Reggie Miller History

Lo sguardo da 'Killer' di 'Killer Miller' !!

Reginald Wayne Miller nasce 24 Agosto 1965 a Riverside, California, nei pressi di Los Angeles. Reggie, come verrà  poi chiamato da tutti, fa parte di una famiglia numerosa con cinque figli (tre maschie e due femmine) di Saul e Carrie Miller, ma a differenza degli altri quattro fratelli, nasce con un problema alle ginocchia e alle caviglie. I medici, dopo averlo esaminato, annunciano che sicuramente per i primi anni di vita sara' obbligato a portare dei sostegni alle gambe, come quelli di Forrest Gump per intenderci, e quindi gli vengono praticamente inibite tutte le attivita' sportive, compreso il semplice correre con gli amici.

Nonostante i quattro anni trascorsi con questi sostegni, i dottori, malgrado l'evidente miglioramento, non se la sentono ancora di sciogliere la prognosi e continuano ad essere dubbiosi sul futuro di questo ragazzino tutto pelle e ossa. In effetti, da sempre la famiglia Miller è stata in contatto con il mondo dello sport: Cheryl, la sorella, fin da piccola si innamora della palla canestro e trascorre buona parte delle sue giornate ad allenarsi: addirittura arriva a far registrare 105 punti in una partita di High School; nel 1984 conquista la medaglia d'oro con la Nazionale USA alle Olimpiadi e a tutt'oggi viene considerata come una fra le migliori giocatrici di basket provenienti dalla California.

Darrell, uno dei due fratelli, si dedica al baseball, arrivando a giocare anche un paio di annate nella Major League; Tammy, la seconda sorella, ha prticato il volley con buoni risultati. All'eta di cinque anni Reggie, stufo di starsene chiuso a casa, decise di iniziare ad allenarsi un po' con i suoi fratelli e dopo circaun anno i sostegni alle gambe diventano inutili, perchè i suoi muscoli e le sue ossa si irrobustiscono naturalmente e sono ora in grado di sostenere il suo peso.

Reggie, seguendo le orme del fratello, si dedica in un primo momento al baseball con buoni risultati: all'eta' di 12 anni, in una lega minore, fa registrare una media di oltre il 50% di battute. Nessuno fino ad allora era riuscito in tale impresa.

Il passaggio al basket avviene solo al suo ingresso alla Riverside Polytechinic High School. Grazie anche allo sviluppo senso motorio dedovuto alla pratica del baseball in questo periodo Reggie dimostra da subito la sua abilità  nel tiro da oltre l'arco: quando si reca al campetto, tuttavia, viene ancora continuamente stoppato dalla sorella Cherlyl e dalle sua amiche e quindi, per evitare questa umiliazione, inizia a tirare dalla distanza dando alla palla quella parabola arcuata che ancora oggi caratterizza i suoi straordinari tiri ed a sviluppare l'abilità  nello smarcarsi senza palla per tirare da libero.

Terminata la Riverside High ha già  una certa notorietà  come buon prospetto a livello locale, ma a livello nazionale il suo nome è ancora totalmente sconosciuto, anche perchè i pochi scout che si erano interessati a lui, l'avevano liquidato come "troppo magro per poter realmente lottare in una partita di pallacanestro".

Tuttavia, lui non perde il suo grande sogno di andare a giocare per UCLA. Questo prestigioso College, come tutti quelli di Division One, puntava a dare le proprie borse di studio a giocatori già  riconosciuti a livello nazionale, così da poter consolidare la propria immagine. Tuttavia, quell'anno la fortuna diede una mano a Reggie, dato che tutti gli highschooler più interessanti non accolsero le lusinghe della Univesity of California Los Angeles, che ripiegò così sullo "smilzo locale”.

Miller trascorre buona parte del primo anno ad apprendere in modo completo i fondamentali e ad ambientarsi nella nuova Lega. Complessivamente conclude la stagione 1983-84 con una media di 4.6 punti, 50.9% dal campo e 1.5 rimbalzi, ma già  dall'annata successiva quello che era sembrato un ripiego si rivela una benedizione per UCLA: Miller passa a ben 15.2 punti a partita, con l'80.4% ai liberi, il 55.3% dal campo, 4.3 rimbalzi e 2.6 assists ad allacciata di scarpe.

