 2 (8 punti e 7 rimbalzi) ed esplose tra gara 3 e 4.
Nel finale di gara 3 giocò 47 secondi da assoluto protagonista: sul 89-88 per i Lakers si prese la responsabilità  di scagliare e mettere a segno la tripla del +4 e non contento trasformò i 4 liberi tentati di lì a fine gara arrivando a segnare 7 punti in meno di un minuto e chiudendo con 15 punti e 7 rimbalzi con 3/3 dalla distanza. Un particolare: con 3 minuti da giocare Shaq era uscito per falli ed Horry si trovò a dover marcare Dikembe Mutombo per il resto del match.

Gara 4 e 5 lo videro segnare rispettivamente 9 e 7 punti, non cifre da capogiro, ma il suo 6/6 da tre punti a cavallo di gara 3 e 4 aveva già  lasciato una traccia pesante sull'esito della serie, che finì 4-1 determinando il titolo n. 4 della sua bacheca personale.

L'anno seguente fu quello del three-peat per i Lakers: la vera battaglia fu la finale della Western Conference, un vero e proprio duello al sole ancora tra Lakers e Kings, la vera finale per il titolo.
Con i Kings avanti nella serie per 2-1 i Lakers si giocarono la sopravvivenza nei playoffs con il rocambolesco finale di gara 4: con i Kings sopra di un punto Vlade Divac, nella tonnara creatasi nell'area di Sacramento, smanacciò il pallone più distante possibile dal canestro commettendo l'involontario errore di metterlo in mano a Big Shot Rob: il risultato fu la tripla che vinse gara 4 per i Lakers e la consapevolezza che se Sacramento avesse vinto quella partita sarebbe andata sicuramente in Finale al posto dei Lakers.

L'epica gara 7 riservò emozioni ancora maggiori: con le due squadre a scambiarsi canestri, ad 1:25 dal termine Horry mise ancora una tripla che diede il +2 ai Lakers in una gara che i gialloviola vinsero poi all'overtime; quel tiro non fu decisivo, ma quando la pressione salì (ed in una partita del genere era altissima) Robert rispose presente.

La finale contro i Nets fu una passeggiata per i Lakers, che vinsero con il cappotto portando a casa il terzo titolo in tre anni, il quinto della carriera di Horry, che si distinse nuovamente per apparire e scomparire nell'ambito della stessa azione e per le sue triple mortifere capaci di demoralizzare qualsiasi avversario per tempi e modi in cui venivano segnate.

Mese di giugno 2005: Horry, trasferitosi in Texas per stare vicino anche alla figlia (che ha una deformazione alla gola ed ha bisogno di cure costanti) è in forza ai San Antonio Spurs già  da una stagione e le Finali sono nuovamente il suo territorio fertile.

L'ultimo episodio di gara 5 è ancora bene impresso nelle menti degli appassionati di basket Nba: dopo aver fallito diverse conclusioni che avrebbero portato la vittoria, i Pistons si organizzano per l'ultima rimessa e Rasheed Wallace esce su Ginobili per andare a raddoppiarlo; Horry, appostato come un falco dietro la linea da tre punti, riceve lo scarico di Manu ed infila l'ennesima tripla decisiva della sua carriera in un momento topico di una partita importante dopo aver giocato un quarto periodo straordinario dopo un primo tempo nullo.

La sua partita termina con 21 punti a referto, 5/6 da tre punti, 7 rimbalzi catturati ed una sonante schiacciata in penetrazione nel quarto periodo.

Dopo avere alternato momenti imbarazzanti soprattutto nelle due sconfitte di Detroit a momenti di pura lucidità  cestistica, in gara 7 mette la ciliegina sulla torta prendendo, nel quarto periodo, uno sfondamento sul classico "curl" di Rip Hamilton che se presa nel contesto di quella partita è risultata una giocata destabilizzante per il ferreo morale dei Pistons.

Le sue Finali di quest'anno saranno anche ricordate per i palloni sporcati, per le giocate difensive, per le stoppate, per tutto quello che Horry fa in momenti particolari della partita e che non va in nessun box score.
E sì, saranno ricordate anche per quei momenti in cui Popovich lo ha visto smarrirsi ed è stato costretto a toglierlo dal campo puntando su un Mohammed che calava di partita in partita, per tutti in quei momenti in cui stava fermo a guardare un avversario penetrare a canestro o bruciarlo in partenza senza che lui se ne preoccupasse troppo.

D'altra parte Robert Horry è così: prendere o lasciare. Chiamatelo come volete, Big Shot Rob o Horryble: in qualunque delle due versioni si presentasse, noi gli affideremmo sempre il tiro da cui dipende un campionato e poi ci godremmo quel suo sorrisone con il quale, di tanto in tanto, si prende gioco di tutti noi.

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