Da junior, al terzo anno di Università , Reggie continua a trascinare la squadra e le sue cifre lievitano ancora: 25.9 punti, 55.6% dal campo, 88.2 % dai liberi, 5.3 rimbalzi e 2.4 assists sono i numeri collezionati in 29 partite in cui fa registrare anche una media di 38.3 minuti giocati, che la dicono lunga sulla sua importanza per il team ed a discapito di chi lo aveva considerato "troppo magro per poter davvero competere ad alti livelli".

Avviene poi un altro colpo di fortuna insperato per Reggie: prima della stagione 1986/87, il College Basketball decide di applicare il tiro dalla lunga distanza con la conseguente introduzione dell'arco dei tre punti. Reggie, in quella che per lui è l'ultima stagione ad UCLA, trasforma il suo essere una "benedizione" in una vera e propria "leggenda" con medie di 22.2 punti, con il 54.3% dal campo, l'83.2% ai liberi, ed il 46.9 % da oltre l'arco, 5.4 rimbalzi e 2.2 assists a partita, concludendo come secondo realizzatore di sempre nella storia dell'Ateneo (complessivamente 2095 punti in quattro anni). Meglio di lui, ad occupare il primo posto di realizzatore di UCLA, era riuscito a fare solo un certo Lew Alcindor (poi conosciuto come Kareem Abdul-Jabbar).

Con questi numeri avrebbe dovuto avere ogni garanzia di una chiamata al primo giro nel Draft del 1987, ma ancora una volta Miller finisce in una squadra dove è costretto a dover affrontare lo scetticismo nei suoi confronti a causa della sua struttura fisica.

Viene chiamato infatti soltanto con l'undicesima scelta assoluta dai Pacers, che chiudono di fatto la porta in faccia a Steve Ford, ovvero al giocatore di College più quotato al Draft e proveniente da Indianapolis. Una scelta del genere avrebbe sicuramente scandalizzato molti presunti intenditori di basket, ma soprattutto l'Indiana, la "patria del basket", dove è nato Larry Bird e dove tutti amano la pallacanestro e seguono attentamente le sue vicende. Arrivano perciò critiche pesanti verso la dirigenza della squadra, accusata di aver puntato sull'uomo sbagliato e Miller viene accolto nel piu' freddo dei modi.

Tuttavia, nella sua annata da rookie, 87-88, Reggie polverizza il record di triple messo a segno da un giocatore al primo anno nella Lega, che era stato scritto circa 8 anni prima niente popodimeno che da un eroe locale come Larry Bird, facendo registrare ben 61 tiri dalla lunga distanza e complessivamente una media di 10 punti, col 48.8% dal campo, 35.5% da oltre l'arco, l'80.1% ai liberi, 2.3 rimbalzi e 1.6 assists in 82 partite giocate, con 22.1 minuti di utilizzo a serata.

La stagione seguente prosegue la sua ascesa, passando a 16 punti, migliorando la percentuale da tre con il 40.2% e dalla lunetta con l'84.4%, al contempo dimostrando di essere un uomo-squadra, incrementando gli assists e i rimbalzi, rispettivamente 3.1 e 3.9. Concluse la stagione anche con 1.26 palle recuperate.

Nonostante queste cifre, e l'inserzione nel secondo miglior quintetto dei Rookie del 1987-88, parecchi tifosi ed opinionisti dell'Indiana continuano ad essere scettici e critici nei suoi confronti. Reginald, come al solito, trascorre l'estate a lavorare duro sui fondamentali e nella stagione 1989-90 si presenta al training-camp in ottima forma. Alla fine dell'anno aviene la metamorfosi e Reggie è ormai diventato indiscutibilmente "l'eroe di tutti i tifosi", nonche' il giocatore franchigia dei Pacers.

Con 24.6 punti, il 51.5% dal campo, 41.4% da oltre l'arco, l'86.6% dalla lunetta, 3.6 rimbalzi, 3.8 assists e 1.34 palle rubate guida i Pacers per tutte le 82 partite, partendo sempre da titolare con 38.9 minuti di utilizzo a serata, e porta Indiana ai playoffs.

Nella post-season arriva però l'eliminazione secca al primo turno per mano dei futuri campioni, ovvero i “bad boys” di Detroit, ma per Reggie è comunque la consacrazione come giocatore-franchigia, con medie di 20.7 punti e oltre il 50% dal campo. Durante la stagione diventa anche il primo Pacer a disputare un All-Star Game dal lontano 1977 (quando a parteciparvi era stato Knight).

Nel 1990-91 conquista per la seconda volta consecutiva la palma di miglior realizzatore dei Pacers, con 22.6 punti di media a serata, e incrementa al contempo ulteriormente la propria percentuale ai tiri liberi: con il 91.8% (551/600) non solo guida l'intera NBA ma riscrive anche il record di franchigia per la piu alta percentuale mai tenuta da un giocatore in maglia giallo blu. La squadra dell'Indiana appronda per il secondo anno consecutivo alla post-season, ma, ancora una volta, arriva l'eliminazione al primo turno (questa volta per mano dei Celtics). In estate, la dirigenza rinnova il suo ingaggio con un contratto da 18 milioni di dollari in sette anni. L'opinione pubblica, questa volta, non ha più niente da obiettare.

Trascorsi quasi tre anni, alla fine della stagione 93-94, Miller sorpassa un giocatore mito come Billly Knight come miglior realizzatore di tutti i tempi degli Indiana Pacers. Durante la stagione tiene una media di 19.9 punti, 50.3% dal campo, 90.8% dalla linea dei liberi (secondo in tutta la lega), 42.1% da oltre l'arco (terzo nella NBA), 2.7 rimbalzi, 3.1 assits e 1.51 palle rubate. Sfortunatamente, dopo 4 anni giocati senza interruzione, è costretto a saltare 3 partite a causa di una caviglia slogata.

Durante i playoffs, i Pacers, per la prima volta da quando è arrivato Miller, riescono a farsi strada e, dopo essersi facilmente sbarazzati dei Magic al primo turno e degli Hawks, approdano alle finali di Conference, inaugurando la saga della storica rivalita' con gli Knicks. Dopo 4 incontri la serie è in perfetta parita' (2-2) e la decisiva gara 5 (si giocava al meglio di 3 vittorie), si gioca al Madison Square Garden: Miller sfodera un memorabile quarto periodo da 25 punti (!) sui complessivi 39 della serata, con un 5/5 da oltre l'arco che non consente repliche e trascina da solo i suoi alla vittoria.

Di questa serie rmane anche il ricordo degli episodi di trash-talking fra Miller e Spike Lee: Lee, già  famoso regista di colore proveniente della Grande Mela e da sempre tifoso dei Knicks, sedeva a bordo campo e, ad ogni passaggio di Miller, gli lanciava qualche pesante battuta in slang newyorkese, alla quale il giocatore rispondeva nella stessa o nella successiva giocata.

Verso la fine della partita, Miller, essendosi vicini alla sirena finale, si gira ancora una volta verso Lee e mette le mani al suo collo indicando che i Knicks stanno per tirare l'ultimo respiro. L'incontro si concluse sul 93-86 ma, sfortunatamente per i Pacers, nelle successive due partite vinse New York, che approdò alla finali NBA, perdendo però 4-3 con i Rockets.

Miller, durante questa storica stagione, prende appunti per tutto l'anno e nel 1999 pubblica il suo primo libro intitolandolo "I love being the Enemy", perchè era proprio così che lo vedevano buone parte dei suoi avversari. Durante l'estate del 1994 viene chiamato a prendere parte al progetto del Dream Team III, che vince la medaglia d'oro a Toronto, nelle qualificazioni, e si ripete nel 1996 con l'oro olimpionico di Atlanta.

Nella stagione successiva, 1994-95, continua a incidere il proprio nome nella storia della franchigia diventando il primo giocatore di sempre a disputare l'All Star Game come titolare, segnando anche il suo tiro da tre numero 1000 durante quella partita, guida ancora una volta i Pacers al loro primo titolo della Central Division, fissando anche il nuovo record di franchigia per vittorie in una singola annata con 60. Complessivamente, conclude l'anno con 19.6 punti, il 41.5% da oltre l'arco e l'89.7% dalla lunetta, 1.21 palle rubate, 3 assists e 3.6 rimbalzi.

Nella post-season, dopo il primo turno vinto senza tanti problemi sugli Hawks, con una media stellare di 31.7 punti a partita per Miller, i Pacers si imattono nuovamente nei New York Knicks. Gara 1 al Madison Square Garden sembra già  segnata quando i padroni di casa, a 18.7 secondi, grazie a Greg Anthony autore di 2 liberi, portano il loro vantaggio a quota +6 (105-99) ed il pubblico, ormai sicuro della vittoria, sta gia' abbandonando lo stadio.

Coach Brown chiama il Time Out della disperazione, per riorganizzare la squadra, ma i festeggiamenti dei Knicks sembrano già  cominciati a bordo campo e sugli spalti, con Anthony che dalla panchina lancia un bacio alla moglie. Miller, con 8.9 secondi alla sirena, riceve palla e spara da 3 punti con incredibile freddezza, poi, sul 102-105, proseguendo nel suo stato di trance agonistica che poi fu chiamato "Miller-Time", ruba palla sulla rimessa di Mason che era indirizzata ad Anthony, e, portandosi nuovamente oltre l'arco, sgancia un'altra bomba per impattare l'incontro: 105-105.

Brown ordina allora il fallo tattico immediato e Starks va in lunetta: 0/2. Anche New York, spaventata dalle triple di Miller, opta per il fallo sistematico su su di lui, ma Reggie non perdona: 2/2. I Knicks, gelati dagli 8 punti in 8.9 di Miller non più a reagire e Gara 1 va ad Indiana. Nasce il mito di “Killer Miller”.

La serie fu viene vinta proprio dai Pacers (4-3), che però, al turno successivo, sono costretti ad arrendersi davanti agli Orlando Magic del duo Shaq-Penny Hardaway (i quali perdono poi 4-0 in finale contro gli Houston Rockets di Hakeem the Dream). Complessivamente, in tutte le partite di playoffs, conclude i playoff con 25.5 punti a partita.

Nel 1998, dopo un'annata da 19.5 punti, con il 47.7% dal campo, il 42.9% da oltre l'arco e l'86.8% dalla linea dei liberi, 2.9 rimbalzi, 2.1 assists e dopo aver superato i 15 mila punti e le mille palle rubate in carriera, Miller, nei playoffs, continua ad infuocare il pubblico della Conseco Field House con le sue giocate. Indiana, dopo essersi facilmente liberata dei Cavs al primo turno, deve nuovamente affrontare i Knicks. Reggie, fedele al soprannome "Killer Miller" disputa uno gara 4 memorabile: con una tripla, tirata praticamente in faccia alla sedia di Spike Lee, mette a segno il canestro per forzare l'over-time.

Nell'extra time, poi, sospinge i suoi alla vittoria, concludendo la gara con 38 punti segnati. Dopo il trionfo sugli storici rivali di New York, però, nasce un'altra grande sfida con un'altra squadra di campionissimi: i Bulls (campioni back to back NBA) di Micheal Jordan.

Nella sfida contro i Tori della città  del vento, Killer Miller continuerà  però imperterrito a fare registrare delle prestazioni di altissimo livello: durante gara 3, nonostante una caviglia slogata, segna 13 dei suoi 28 punti nei quattro minuti e mezzo finali; nella successiva partita, Gara 4, scarica la bomba da 3 a 2.7 secondi che da ai Pacers un vantaggio di due punti (96-94) e Chicago finisce sotto 3-1 nella serie. Jordan, Pippen e Rodman, sotto la guida di Phil Jackson, riescono però a trionfare nelle successive 3 partite (ribaltando la serie 4-3), ma le azioni di Reggie sono ormai entrate nella storia della lega e di questo sport. Sappiamo tutti come si concluse quell'anno la finale per il titolo.

Nel 1998-99, per la seconda volta in carriera, Miller guida la Lega per percentuale di tiri liberi (91.5%) e per la decima volta di fila finisce miglior realizzatore dei Pacers. Termina la stagione con una media di 18.4 punti, 2.7 rimbalzi e 2.2 punti. Il 5 Aprile, contro Detroit, supera i 18.000 punti, ma nei Playoffs, nelle finali della Eastern Conference, sono i rivali storici Knicks a trionfare e quindi ad accedere alla finale NBA, dove verranno sconfitti dagli Spurs delle torri gemelle Robinson-Duncan.

Indiana trova l'occasione di rifarsi l'anno seguente, quando, sotto la guida del suo uomo-franchigia (con 18.1 punti, 3 rimbalzi, 2.3 assists di media) riesce ad approdare, per la prima volta nella storia di iIndiana, alle Finals di Lega. I Pacers si scontrano contro i Los Angeles Lakers di Shaquille O'Neal e Kobe Bryant. Tutte le partite della serie, eccetto Gara 1 (dominata sotto ogni aspetto dal Diesel), risultano molto equilibrate, e Miller tiene una media di 24.1 punti a partita, anche se trionfare saranno i Lakers per 4-2. E' comunque l'apice della carriera per Reggie, uomo assolutamente vincente, che ha portato molto spesso troppo da solo i suoi ai vertici del basket mondiale.

Reggie ha elaborato nel corso degli anni, come tutti i tiratori da lontano, una procedura scaramantica da effettuare prima di ogni gara e dalla quale dovrebbe capire se sarà  o meno una partita in cui tirerà  come sa, oppure con percentuali basse. Inizia il riscaldamento completamente vestito e da solo, prima degli altri compagni, portandosi appresso il suo agente, al quale comincia a rivolgere scherzosamente una serie di insulti anche volgari, e questi gli risponde a tono. Alla fine di questo rito, se i canestri da 3 iniziano ad entrare, quella sarà  una buona gara per lui.

Sono in molti a considerare la finale del 2000 come l'apice della sua carriera e le cifre stanno a dimostrare l'esattezza di questa opinione: da allora, fino alla scorsa stagione, i suoi punti ed i suoi rimbalzi a partita hanno registrato una progressiva inclinazione verso il basso.

Nonostante ciò, Miller, continua ad essere uno dei giocatori da tenere assolutamente sott'occhio quando il cronometro corre verso lo 0.00. Nei playoffs del 2002, ad esempio, dopo una annata da 16.5 punti,col 40.6% da oltre l'arco, il 91.1% ai liberi, 2.5 rimbalzi e 2.4 assists, i Pacers in piena ricostruzione si scontrano al primo turno con una "nuova forza" emergente, i New Jersey Nets di Jason Kidd. La squadra dello “Stato giardino” avrebbe raggiunto, circa un mese più tardi, le prime NBA Finals della franchigia, ma lo scontro con Indiana al primo turno era comunque destinato ad entrare nella storia.

In Gara 5, con la serie sul 2-2, Killer Miller mette sulla sirena un tiro scoccato quasi dalla metà  campo per portare la partita agli Over-Time; ormai in pieno "Miller Time", con una schiacciata, nuovamente allo scadere del tempo massimo, arriva l'O.T. numero 2, in cui Kidd, finalmente, riesce a chiudere la partita per i suoi Nets, ma la leggenda della pericolosità  di Reggie nei secondi finali, per l'ennesima volta, si alimenta arrichendosi di nuovi episodi significativi.

Nel 2003-04 ha fatto registrare la media punti piu' bassa della sua storia per punti (10) e percentuale dal campo (43.8%). Anche i 28.2 minuti a serata sono stati il suo minimo storico (stagione da rookie esclusa). Nonostante ciò, il 2 febbraio contro L.A., Reggie supera un altro record, quello di Charles Barkley nella classifica marcatori ogni epoca, diventando così il quattordicesimo miglior realizzatore della storia Nba e anche il quattordicesimo giocatore di sempre a superare quota 24.000 punti.

A fine anno conta 1.323 partite disputate con la stessa maglia: solo John Stockson e Karl Malone hanno giocato più match di lui senza mai cambiare squadra. Durante i Playoffs, in Gara 2 contro gli Heat, mette a segno 19 punti (in 18 minuti) sufficienti comunque per sorpassare niente di meno che Bill Russell e piazzarsi al posto numero 22 come miglior realizzatore di sempre della post-season.

Purtroppo un paio di partite più tardi, in Gara 4, conclude l'incontro senza mettere a segno nemmeno un tiro dal campo: sarà  solo la seconda volta in 125 partite di playoffs. Da sottolineare la sua prestazione in Gara uno delle Finali della Eastern Conference (contro Detroit) dove, in striscia con il "Miller Time", mette a segno il “solito” (per lui) tiro decisivo negli ultimi secondi del match per portare alla vittoria la sua squadra.

Nell'annata presente che sta per concludersi Reggie sembrava all'inizio destinato al ruolo di comprimario (sia pure di lusso) di Ron Artest, ormai affermatosi ai più alti livelli della Lega, prima come difensore e l'anno passato anche come attaccante. Un sesto uomo di prestigio, insomma, uno che può mettere qualche tripla importante mentre la guardia più forte si riposa, un ex e nulla più, insomma. Tuttavia, la rissa tra giocatori e pubblico al Palace Auburn Hills di Detroit a metà  novembre, che coinvolge proprio Artest, Steph Jackson e Jermaine O'Neal scompagina i piani della dirigenza, portando alla squalifica di Artest per l'intera stagione.

Il suo minutaggio, per la prima volta in quattro stagioni, al posto di abbassarsi ulteriormente, sale e ciò porta ad aumento dei suoi punti. Killer Miller, supportato a dovere dai suoi compagni, riesce a portare il team ai playoffs nonostante la sua età  e le mille avversità  dei Pacers di quest'anno (squalifiche ed infortuni gravi ad uomini chiave come Bender, Tinsley e lo stesso O'Neal). I suoi punti a partita sono a fine stagione 14,8, con 2,4 rimbalzi e 2,2 assist, ma ciò che conta è la qualità  ancora elevatissima del suo gioco nella metà  campo offensiva.

E' il miglior giocatore in assoluto tra le guardie a smarcarsi senza palla, ed a costringere il proprio avversario a fargli fallo, anche involontariamente, mentre tira con parabole imprendibili, grazie anche alle lunghe leve delle sue braccia esilissime ed alla tecnica del “calcetto” in avanti mentre salta in fade – away. Inoltre, per merito della sua furbizia ed esperienza, è sempre in grado di accentuare i contatti che subisce, simulando dei falli così bene da essere stato soprannominato “Hollywood iller”, per le straordinarie interpretazioni come attore.

Nonostante il successo ottenuto nel corso degli anni, un'indiscrezione fatta trapelare dalla sorella, durante un'intervista ad ESPN, rivela poco prima della fine della stagione che questa sarà  l'ultima per la star degli Indiana Pacers. Miller si ritira senza aver mai vinto un anello, ma nei play off di quest'anno, prima di lasciare, tiene medie ancora superiori alla stagione regolare, e soprattutto regala due splendide gare 2 e 3 contro i Celtics (al pronostico individualmente più forti e soprasttutto più in salute) che affossano le loro speranze di passare in semifinale contro i Pistons campioni del mondo.

Durante la serie, Antoine Walker aveva commesso l'errore di dichiarare alla stampa che l'ultima partita giocata a Indianapolis sarebbe stata anche l'ultima di Reggie Miller tra le mura amiche, volendo intendere che era alla fine della carriera ed un giocatore ormai finito. Jermaine O'Neal, che compagno di Reggie lo è da anni, ha risposto che “Questa cosa non è andata giù a Reggie…”. Il risultato: 4-3 per Indiana e Celtics in vacanza.

In semifinale, gli acciaccati Pacers cederanno ai fortissimi Pistons campioni del mondo in ben 6 gare. Alla fine di gara 6, quando Carlisle chiama Miller in panchina, il gioco si ferma, la gente si alza in piedi, un lugno, scrosiante applauso di ringraziamento per questo splendido giocatore, l'omaggio anche del coach Brown di Detroit e di tutti gli avversari.

Uscendo, Reggie sussurra a Rip Hamilton:

Mi raccomando, sei il solo che mi somigli nel gioco e non esistono più giocatori come noi… fatti valere!

Uscendo dalla Conseco Field House, un giornalista gli chiede: “Pensi di tornare a giocare?”
La risposta è secca: “No”.

Dopo aver tanto lottato e vinto, a 39 anni, Reggie Miller non deve dimostrare più niente a nessuno.

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